Oltre a un grande quaderno sulla Avanguardia permanente. Il sabotaggio barocco, che ospita interventi di Paolo Allegrezza, Francesco Aprile, Gaetano delli Santi, Giovanni Fontana, Sandro Sproccati, il sottoscritto e naturalmente l’autore-editore Carmine Lubrano, il Lab-Oratorio di “Terra del Fuoco” ha pubblicato altri due libri di rilievo: il saggio di Francesco Aprile, “Terza ondata”. Ieri e oggi: contesti e pratiche, e soprattutto un nuovo libro di poesie di Lubrano stesso, Yakamoz, smisturata maraviglia.
Quello di Lubrano è davvero un “poema interminabile” (come si legge a un certo punto, «questo libro che non sa ultimarsi mai»). Complice l’impaginazione, non si è mai del tutto sicuri se ci si trovi in un nuovo componimento o in una ulteriore sezione o continuazione. In ogni caso, sia come sia, il testo è sostenuto e continuamente ravvivato da una spinta inesausta, per così dire, erotico-verbale e dal ritmo di una affabulazione trascinante. Gli assicurano continuità concatenazioni associative di significato e di suono: le rime e le paronomasie liberamente dislocate (tipo: «un garbuglio congelato in pieno luglio / scompiglio a più non posso fesso nel fosso»).
O anche l’allitterazione ossessiva, come in questa sequenza in “v” (lettera che proviene dall’iniziale della dedicataria Valeria):
vorrei
vagheggiare
come in un valzer vaneggiare
nel tuo vaporoso vanitoso vangelo vascolare
nel tuo ventre ventoso ventriloquare e con verace vorace
ventura verbale con un verbo-verbena e senza
verderame
nella tua vertigine vendemmiare con un viaggio di-vino
tu vergine violinista venere dal vizio vivace
vocabolo dal volteggio volubile
e con vegetale veemenza
in questi versi
vorticosi
dal tuo vociare voglioso
tra volitive virgolette
la tua varicosa varicella il tuo velluto venoso veleno
Un ritmo incantatorio («dal ritmo incantatorio gesto ritmo azione libera danza»), deliberatamente dionisiaco. Là dove Lubrano utilizza la formula “Poesia+x” il suo “additivo” è in primo luogo l’espansività, il richiamo al contatto, la forza del coinvolgimento. È una poesia gestuale e scenica, secondo un’istanza che sale dal basso: «sarò teatro e teatrante sarò brigante sarò puttaniere / sarò giullare e poeta di corte e giocoliere».
Di tale flusso fa parte anche il citazionismo , più precisamente il rimando partecipante ai “santi anarchici” delle avanguardie, tra i quali qui compaiono soprattutto i dadaisti («così dada dada si ha ancora voglia di dada») e ancora Sanguineti, nel rifacimento della sua famosa ricetta. Solo che, mentre in Sanguineti si trattava di “preparare una poesia”, qui Lubrano aggiunge alcuni aggettivi (ancora “poesia+1”) di non proprio piccolo calibro e attacca, sbilanciandosi un po’ di più: «per preparare una poesia comunista un po’ dada antagonista», ecc…
Il titolo, Yakamoz, riprende la parola turca eletta “la più bella del mondo”, che ha per significato “il riflesso della luna sull’acqua”. Ah beh, potrebbe dire qualcuno, eccoci nell’evocativo sublime! Ma attenzione, perché se Lubrano è sensibile alla bellezza, lo è nel pieno uso dei sensi: ogni bellezza deve essere toccata, coinvolta nella materia corporea, tra le emissioni del basso e il ritorno del represso della «lingua amor osa» e della «parola pilosa», tra le contaminazioni quali quella fondamentale, cara all’autore, tra la lingua e il dialetto. E infatti, nel testo specificamente dedicato a Yakamoz, la «cchiù bbella parola» è immediatamente trascinata, a ritmo di tarantella, nei territori di un desiderio ben poco impalpabile:
’a signora co ’e tacchi quanno cammina ce abballano ’e pacche
’a signora co ’e pizzi quanno cammina ce abballano ’e zizze
’a cchiù bbella parola ’a cchiù bbella parola
tarantella pacche e zizze tarantella d’ammore
’a cchiù bbella parola
sciammera sfaccimma musciaria pucundria
Del resto, già nel titolo, la “parola più poetica del mondo” era seguita dal sottotitolo Smisturata maraviglia: l’aggiunta di una sola lettera (dove ci aspetteremmo ovviamente “smisurata”) fa diventare l’effetto sublimante una curiosa commistione tra lo “sturare” e il “mescolare”: l’ibridazione è servita.
Quanto al libro di Francesco Aprile sulla Terza Ondata, è un saggio critico davvero prezioso, perché va a ricostruire il complesso passaggio tra anni Ottanta e Novanta con il suo carico di invenzioni, allargamenti teorici e varietà di posizioni. Di fatto Gruppo 93 e Terza ondata costituiscono l’ultimo tentativo discretamente ampio compiuto in Italia di suscitare un dibattito sulla tendenza poetica e letteraria. Un passaggio praticamente cancellato dalla memoria collettiva, rimasta al massimo a preoccuparsi del ’63, e però un momento vivacissimo (in alcuni casi fin troppo) che ha lasciato soluzioni di anomalia tuttora utili e da valutare. Proprio quello che fa Francesco Aprile con ottima competenza e acutezza critica, mostrando l’approccio di una nuova generazione che non vuole ignorare i precedenti, ma al contrario riscattarli dall’oblio.
Si tratta, come è giusto, di una storia proiettiva, tesa verso il presente. A partire dalla scoperta del “corpo sociale della parola”, il dibattito verteva allora (e, mi viene da dire: ancora oggi) sulla strategia migliore per “fare la stessa cosa diversamente” rispetto alle precedenti ondate.
Scrive Aprile:
Se oggi tutto è intrattenimento, nella Terza Ondata insiste un certo passaggio che dal deforme del barocco vira verso l’informe della materia, dello stato organico come abbandono della forma unitaria e totalizzante del simbolo a vantaggio di linee poetiche che agiscono nelle contrazioni vitali di un corpo che ricorda, ancora, come esistano modi e tempi differenti da quelli della standardizzazione sociale.
E, poco oltre:
In questo contesto, la letteratura anche e soprattutto con i suoi effetti di stile assume posizione, è tendenziosa. L’adozione di forme non normalizzate fa sì che la scrittura della Terza Ondata sia politica a partire dal fatto che una critica al sistema produttivo è anche una critica al sistema linguistico, in quanto il primo è sempre attraversato da un linguaggio il cui registro concorre ad organizzare le esistenze. Il gruppo come valore eterogeneo (non normalizzato) tenuto insieme da linee guida intrise di criticità si erge a momento ed elemento chiave di una battaglia all’istituzione culturale.
Bisognerà tornare a occuparsi di questo libro, magari nel contesto della ripresa di dibattito sulla “poesia di ricerca”.