Corrado Costa, le dita nel “Caffè”

Riscoprire Corrado Costa? Sì, ma si potrebbe dire che, più propriamente, si tratta di scoprirlo, perché non lo si è trattato mai completamente, malgrado abbia avuto e abbia i suoi estimatori. Costa ha sempre tenuto, già nelle neoavanguardie degli anni Sessanta, una posizione extravagante e piuttosto aliena da narcisismi di presenzialismo. Basti dire che nella prima antologia del Gruppo 63 non era neanche compreso, la sua partecipazione risulta solo nel secondo convegno, quello tenuto nella sua Reggio Emilia nel 1964. Poi nel ʼ64 lo troviamo tra i redattori di “Malebolge” che è un po’ la casa di un sottogruppo degli emiliani del “parasurrealismo” (con Spatola, Celli e altri). Alla fine del decennio collabora a “Quindici” fin dal primo numero, poi negli anni Settanta è accanto a Spatola e Niccolai nell’avventura autogestita del Mulino di Bazzano, con le edizioni Geiger e la rivista “Tam tam”.

Ma il suo lavoro critico e creativo viene affidato ad una produzione molto clandestina in riviste presto irrecuperabili: e per giunta sempre al limite dei generi (è poeta? prosatore? critico? quale di queste modalità gli è più congeniale? difficile dare una risposta drastica). Ad esempio, sul primi numero di “Malebolge”, pubblica un rigorosissimo saggio su Pasolini, qualificato come l’«auleta esibizionista»., attraverso un efficace e circostanziato parallelo con d’Annunzio. Indubbiamente, per un profilo più preciso, la sua opera andrebbe riunita e pubblicata per intero; e credo che ne balzerebbe una figura di rilievo, la dimensione di una avanguardia che attraverso il surreale punta al bizzarro e all’umoristico.
Intanto, possiamo goderci questo volumetto, pubblicato da Argolibri, che procede al recupero delle collaborazioni al “Caffè letterario e satirico” di Vicari, luogo predisposto alle pratiche del riso alternativo (lì comparve anche il saggio di Calvino, Definizione di territori: il comico). I brani di Costa apparsi sul “Caffè” sono qui raccolti e commentati da due giovani studiosi, Roberta Bisogno e Andrea Franzoni; e questo è un altro motivo di soddisfazione, vedere che generazioni entranti si preoccupano di recuperare l’eredità di questi zii o prozii esclusi dalle vetrine del mercato. Ma dimenticavo il titolo del libro, che riprende quello di uno dei pezzi ivi compresi: La moltiplicazione delle dita. Titolo che così, da subito, immette in un clima di curiosa metamorfosi del corpo, un po’ mostruosa e un po’ giocosa. Un clima che si configura in scrittura come libertà illogica, lo vediamo da questo breve stralcio:

di qui la moltiplicazione delle dita: a fianco una dell’altra pri­ma, inseparabili per molto tempo, parallele, disposte in ordine crescente/decrescente, in fila dell’origine, ora distanti, autono­me, che si incrociano in piena libertà, indicano solo se stesse. Possono praticamente comporsi senza regola nel cosiddetto puzzle delle dita che abbiamo in più stare nell’erba, aspettare il mattino e occupare il posto che è quello della luce che nasce: come le ali, che sono distinte dal corpo di Atman, vorticose e invisibili e solo erroneamente / irragionevolmente simmetri­che: una è la luce e l’altra l’ombra e hanno distanze e origini diverse e possono essere concepite anche così;

Il comico di Costa è del tipo impassibile e assurdo. Ritroviamo nei brani del “Caffè” lo stesso stile dei suoi pezzi migliori come I due passanti o l’esilarante nastro registrato sul Retro, dove la voce dell’autore avverte con reiterato avviso ai “testoni” che hanno sbagliato e che la poesia è dall’altra parte. Proprio il pezzo sulle dita dimostra il dialogo di questa scrittura con l’opera visuale degli artisti Miroglio e Parmiggiani, chiamati in causa per le immagini surreali (o parasurrealiste, secondo l’indicazione di allora).
Altri punti notevoli sono il discorso satirico-politico con cui Costa partecipa, sul numero 1 del 1969, alle Modeste proposte per riformare la Classe Politica italiana. Evidentemente il problema era stringente già allora… Però erano anni lontani dalle “quote rosa”: piuttosto erano visibili gli inconvenienti derivanti dalle accompagnatrici degli alti papaveri, e infatti la proposta del nostro autore è di renderle trasparenti, cioè di eleggere le varie first ladies a tutti i livelli:

LA PROPOSTA è semplice. All’atto dell’elezione (o del concorso, per i magistrati) dell’Adamo politico, si indirà un concorso o un’elezione per la sua duplicazione femminile. Eletto per es. Il Presidente si eleggerà (magari contemporane­amente) una Signora o Donna, ben stabilita la condizione e i requisiti. Si eviteranno così che gli errori giovanili, l’ansia not­turna, i tiramenti prematuri, i baci postumi, le inclinazioni più mostruose, gli abbagli, la golosità pentita ricadano sugli eletto­ri.

Oppure ancora le Note e osservazioni scientifiche sulla diffusione del colera, dove la mescolanza di realtà e sogno produce un morbo che non presenta visibili modificazioni, segno che la vera patologia e il vero contagio è proprio la normalità della vita.
In generale si può notare la propensione di Costa per la parodia del linguaggio statuale-burocratico, che ben conosceva, stante la sua professione di avvocato (e se ne giovava anche nella rubrica del “Male”, una cui pagina è offerta nell’inserto allegato al libro). In più c’è una tendenza ludica (anche questa nella tradizione di un certo surrealismo versato in calembour). I dialoghi tra l’ermafrodito e l’androgino portano lo slittamento dei significanti proprio nel cuore del mito: Medusa diventa «MedUSA, made in USA»; Cibele «Cybelava cip cip»; l’«attizzato Attis» patisce una «mutilattis»; quanto a Urano, «uraganava» e «uranava nella neve»; e via di questo passo di omofonia in omofonia.
La scrittura è poi costellata dai disegni originali dell’autore, più che disegni disegnini, quelli che si fanno quando si è soprappensiero. Quasi scarabocchi; pupazzetti sdoppiati, storpiati, semimostruosi, che però a ben vedere sono segni assai incisivi esattamente come normalità assurda. Un tratto satirico-crudele che giustamente, in sede di commento, Roberta Bisogno apparenta con quello di Steinberg.

Ancora su Corrado Costa, rimando qui alla scheda nella sezione Gli autori e alla lettura de I due passanti nella sezione Katakino.

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