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I seminari della LUNA: “La figlia prodiga” di Alice Ceresa

Per un caso non del tutto voluto ma accolto volentieri, il seminario del ciclo “Critica della narrativa” dedicato al testo di Alice Ceresa La figlia prodiga è caduto nella data dell’8 marzo. Giusto, è un testo che potrebbe a buon diritto definirsi “protofemminista”.
Il caso-Ceresa è interessante perché il contenuto decisamente radicale, fondato com’è sulla critica dell’istituzione familiare, viene svolto dall’autrice con un apparato altrettanto decisamente sperimentale. Il testo va a capo molto spesso in mezzo alla frase (quindi si avvicina alla poesia) ed è impostato come discussione e ricerca intorno al personaggio da parte di un “noi narrante” (scelta anche questa alquanto originale) che vi si approssima con un linguaggio pseudo-saggistico, per riflessioni, deduzioni e complicazioni di vario tipo, quindi generando un discorso al limite del genere propriamente narrativo. La figlia prodiga uscì nel 1967 inaugurando la collanina “rossa” dell’Einaudi, intitolata alla “Ricerca letteraria”.
Per seguire l’audio del seminario ci si può collegare a questo link:

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Nell’anno con il 3: “Narcisso” di Sebastiano Vassalli

Ormai venendo a finire l’anno con il 3, mi resta un ultimo posto da utilizzare per intervenire su autori dell’area sperimentale che finora avevo trascurati. Lo dedico a Sebastiano Vassalli, anche se può sembrare strano, in quanto è stato uno dei più netti transfughi dell’avanguardia, con durissime dichiarazioni nella sua fase di normalizzazione. Eppure vale la pena di esaminare il suo primo romanzo, Narcisso, pubblicato nel 1968 nella collanina rossa dell’Einaudi, La ricerca letteraria. Nella nota di chiusura Giorgio Manganelli spiega che il libro si rivolge al lettore «irretendolo, catturandolo nelle ambagi di una ampia, discontinua, disorientante scenografica “oratio”» (che è la modalità propria dello sperimentalismo); e conclude: «Il risultato è una euforica bisboccia verbale, sconnessa e avvampante, una sorta di furibonda, drammatica, enigmatica festa».

Narcisso di Sebastiano Vassalli

Un romanzo? Per modo di dire. Non c’è trama che sia pur lontanamente riassumibile. Lo scritto procede per frammenti che però non usuali connessioni. Continua a leggere Nell’anno con il 3: “Narcisso” di Sebastiano Vassalli

Spatola a Siena

Maggio, mese dei convegni. Dopo quello di Pescara su Giuliani, eccomi a Siena il 18 per ragionare attorno a Adriano Spatola. Il convegno è stato organizzato per festeggiare la ripubblicazione de L’oblò nelle edizioni Diaforia di Daniele Poletti. Dopo la voluminosa pubblicazione dell’opera poetica (Opera), ora, in una veste grafica sempre molto creativa, il nuovo Oblò inaugura una collana che dovrà accogliere, oltre ad altre opere spatoliane, anche lavori che tengano fede alla tendenza (come l’editore ha spiegato) della scrittura della complessità.
La giornata di studi è stata densa di numerose relazioni ed è stata accompagnata da una mostra di opere visive di Spatola e da una serata performativa. In quanto autore multimediale della poesia totale, Spatola si prestava ad essere affrontato da diverse prospettive e da diversi campi disciplinari (critica letteraria, critica d’arte, comunicazione, ecc.). Quindi, non si è parlato solo di Oblò (che è prosa sperimentale) e nemmeno soltanto di poesia, ma anche dell’aspetto visivo dentro e oltre la scrittura, del concretismo, della performance, ecc. Molto interessante è stato poi l’incontro tra studiosi e interpreti di generazioni diverse e occorre sottolineare il fatto che il convegno era organizzato da LALS, un gruppo di giovani bravissimi, attivi in margine all’Università di Siena. Continua a leggere Spatola a Siena

Il romanzo anomalo

La forma-romanzo ha una lunga storia ed ha, nelle sue prime apparizioni moderne, lo stigma della libertà (Rabelais, Cervantes, poi Sterne lo concepiscono come invenzione sempre nuova, non come codice da rispettare). Secondo Bachtin il romanzo cresce con l’emergere della borghesia ed è la forma letteraria legata al presente e alla varietà sociale, mentre l’epica guardava al passato e alle origini fondative. Al suo interno però è sempre passibile di divaricazioni: può orientarsi, secondo Bachtin, in senso monologico (di chiusura attorno a un asse principale) oppure aprirsi ‒ opzione più auspicabile ‒ alla pluralità (polifonia, plurilinguismo, ecc.). Nell’Ottocento si stabilizzerà una vocazione “realista”, con risultati anche di grande complessità e problematicità (ma già allora con le deroghe nel fantastico).

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Arbasino: imitazione, ironia, satira

Ho sempre ammirato, nelle scritture di Alberto Arbasino, questi tre aspetti: l’imitazione, l’ironia e la satira.
Innanzitutto l’imitazione, la capacità mimetica di riprodurre i linguaggi e gli stili. Quello che lui stesso chiamava il pastiche, per il quale aveva eletto a maestro Gadda; anzi, più che maestro, a “zio”, con la formula “i nipotini dell’ingegnere”. Questa capacità si mostra non soltanto sul lato narrativo della sua opera, ma anche su quello critico: dai suoi saggi ai più brevi articoli era tutto uno scoppiettare di citazioni e di rimandi, sostenuto da una cultura ingente e curiosa, aperta all’estero – uno dei suoi interventi “storici” più efficaci rimane quella Gita a Chiasso dove indicava potersi recuperare, varcando un confine comodamente raggiungibile, l’aggiornamento necessario ad uscire dal provincialismo e ad essere al passo con la più avanzata cultura europea. Continua a leggere Arbasino: imitazione, ironia, satira