IL SENSO IN GIOCO
Questa autrice, che era presente inizialmente nel Gruppo 63 come fotografa, è partita dalla prosa (il romanzo Il grande angolo è del 1966) per poi passare alla poesia visiva e procedere anche oltre l’esperienza del gruppo continuando l’avanguardia in compagnia di Adriano Spatola con le edizioni Geiger del Mulino di Bazzano, e poi ancora performer di grande intelligenza e ironia, per giungere a inventarsi una forma particolare, il frisbee, contraddistinta dalla brevità e dal fulmineo accostamento, colto direttamente dalla vita.
Per esemplificare il suo sperimentalismo, scelgo un suo testo “classico”, esilarante ed efficacissimo, che s’intitola Harry’s Bar Ballad; è datato settembre 1977 e dedicato a Marcello Angioni. Si tratta di un testo tutto giocato sul plurilinguismo, ma precisamente sugli effetti “babelici”, cioè equivoci della confusione delle lingue.
È sempre imbarazzante per un tedesco chiedere
zwei dry martini
potrebbe chiedere
zwei martini dry
ma se chiede
zwei martini dry
gli danno i martini senza il gin. E costretto a berseli?
No
perché lui e sua moglie
vogliono zwei dry martini
e NON zwei martini dry.
Potrebbe chiedere
zwei mal dry martini
che tradotto in italiano diventa due volte tre martini.
Allora gliene danno sei.
Sei un bevitore di dry martini? Fanno diciotto.
Sei, sei dry martini?
Sei più sei dodici
sei per sei trentasei?
Non voglio né dodici né trentasei martini
voglio del gin perché sono G. N. Giulia Niccolai.
Des dry martini! Neuf!
Pas des vieux bien sar madame… Anche un americano che chiede nine dry martini
corre il rischio di non riceverne neanche uno se il barman lo prende per un tedesco.
Dix dix dry martini!
Non je dis pas je dis pas je dis pas!
Anche qui l’umorismo non è così «liscio». Si potrebbe dire che è un umorismo oggettivo. Nello stesso periodo, la Niccolai lavora con gli oggetti (in Poema & Oggetto, dove l’immagine di alcuni spilli prevede l’inserimento nella pagina di uno spillo vero); e si pensi anche alle poesie della serie Greenwich, elaborate prendendo pari pari dei termini geografici (sicché la canzone di Aznavour è trasformata in «Come è trieste Venezia»). Anche la ballata dell’Harry’s Bar potrebbe essere partita da un episodio colto al volo nel famoso locale veneziano, noto per essere luogo d’incontro di scrittori e di clientela internazionale. È quindi il posto ideale per questa sarabanda che interseca il tedesco, l’inglese, il francese e l’italiano, un plurilinguismo che possiamo solo in parte addebitare alla biografia dell’autrice, figlia di madre americana. Insomma, qui siamo in un crocevia dell’Europa (tanto che il locale fu sospetto ai tempi del fascismo). Un crocevia, va bene, sì, però forse meglio un ingorgo. Infatti le lingue, invece di tradursi felicemente l’una nell’altra, semmai interferiscono, per via delle equivoche somiglianze delle loro parole. I “falsi amici” l’hanno vinta. E l’equivoco maramaldeggia in amplificazione progressiva, con il moltiplicarsi di martini chiesti dal poco accorto avventore, via via nel crescendo rabelaisiano di un gran bevuta. Una escalation che nessuno sembra in grado di arrestare, se non fosse l’autrice in persona a cambiare l’ordinazione, passando al martini al gin, anche in questo caso in forza del significante e della equivalenza sonora: gin-g. n., sono le iniziali del suo nome. L’inserimento dell’identità anagrafica – e interessante notarlo – funziona da spezzatura; inoltre, se posso permettermi a mia volta una battuta, costituisce un motto davvero di spirito… E bellissimi sono i successivi puns, quello francese tra nove e nuovo (i due significati di neuf) e quello ancora di nove in inglese (nine) con la negazione tedesca (nein) che gli è omofona. tornando al francese con l’ultima omofonia tra dix (dieci) e dis (dico) il testo perviene in fine al silenzio (“non dico, non dico, non dico”). Il numero è preso per un imperativo che viene ripetutamente e vigorosamente rifiutato.
Anche in questo caso il gioco scava nella cerimonialità della vita quotidiana. Nel rapporto tra il cliente e il barman che dovrebbe corrispondere al blandimento allettante dell’offerta verso la domanda, si insinua una molesta incomprensione e con essa il sadismo per concludersi infine in una dispettosa sottrazione di parola. Il reiterato rifiuto di dire non è altro che il grado zero dell’avanguardia che occupa la sede della parola per cancellarla e sottrarla. In questo caso però lo fa dopo averci sorpresi e deliziati (quindi con un “premio di piacere” direbbe Freud) con gli slittamenti progressivi delle lingue europee.