Archivi tag: Digressione

Elogio della digressione

Deviare dalla retta via è sempre qualcosa di riprovevole. Così quando la digressione deroga dall’ambito narrativo prefissato e prende una strada diversa cambiando di ambiente, di personaggio o di situazione è probabile che il lettore si interroghi, ma cosa sta succedendo qui? Se quello narrativo è un “contratto”, allora la digressione ne è la rottura, sottoponibile a reclamo.
Non si tratta di una semplice pausa. Indubbiamente anche la descrizione sospende l’azione, ma è giustificata dal fatto che senza di essa non potremmo capire dove i fatti si svolgono o chi ne è l’agente e quindi si configura come un essenziale supporto alla comprensione e aiuto a immaginare mentalmente il teatro dell’azione (sebbene sappiamo bene che i lettori più frettolosi la “saltano”). Anche gli inserti riflessivi o i commenti del narratore possono essere percepiti come un rallentamento e tuttavia anch’essi non sconvolgono l’assetto narrativo, per quanto aprano una finestra su qualcuno che sta considerando la storia dal di fuori. La digressione narrativa fa di peggio, in quanto non si limita a sospendere la linearità del racconto, ma la sostituisce con una linea alternativa. La digressione è a rischio di sperdimento. Continua a leggere Elogio della digressione

I seminari della LUNA: “L’incanto del lotto 49” di Thomas Pynchon

Ai nostri seminari di “Critica della narrativa” necessitava prendere in considerazione un romanzo caratteristico del periodo postmoderno: la scelta è caduta su L’incanto del lotto 49 di Thomas Pynchon. Sarebbero stati adatti anche altri autori e autrici sempre nell’area americana, ma Pynchon è sembrato il più rappresentativo; solo che i suoi romanzi risultavano troppo estesi (sono romanzi-fiume, romanzi-mostro) e il più contenuto era proprio uno dei primi, il Lotto, per l’appunto. Il testo è datato 1966 e questo dimostra che il postmoderno americano è stato ben in anticipo rispetto a quello nostrano, databile al 1980 de Il nome della rosa, mentre negli anni Sessanta era attivo il romanzo sperimentale del Gruppo 63.
Malgrado le dimensioni ridotte, l’analisi del testo ha avuto pur tuttavia il suo da fare per contenere i mille rivoli della narrazione, anche solo a voler stabilire di cosa parla il romanzo: una vendita all’asta? un servizio postale alternativo? curiose emissioni di francobolli e timbri con refusi? una società segreta che attraversa il corso della storia? un caso di paranoia? una burla riuscita? Tanto è spinto il pedale della digressione che del “lotto 49” del titolo si parla solo nella pagine conclusive… Mentre lungo tutto il testo realtà, storia, finzione e delirio s’intrecciano inestricabilmente.
Il seminario si può ascoltare a questo link:

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Bàino nella Roma dei due Papi

Il romanzo salvato dai poeti? Proprio così, in un momento in cui i narratori sembrano tutti con pochissime eccezioni fagocitati negli standard di marcato, l’ultima speranza è negli scrittori che, grazie all’esercizio della poesia, sono ancora capaci di spessore linguistico e di libera  estrosità  stilistica. Un tale poeta prestato alla narrativa in un periodo di emergenza è Mariano Bàino, non nuovo per altro a esperimenti in prosa come il romanzo robinsoniano L’uomo avanzato (ora ristampato da Oèdipus, con un’aggiunta finale e un saggio di Cecilia Bello Minciacchi) e il giallo d’autore Dal rumore bianco. Ed eccolo di nuovo alla prova con Il cielo per Roma, pubblicato da poco da Exòrma.
Se Morselli aveva fatto la sua satira della Chiesa titolando Roma senza Papa, ora Bàino fa la sua con una Roma che di Papi ne ha addirittura due e neanche in accordo. Un romanzo fantastico e proprio del genere soprannaturale con “angeli e demoni”, e però allo stesso tempo molto terreno, molto corporeo (e vi si parla infatti di “incorporazione” e “biopolitica”). E quasi cronachistico, dato che i due Papi, L’Emerito e il Regnante, malgrado i nomi cambiati (Gregorio XVII e Materno I) sono ben riconoscibili e lo stesso vale per il morbo pandemico che circola, sebbene qui sia chiamato Morfar… Continua a leggere Bàino nella Roma dei due Papi

Seminario su Il pasticciaccio di Gadda

I seminari della LUNA continuano ad esplorare i territori del “romanzo anomalo”. Questa volta è toccato a Carlo Emilio Gadda e al suo testo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana normalmente nominato, per farla breve, Il pasticciaccio. L’operazione narrativa gaddiana, a prima vista, appare abbastanza normale, possiede un’ambientazione storica ed è costruita come un romanzo giallo con relativo detective. Tuttavia, basta aprire una pagina a caso per rendersi conto di quanto sia anomalo il linguaggio, che parte per la tangente con una mescolanza di lingua e dialetti, una sovrapproduzione lessicale, e acrobatiche costruzioni sintattiche e sonore.
Il seminario è disponibile in registrazione per chi volesse seguire la presentazione e il dibattito:

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Il romanzo anomalo

La forma-romanzo ha una lunga storia ed ha, nelle sue prime apparizioni moderne, lo stigma della libertà (Rabelais, Cervantes, poi Sterne lo concepiscono come invenzione sempre nuova, non come codice da rispettare). Secondo Bachtin il romanzo cresce con l’emergere della borghesia ed è la forma letteraria legata al presente e alla varietà sociale, mentre l’epica guardava al passato e alle origini fondative. Al suo interno però è sempre passibile di divaricazioni: può orientarsi, secondo Bachtin, in senso monologico (di chiusura attorno a un asse principale) oppure aprirsi ‒ opzione più auspicabile ‒ alla pluralità (polifonia, plurilinguismo, ecc.). Nell’Ottocento si stabilizzerà una vocazione “realista”, con risultati anche di grande complessità e problematicità (ma già allora con le deroghe nel fantastico).

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