Approssimazione al sarcasmo

Sarcasmo è un termine che possiamo rinvenire spesso non solo nella vita quotidiana, ma anche adottato come indicazione critica nella letteratura. Appare collegato alle forme del riso e del comico, tuttavia se ci domandiamo cosa significhi esattamente cominciamo a incontrare qualche difficoltà; come – ma forse anche di più – per il grottesco.
Infatti, muovendo alla ricerca di una definizione, il sarcasmo si mette a sconfinare da tutte le parti e non solo si ritrae da una precisa conformazione tecnica, ma va a sovrapporsi a tutta una serie di nozioni a lui prossime. Secondo alcuni si identifica con l’ironia, ma quella si porta dietro una postura antifrastica (dire il contrario) cui il sarcasmo non è riducibile. E ancora: coincide con la satira? Con l’umorismo, magari di colore nero? Con il motto di spirito del tipo cinico? Con l’invettiva? Volendo, potremmo ispirarci anche alla musica, dato il titolo Sarcasmi di Prokofiev e aggiungere allora pure la parodia e la dissonanza. E però, anche se ha qualcosa di tutti questi territori, il sarcasmo non sembra poter risiedere e confinarsi comodamente in nessuno di essi.

Per procedere almeno per approssimazione, provo a rivolgermi innanzitutto al libro di Jolles sulle Forme semplici, che offre un ultimo capitolo riguardante lo Scherzo (Witz). Questa forma possiede, in generale, un “effetto dirompente”, volto a sciogliere qualcosa di vincolato, insomma una modalità della “dissociazione”. In dettaglio Jolles si occupa principalmente dell’ironia e della satira (come fa anche Frye nella sua Anatomia della critica), ma prima di arrivarci tocca un concetto più vasto che è la “derisione” (Spott), quando il comico si applica ad un oggetto criticabile. Con lo “scherno” siamo arrivati vicino al sarcasmo, ma non ancora in modo soddisfacente.
Cosa ha in più il sarcasmo? Ha la carne, da cui deriva la parola. L’etimologia ci avverte, infatti, che qui il linguaggio equivale a “mordere la carne”… E allora si potrebbe anche risolvere il controverso rapporto con l’ironia collegando il sarcasmo alle punte più acute di quella che non a caso si chiama ironia mordente, contrapposta a quella moderata. La difficoltà di applicare a sarcasmo una forma precisa o una singola tecnica potrebbe essere scavalcata grazie al passaggio dalla forma alla forza: risultando la differenza dalle altre modalità del riso una questione di intensità. Su questa base il sarcasmo si sposta dal versante dell’ironia a quello della satira e anche al suo confronto vanta il massimo grado di aggressività e di polemica. Ciò, ovviamente, di questi tempi fin troppo polemicamente corretti e delicati, non gli vale come vanto ma come sospetto di essere troppo violento, rancoroso, maschilista… Non per nulla lo si trova stigmatizzato come la forma più bassa del comico.
Ma, attenzione. Se torniamo a consultare le definizioni dei dizionari, troviamo insieme ai termini che connotano la vis pugnace di quel “morso alla carne” (l’animosità offensiva, la rabbia, persino l’odio), anche una strana accompagnatrice, che è l’“amarezza”. Invece di una operazione tutta intesa a respingere l’altro e a coprirlo di vituperi nullificanti (come è l’invettiva), a compensare magari una debolezza di fondo rispetto all’avversario, l’amarezza del sarcasmo sembra alludere a un dispiacere del testo che riguarda anche colui che lo emette. Si apre così una ipotesi più complessa. Questa ipotesi si potrebbe schematizzare sorprendentemente così: il sarcasmo come il contrario dell’ironia.
L’ironia è dire il contrario, d’accordo. Ma è efficace soprattutto quando dice il bene al posto del male: così è, ad esempio, tutto l’elogio del giovin signore nel Giorno di Parini, cioè i difetti proclamati attraverso la lode. Proviamo, invece, a considerare il sarcasmo come il male al posto del bene. Esso rappresenterebbe allora non tanto un’arma per una singola rivalsa, bensì uno smantellamento di valori, espressione di un nichilismo di fondo. Se, come ha scritto Eagleton, «il confine tra comicità e cinismo può quindi essere estremamente sottile», il sarcasmo è la testa di ponte che passa dall’altra parte e non a caso non offre le remunerazioni dello sfogo della risata (difficile ridere, per dire, della Modesta proposta di Swift).
Forse sarebbe utile reinterpretare il sarcasmo alla luce del cinismo, ma ricorrendo a quella divisione interna del cinismo operata da Sloterdijk nella sua Critica della ragion cinica. Da un lato il cinismo dalla parte dello status quo, che sfrutta i vantaggi del potere costi quello che costi in termini di vite o in qualità della vita; dall’altra il kinismo originario di matrice-Diogene. «Il nucleo del kinismo – scrive il filosofo tedesco – consiste in una filosofia critico-ironica verso i cosiddetti “bisogni””, dei quali è necessario mettere a nudo una fondamentale smodatezza e assurdità». E ancora: «La ragione kinica culmina nella nozione, calunniosamente presentata come nichilismo, secondo cui è invece saggio sgonfiare le Grandi Mete». Il sarcasmo sarebbe allora l’emersione di questa critica radicale. Forse la reticenza e la vaghezza a suo proposito derivano proprio da un tale eccesso che spiega sufficientemente come il riso sia amaro o non si rida affatto.
Tornando alla differenza dall’ironia, la si può constatare il divergere dell’“effetto dirompente”. A ben vedere, l’“effetto dirompente” dell’ironia riguarda soprattutto il linguaggio, che viene sospeso in una sostanziale ambiguità: se esiste l’ironia non potrò mai sapere se quella parola non significhi magari il suo contrario… Nel caso del sarcasmo, invece, l’“effetto dirompente” riguarda i Valori con la maiuscola in una sostanziale dissacrazione (“il sarcasmo dissacra” è per di più una buona paronomasia) e in un generale sfondamento (su cosa ti fondi tu? Su nulla!). Non si sa cosa sia peggio…
Citando un autore, Mario Lunetta, al quale mi è occorso spesso di attribuire un carattere sarcastico, dal Liber veritatis: «La letteratura, anche la più mite, è sempre un sacrificio di sangue compiuto sotto il governo dell’intelligenza».

P. S.: Al momento di pubblicare l’articolo m’imbatto, nel Watt di Samuel Beckett, in una interessante suddivisione dei tipi di risata: «La risata amara [the bitter laugh] ride di tutto ciò che non è buono, è la risata etica. La risata sorda [the hollow laugh] ride di tutto ciò che non è vero, è la risata intellettuale. Ma la risata cupa [the mirthless laugh] è la risata dianoetica, giù lungo il grugno – ah ah! – così. È la risata delle risate, il risus purus, la risata che ride del ridere, quella contemplativa, quella che saluta la beffa più divertita, in una parola risata che ride – silenzio, prego – di tutto ciò che è infelice». Il sarcasmo sembrerebbe appartenere piuttosto al primo tipo, in quanto è decisamente “amaro”; ma non sarà, poi, anche assai “cupo”? “Mirthless”: senza allegria?

04/04/2024

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