Maggio, mese dei convegni. Dopo quello di Pescara su Giuliani, eccomi a Siena il 18 per ragionare attorno a Adriano Spatola. Il convegno è stato organizzato per festeggiare la ripubblicazione de L’oblò nelle edizioni Diaforia di Daniele Poletti. Dopo la voluminosa pubblicazione dell’opera poetica (Opera), ora, in una veste grafica sempre molto creativa, il nuovo Oblò inaugura una collana che dovrà accogliere, oltre ad altre opere spatoliane, anche lavori che tengano fede alla tendenza (come l’editore ha spiegato) della scrittura della complessità.
La giornata di studi è stata densa di numerose relazioni ed è stata accompagnata da una mostra di opere visive di Spatola e da una serata performativa. In quanto autore multimediale della poesia totale, Spatola si prestava ad essere affrontato da diverse prospettive e da diversi campi disciplinari (critica letteraria, critica d’arte, comunicazione, ecc.). Quindi, non si è parlato solo di Oblò (che è prosa sperimentale) e nemmeno soltanto di poesia, ma anche dell’aspetto visivo dentro e oltre la scrittura, del concretismo, della performance, ecc. Molto interessante è stato poi l’incontro tra studiosi e interpreti di generazioni diverse e occorre sottolineare il fatto che il convegno era organizzato da LALS, un gruppo di giovani bravissimi, attivi in margine all’Università di Siena.
A proposito de L’oblò, e al fine di consigliarne caldamente la lettura, va detto che nell’opera del suo autore è rimasto un unicum: uscito nel 1964, avrebbe dovuto essere seguito da un altro testo in prosa (intitolato Achille) che però non è stato mai pubblicato. In attesa di interrogarci meglio su questa “difficoltà di continuazione”, magari auspicando l’edizione del libro abbandonato, restiamo per ora a L’oblò, reso di nuovo disponibile. Innanzitutto noterei la differenza con altri testi narrativi (o antinarrativi) del periodo sperimentale del Gruppo 63: come si colloca rispetto al Capriccio italiano di Sanguineti, al Tristano di Balestrini, oppure a Barcelona di Lombardi o a Il serpente di Malerba? È meno frammentario per rispetto a qualcuno? È meno narrativo per rispetto a qualc’altro? Insomma, quale la sua radicalità? Il romanzo spatoliano (“romanzo” tra molte virgolette, è ovvio) non indulge né alla dissoluzione negativa né alla abrasione fenomenologica, né alla ripresa del comico: piuttosto si affida a un flusso in metamorfosi (del resto, in quel periodo, l’autore va specificando sulla rivista “Malebolge” la sua tendenza parasurrealista), con continui cambi di scena, di punto di vista, di ruolo o funzione. Da una parte circolano gli spettri della guerra trascorsa e di quella incombente (la minaccia atomica), dall’altra parte arrivano i materiali del consumo, dei generi di serie B che si mescolano alle citazioni della cultura alta; in particolare emergono le mosse dello strip-tease, un eros-merce su cui verificare il meccanismo di eccitazione-frustrazione proprio della “fabbrica del desiderio”. L’ingresso di quella che allora era la sottocultura ha una doppia valenza: da un lato serve a scoronare la patina auratica, ancora forte ai tempi, del romanzo simil-proustiano, dall’altro contiene già un elemento critico dell’alienazione culturale. Il tutto con l’ironia e il grottesco che conducevano a una irridente apocalisse finale con la “valanga di caffè”:
Il nero liquido, percorrendo in lungo e in largo cunicoli, ridotte, posti d’osservazione, ne aveva rac-colto indiscriminatamente il contenuto. Gambe, braccia, mani, occhi, nasi, cuori, muscoli, orecchie, dita, piedi, ossa nasali, temporali, navicolari, zigo¬matiche, lunate, cuneiformi, trapezoidee, piramidali, scapole, sterni, falangi, metacarpi, fegati, vertebre toraciche, lombari, cervicali, femori, milze, omeri, tibie, grovigli, grumi di carne macinata, cuoi capel¬luti, dita con anelli, senza anelli, polsi con orologi, con catenine, piccoli cuori d’oro e d’argento, minu¬taglie, peli, scarpe, gambe con pantaloni, colli con medaglioni al collo, cinturoni, visi destri e sinistri.
Dunque, “riscoprire Spatola”, ecco il programma enunciato da Poletti in apertura del convegno. E ripartire da L’oblò, proprio per il suo carattere di “romanzo pop”, che unisce invenzione debordante e estro parodico.
Ricordo che al convegno hanno partecipato Anna Maria Bonazzi, Giovanni Fontana, Chiara Portesine, Gian Paolo Renello, Marcello Sessa, Marcello Carlino, Marilina Ciaco, Valentina Pannarella, Clementina Greco.
I contributi potrebbero venir riuniti in volume e da questo magari si organizzerà un nuovo incontro di presentazione. Chissà, da cosa nasce cosa…
20/05/2022