Le “discrasie” di Giovanni Fontana

Giovanni Fontana, portacolori della poesia verbovisiva, straordinario performer e vocalista ma anche autore di una vasta produzione visuale, nell’ultimo periodo ha elaborato ‒ come poeta “lineare” ‒ un suo particolare stile, anzi, per meglio dire, un suo particolare ritmo. Lo attesta e lo precisa questa recente raccolta, Discrasie, pubblicata nella collana di Entroterra per Novecentolibri, accompagnata da uno scritto critico di Marcello Carlino.
Di che ritmo si tratta? Che il testo sia o no scandito da barre che sostituiscono l’a capo del verso tradizionale, è comunque costituito da un flusso verbale sostenuto da ripetizioni: spezzoni di metrica, rime, assonanze, riprese e quant’altro contribuisca a creare un ambiente cadenzato che diventa una vera e propria sfida al rap.

Rispetto al precedente Questioni di scarti il nuovo libro è necessariamente meno coeso, trattandosi di una raccolta di testi aventi diverse provenienze e diverse destinazioni, diverse tematiche e diversi dedicatari. Per cui anche il procedimento attuato da Fontana trova più soluzioni e varianti (con barre, senza barre, in prosa unica, con i trattini, a più voci, ecc.); ma con la costante di una ricerca ritmica decisamente originale e incisiva.
Si potrebbe dire che non si tratta d’altro che di visualizzare il tempo («visualizza il tempo / il tempo / e slitta / slitta», dice l’abbrivio di Partita doppia), cioè di marcare il tempo, o, ancora in altre parole, di stendere sulla pagina un’idea di respiro vocale. Abbiamo allora una poesia-spartito (così come, anche nelle prove visive, Fontana utilizza i “righi” di un approccio musicale ‒ vedi, ad esempio, qui, l’immagine in evidenza). Le barre suddividono non tanto i versi quanto le pause che separano le unità minori, i moduli ritmici, potremmo dire, che compongono le unità maggiori o frasi (chiamiamole pure “lasse”). Le unità minori appaiono sempre legate tra loro da qualche somiglianza sonora, mentre le unità maggiori hanno spesso un identico segmento iniziale sicché l’intero testo risulta organizzato in base a fattori d’ordine, rifrazioni e ritorni.
Prendiamo un esempio da Finissage, il testo conclusivo della raccolta:

ceruli abissi / squassi / profondità di glomeruli in esercizi iperbarici / ovarici dilemmi / lemmi in connessioni autorganizzate / per pieghe e pieghe / quando il sistema dinamico accende figure e lingua / e si espande in cervelli altri / per altrui livelli / nel quadro encefalico / che strega / di piega in piega / gli umori secreti oltre il tragico oblio dell’omega / l’ingiusto silenzio / ché la memoria selvaggia scioglie il dilemma dell’eco

Non è qui il luogo per un’analisi approfondita, tuttavia già salta all’occhio la sproporzione dei segmenti, il gioco di passaggi dal corto al lungo. Anche un’analisi metrica non darebbe altro esito che il riscontro della disparità e dei cambi di pedale dal ritmo binario («che strega / di piega in piega»: ‒ + ‒ / ‒ + ‒ + ‒) e il ternario («gli umori secreti oltre il tragico oblio dell’omega»: ‒ + ‒ ‒ + ‒ ‒ + ‒ ‒ + ‒ ‒ + ‒). E naturalmente gli effetti sonori: le rime in posizione finale (strega/piega/omega), ma anche tra fine e inizio (iperbarici/ovarici, dilemmi/lemmi), interne (cervelli/livelli) oppure imperfette (abissi/squassi). La tessitura verbale, quindi, per quanto riprenda modalità invero tradizionali come la rima, non concede nulla alla regolarità; semmai si lascia portare dall’impulso, come se scorresse su di un nastro di volta in volta sezionato, per cui si notano i tagli (Questioni di tagli, è il titolo del testo dedicato a Balestrini) e i rilanci di una scrittura che di punto in punto, di lacerto in lacerto riprende forza e riparte. Quasi l’allegoria di una materia incontenibile. Una energia ritmica che trae origine dal corpo e che intende incidere nell’incorporazione del ricettore.
Ma dove starebbero le discrasie indicate dal titolo generale? La discrasia, il vocabolario la definisce: “Secondo la dottrina umorale ippocratica, lo squilibrio nella composizione o temperamento (crasi) dei quattro umori dell’organismo umano, che caratterizza e condiziona ogni stato morboso”. Uno squilibrio, una patologia: ma allora discrasico è il mondo, il mondo odierno del capitalismo impazzito (già esplorato adeguatamente nelle sue assommanti deiezioni in Questioni di scarti). E allora la musicalità poetica, che pure è posta in primo piano, non restituisce affatto armonia alla dissonanza della realtà. Non vuole sublimare, quanto piuttosto rilevare con l’incalzare di una sonda che scende in profondità: e la ripetizione ha la forma di una inesauribile inchiesta della parola su se stessa. Sarà polemica, come nella Sequela della nebbia, che altro non è se non l’obnubilamento sistematico delle coscienze («Perché nella nebbia le idee vanno a male. E fanno male al cuore»); ma anche autoironica  («il Fontana / un po’ poeta un po’ architetto / quel tanto di alchimista fuoripista che tenta ancora di aggiustare il tiro barcamenandosi nel duemila-e-due in improbabili autoritratti a richiesta»).
E capace, al buon bisogno, di rivolgersi alla operazione stessa, non per nulla il sottotitolo del libro recita Sessioni metacritiche. Tanto da seguire il proprio procedere davvero passo per passo, come dice il brano intitolato Pas à pas, dedicato a Julien Blaine e caratterizzato perciò da uno spiccato plurilinguismo:

sì / pas à pas … misura il percorso attentamente / conta i passi scrupolo­samente / ma poi improvvisamente / ecco la chute / j’appris hier qu’il a pris de se jeter du haut des marches de la gare Saint-Charles / Blaine est le cris / le corps catalysant / il colpo gobbo / segno di mutamento / un volo di rigenerazione / fermento / ces cris / qui prennent le ton du défi / d’un coup / en chair et en os / il marche / par affirmation de la démesure et de la transgression / déclaration d’engagement / le rythme à grands pas / encore un cri / le rythme à grands pas / encore un cri / le rythme à grands pas / encore un cri / la chaleur / un acte d’amour / il marche

Dove si nota la dialettica fondamentale tra l’ossessione della misura che circola in tutto il testo come strutturazione che rimanda alla sorveglianza sperimentale e dall’altra parte la chute, la caduta, il punto di rottura, l’interruzione e l’irruzione dell’imponderabile, del fuori misura. Parallelamente, l’intera raccolta è animata dalla dialettica tra l’impianto sonoro, essenzialmente ludico-pulsionale, e il rapporto con altri autori evidenziati nelle dediche, per cui il lavoro di Fontana si configura spesso come reazione al testo altrui e (soprattutto nella parte finale) si fa quasi recensione in forma di testo parallelo.
Giustamente Carlino, nel suo scritto a margine sottolinea, oltre al principio dell’intermedialità, la questione della tecnica (che, seguendo Benjamin, “non va demonizzata”). E questo libro, in effetti, animato com’è da una irrefrenabile ipervocalità, tuttavia indica chiaramente in essa una precisa e netta tendenza critica.

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