È un inizio d’anno alquanto “produttivo”. È uscito da poco anche l’annunciato volume su L’avanguardia permanente, per la cura di Carmine Lubrano nelle edizioni Terra del Fuoco, Lab-Oratorio Poietico. Il libro di grande formato e impaginato creativamente come un collage, si avvale di due introduzioni di grande spessore a firma rispettivamente di Marcello Carlino e Francesco Aprile. È una antologia trasversale che documenta i percorsi testuali di Gaetano delli Santi, Giovanni Fontana, Sandro Sproccati e dello stesso Carmine Lubrano con l’aggiunta del sottoscritto, a comprovare per l’appunto la permanenza dell’avanguardia, ovvero la resistenza nel tempo di un certo tipo di scrittura non omologata.
Non c’è manifesto e nessuna esclusione, bensì la voglia di promuovere un dibattito e di suscitare nuove e differenti aggregazioni.
Nelle due introduzioni viene ben individuato il terreno problematico dell’avanguardia oggi. Cito Carlino (Rifare e fare è tutto un lavorare):
Nello stato delle cose di letteratura e arte, e nell’apparato di produzione che ad esse pertiene, l’avanguardia costituisce una risorsa – un polo critico di energia oppositiva con possibili riflessi extra moenia – che occorre ritenere necessaria.
Cito Aprile (Avanguardia permanente):
la continua comprensione critica di una scrittura modulata sulle coordinate di una poesia come esperienza conoscitiva-esplorativa di un reale, sì, sempre sottoposto al vaglio di un pensiero interrogante; tale formula, appare possibile nella modularità di una postura gestuale dello scrivere dove alla parola viene riconosciuto e confermato il valore materico-biologico di una tensione politica contro la faciloneria emotivo-spiritualizzante.
Per parte mia, vorrei aggiungere soltanto due brevissime postille su quell’attributo “permanente” riferito all’avanguardia.
1) la permanenza dell’avanguardia smentisce il determinismo sociologico, che la vuole fioritura eccedente dei momenti di rapido sviluppo industriale. Sarebbe una sorta di lusso dei periodi affluenti, non più praticabile nelle fasi di riflusso. Questa tesi, per altro, vale solo per le avanguardie italiane (Futurismo e Gruppo 63) non per altre (Cubo-futurismo, Dada, Surrealismo non corrispondono allo schema). La permanenza invece afferma un’avanguardia capace di intervenire anche in fasi di regresso o in fasi confuse come l’attuale (divisa tra magie tecnologiche e crisi economiche o sanitarie)
2) La permanenza dell’avanguardia la strappa alle configurazioni gruppali e alle formule di comodo, evidenziando la valenza sperimentale dei singoli percorsi e dei ritrovati individuali delle scritture. Piuttosto che un evento storicizzabile, l’avanguardia è un’apertura, un punto-di-non-ritorno, un imperativo a “non smettere”. Ciò potrebbe, ovviamente, essere ascritto a mera cocciutaggine, a un non saper far altro, da combattenti non raggiunti dalla notizia della fine della guerra. Può darsi, ma forse è soltanto lo sviluppo del seguente paradosso: l’impossibilità dell’avanguardia è indimostrabile. O meglio: non può dimostrarla colui che ha rinunciato a praticarla, dimostrarla può solo colui che prova ogni giorno a farla. Si dice che non ci sono più le condizioni storiche; ma le condizioni storiche non vengono mai a casa tua a portarti l’avviso della loro esistenza. Per sapere se ci sono bisogna fare la prova. “Provate, provate!”, come diceva Sanguineti ai teatranti.
L’avanguardia permanente, dunque, è provocatoria due volte: perché con il sostantivo pronuncia il vocabolo “escluso” (e poco manca che si tiri dietro tabù ancora peggiori: l’utopia, la rivoluzione, il comunismo…); e perché con l’attributo contrasta molte delle configurazioni standardizzate che le si sono solidificate attorno.
21/03/2022
1 commento su “Due postille sull’Avanguardia permanente”