Continua con questa terza puntata la discussione sull’allegoria a partire dal libro di Fredric Jameson, Allegory and Ideology. La prima puntata ha riguardato soprattutto la distinzione tra la personificazione (che è semplificatrice e porta a immagini stereotipate) e l’allegoria a “quattro livelli”, che è, invece, secondo Jameson, polisensa e creativa. Nella seconda puntata si è ragionato sulla differenza tra la prospettiva dell’interprete e quella del produttore del testo, quindi sulla possibilità di una tendenza allegorica. In questa terza si affronta una questione nodale in Jameson, cioè la differenza tra moderno e postmoderno.
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Moderno-postmoderno, ripensamenti e rimozioni
Il clima del postmoderno è stato favorevole alla ripresa dell’allegoria. Intanto perché, promulgando la “felice riscrittura”, un po’ come un manierismo generalizzato, poteva rimettere in campo tutte le “baroccaggini”; ma anche perché, perdendo la fiducia nella realtà, ne diventavano possibili tutti i travestimenti. “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”, “sognare sapendo di sognare” e altre formule nicciane tornate di moda portavano a non disdegnare le inverosimiglianze allegoriche. Nella prospettiva della decostruzione ‒ da non confondere con il postmoderno, ma indubbiamente radicata nella sua temperie ‒ l’allegoria, insieme all’ironia, erano privilegiate come prova della instabilità dei significati. Quanto a Jameson, nel suo volumone in materia (Postmodernismo, ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, 1991, trad. Fazi, 2007), teorizzava il passaggio da una allegoria “verticale” a una “orizzontale”, propria quest’ultima del postmoderno («le nuove strutture allegoriche sono postmoderne e non si possono esprimere senza l’allegoria del postmoderno»), attesa più che alle «etichette concettuali» alle relazioni e alla loro mobilità. Continua a leggere Jameson e l’allegoria 3