Il romanzo salvato dai poeti? Proprio così, in un momento in cui i narratori sembrano tutti con pochissime eccezioni fagocitati negli standard di marcato, l’ultima speranza è negli scrittori che, grazie all’esercizio della poesia, sono ancora capaci di spessore linguistico e di libera estrosità stilistica. Un tale poeta prestato alla narrativa in un periodo di emergenza è Mariano Bàino, non nuovo per altro a esperimenti in prosa come il romanzo robinsoniano L’uomo avanzato (ora ristampato da Oèdipus, con un’aggiunta finale e un saggio di Cecilia Bello Minciacchi) e il giallo d’autore Dal rumore bianco. Ed eccolo di nuovo alla prova con Il cielo per Roma, pubblicato da poco da Exòrma.
Se Morselli aveva fatto la sua satira della Chiesa titolando Roma senza Papa, ora Bàino fa la sua con una Roma che di Papi ne ha addirittura due e neanche in accordo. Un romanzo fantastico e proprio del genere soprannaturale con “angeli e demoni”, e però allo stesso tempo molto terreno, molto corporeo (e vi si parla infatti di “incorporazione” e “biopolitica”). E quasi cronachistico, dato che i due Papi, L’Emerito e il Regnante, malgrado i nomi cambiati (Gregorio XVII e Materno I) sono ben riconoscibili e lo stesso vale per il morbo pandemico che circola, sebbene qui sia chiamato Morfar… Continua a leggere Bàino nella Roma dei due Papi
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Il dibattito dell’ironia
Dell’ironia molto si è dibattuto e molto si dibatte. Questo “dibattere” non è strano stante l’ambiguità dell’ironia e il suo non voler farsi trovare dove dovrebbe essere. E non è soltanto il fatto che, intesa come strumento, può essere usata per fini diversi, da una parte o dall’altra del dissidio politico. C’è sempre stato anche lo sforzo di strapparla dal repertorio della retorica e di dimostrare perciò che non è riducibile alla semplice antifrasi. Non è solo “dire il contrario”, come quando di fronte a un temporale si pronuncia a mezza bocca un “che bella giornata!” Ci sono anche altre tecniche e anzi i casi di ironia storicamente principali (come l’ironia socratica e l’ironia romantica) non fanno riferimento a una operazione linguistica, bensì a un metodo di discussione o a un atteggiamento di fondo. Continua a leggere Il dibattito dell’ironia
Per Giulia
Nei giorni successivi alla sua scomparsa, ho visto che molti lettori hanno aperto la scheda su Giulia Niccolai presente nel mio archivio. Questo mi ha fatto piacere, ma ritengo doveroso dare nuovamente una testimonianza e un saluto.
Sono entrato in contatto molto presto con Giulia, quando, per una ricerca sull’avanguardia, mi ha spedito i suoi libretti: Poema & oggetto, visivo e concettuale, con l’inserimento straniante di quello spillo reale accanto a quelli rappresentati; Greenwich, con quelle deliziose poesie formate con i nomi geografici (e l’indimenticabile aznavourismo: «Como è trieste Venezia»…). In quel pacchetto di piccoli volumi di Geiger doveva esserci anche quello delle ballate, contenente un altro pezzo forte, Harry’s Bar, con le sue vertiginose variazioni dell’equivocità plurilinguistica. Continua a leggere Per Giulia
Seminario incontro con Luigi Ballerini
Si è svolto ieri (4 giugno 2020) il seminario incontro con Luigi Ballerini in collegamento da New York. Malgrado tutte le difficoltà in questo momento negli USA, Ballerini è stato disponibilissimo a parlare con il gruppo della LUNA di molte questioni riguardanti la sua esperienza intellettuale e la sua poesia. Qui la registrazione audio dell’intero incontro “a largo raggio”:
Nel corso del dibattito sono emersi alcuni tratti molto interessanti. Innanzitutto Ballerini ha espresso una grande fiducia nel linguaggio poetico, non solo quello moderno e delle avanguardia, ma a partire dagli inizi della nostra tradizione (un nome a lui particolarmente caro è quello di Cavalcanti); a patto che s’intenda con poesia non già un linguaggio codificato e teso a trasmettere un messaggio subito pronto, ma un “esperimento” di ricerca e, per la precisione, di ricerca della sorpresa.
Arbasino: imitazione, ironia, satira
Ho sempre ammirato, nelle scritture di Alberto Arbasino, questi tre aspetti: l’imitazione, l’ironia e la satira.
Innanzitutto l’imitazione, la capacità mimetica di riprodurre i linguaggi e gli stili. Quello che lui stesso chiamava il pastiche, per il quale aveva eletto a maestro Gadda; anzi, più che maestro, a “zio”, con la formula “i nipotini dell’ingegnere”. Questa capacità si mostra non soltanto sul lato narrativo della sua opera, ma anche su quello critico: dai suoi saggi ai più brevi articoli era tutto uno scoppiettare di citazioni e di rimandi, sostenuto da una cultura ingente e curiosa, aperta all’estero – uno dei suoi interventi “storici” più efficaci rimane quella Gita a Chiasso dove indicava potersi recuperare, varcando un confine comodamente raggiungibile, l’aggiornamento necessario ad uscire dal provincialismo e ad essere al passo con la più avanzata cultura europea. Continua a leggere Arbasino: imitazione, ironia, satira
Corrado Costa, le dita nel “Caffè”
Riscoprire Corrado Costa? Sì, ma si potrebbe dire che, più propriamente, si tratta di scoprirlo, perché non lo si è trattato mai completamente, malgrado abbia avuto e abbia i suoi estimatori. Costa ha sempre tenuto, già nelle neoavanguardie degli anni Sessanta, una posizione extravagante e piuttosto aliena da narcisismi di presenzialismo. Basti dire che nella prima antologia del Gruppo 63 non era neanche compreso, la sua partecipazione risulta solo nel secondo convegno, quello tenuto nella sua Reggio Emilia nel 1964. Poi nel ʼ64 lo troviamo tra i redattori di “Malebolge” che è un po’ la casa di un sottogruppo degli emiliani del “parasurrealismo” (con Spatola, Celli e altri). Alla fine del decennio collabora a “Quindici” fin dal primo numero, poi negli anni Settanta è accanto a Spatola e Niccolai nell’avventura autogestita del Mulino di Bazzano, con le edizioni Geiger e la rivista “Tam tam”. Continua a leggere Corrado Costa, le dita nel “Caffè”