Ideologia e menzogna

Proseguendo nell’esame dei problemi dell’ideologia, una delle modalità più frequenti che si incontrano nel dibattito al riguardo è quella che la considera come discorso falso. Menzogna consapevole, che si ritrova oggi nelle fake news, facilmente inseribili nel gran mare di internet; o menzogna inconscia, per così dire, nella “falsa coscienza”, indicata molto spesso nella tradizione marxista come luogo in cui s’installa l’ideologia. Falsa coscienza, o anche errato calcolo di interesse, come quello dello svantaggiato che confida in un governo destrorso. Il primo caso sembra più semplice: basta una verifica, un controllo dei dati in base a una oggettività condivisa o condivisibile. Il secondo è meno semplice: occorre una controdimostrazione capace di scalfire un convincimento a volte assai profondo e radicato.

Una volta definita l’ideologia come una asserzione fatta a fini di potere, è chiaro che la sua intenzione produrrà un quanto di comunicazione distorta Nella Ideologia tedesca di Marx e Engels la cosa è rappresentata come rovesciamento, simile a quanto avviene nella fotografia: «Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico». Ma non si tratta semplicemente di dire il contrario di quello che afferma la classe dominante, questo è sempre fattibile, ma più complicato mi sembra riportare il discorso dal cielo spirituale alla terra dei “rapporti reali”. Nelle questioni umane la concretezza stessa può diventare opinabile.
Marx ha detto che «la critica della religione è il presupposto di ogni critica». Oggi si potrebbe modificare così: in qualche maniera, religiosa o atea che sia la famiglia, vi è un passaggio all’età adulta che consiste nel rendersi conto che Babbo Natale non esiste, perché le renne non volano e la presenza simultanea in tutto il mondo è impossibile (quindi: “la scoperta dell’inesistenza di Babbo Natale è il modello di ogni critica”). Nella mossa, sostanzialmente illuministica, di demistificazione del mito una ragione di comune buon senso sembrerebbe sufficiente. Ma non lo è più quando la religione risponde impiantando la fede proprio nell’assurdo, o quando la tradizione fa appello alle radici molto ben salde del “si fa così perché si è sempre fatto così e mi hanno insegnato a fare così”. Si vede, poi, in un caso come nell’altro, un cogente motivo pragmatico: il peso della comunità, il calcolo personale (i bambini che fingono di credere ancora a Babbo Natale perché temono che altrimenti i regali non arrivino più…).
Realtà o ragione che siano da usare, la questione del falso va allargata. E così infatti è avvenuto nel dibattito sull’ideologia. Nel Lukács di Storia e coscienza di classe (1923), a fare il gioco della classe dominante non è tanto la falsità, quanto la parzialità. Coloro che sono avvantaggiati dal sistema sociale non hanno interesse a capire come funziona, gli basta capire che torna a loro vantaggio e come sfruttarne le opportunità: è invece la classe subalterna che, per cambiare il sistema che la opprime, deve per forza concepire la prospettiva della totalità. Scrive Lukács:

Soltanto con l’apparire del proletariato giunge a compimento la conoscenza della realtà sociale, E questo proprio per il fatto che si è trovato nel punto di vista di classe del proletariato il punto a partire dal quale la società diventa visibile come intero. Solo perché per il proletariato è un bisogno di vita, una questione di esistenza, ottenere la massima chiarezza sulla propria situazione di classe; solo perché questa situazione diventa comprensibile unicamente nella conoscenza dell’intera società – conoscenza che è l’indispensabile premessa delle sue azioni, – nel materialismo storico è sorta ad un tempo la teoria delle «condizioni per la liberazione del proletariato» e la teoria della realtà del processo complessivo dello sviluppo sociale.

Nella seconda parte del Novecento, l’avvento della società dei consumi renderà meno visibili le differenze di classe e si svilupperà una cultura dell’omologazione, rivolta a un «one dimensional man», come lo definisce Marcuse. Secondo Marcuse la ragione ridotta al pragmatismo dell’efficienza del sistema può essere anche aperta e plurale, però a patto che venga esclusa l’alternativa:

Noi viviamo e moriamo in modo razionale e produttivo. Noi sappiamo che la distruzione è il prezzo del progresso, così come la morte è il prezzo della vita; che rinuncia e fatica sono condizioni necessarie del piacere e della gioia; che l’attività economica deve proseguire, e che le alternative sono utopiche. Questa ideologia appartiene all’apparato stabilito della società; è un requisito del suo regolare funzionamento, fa parte della sua razionalità.

Si fa strada l’imperativo pragmatico: risolvere i problemi caso per caso trovando le pratiche adatte senza farsi fuorviare da preconcetti (che vengono stigmatizzati per l’appunto come remore ideologiche). Quando le azioni di governo vengono giustificate in base alla scelta obbligata della situazione economica si può dire che le “leggi di ferro” cui ci si appella siano frutto dell’ideologia? Il pagmatismo sembrerebbe giudicabile soltanto a posteriori sulla base dei risultati, ma sempre secondo la sua logica dell’efficienza. Eppure, proprio questa “costituzione della realtà” andrebbe messa in discussione. Di fronte a un operare che può apparire funzionale, il limite sono esattamente i suoi “paraocchi”. Ancora la parzialità del calcolo.
Insomma, in che senso allora è falsa una ideologia connessa alle cose stesse? E che valore può avere contro di essa un ragionamento rivolto alla convinzione? L’ideologia diventa ancora più efficace se riguarda il comportamento, non solo quello deliberativo (il voto elettorale, per dire), ma anche quello dei gesti quotidiani. Posso fare mille discorsi contro il maschilismo e poi comportarmi in modo maschilista, quasi senza volerlo. Si apre il capitolo dell’inconscio ideologico: non si può dire che sia falso in senso stretto, perché non pertiene a una argomentazione.
Quello che si può fare, intanto, è articolare maggiormente la nozione di ideologia. Il nostro Rossi-Landi, nel suo libro (titolo, per l’appunto: Ideologia) ha cercato di fare chiarezza sui diversi tipi di distorsione, ha distinto la “falsa coscienza” dal “falso pensiero”, ha indicato le sfasature tra dire e fare, gli scambi categoriali (tra proprietà “soltanto-naturali”, “sociali-naturali” e “soltanto sociali”), ha precisato una per una le forme della reificazione, entificazione, cosificazione; e poi i centrismi, la feticizzazione, la mistificazione, la coscienza schizofrenica; e ancora le confusioni, i letteralismi o metaforicismi, i personalismi, i segregazionismi, i formalismi; tutti i modi in cui un elemento prende surrettiziamente preponderanza sull’insieme. Un prontuario presentato come “provvisorio” e aperto a “migliorie”,
Infatti, nuovi capitoli si aprono, andando oltre l’ideologia come menzogna: il potere dell’immagine, una sorta di ideologia muta; il lato seduttivo, quelli che oggi si chiamano gli attrattori; come poter trattare gli investimenti psichici. Saranno temi da affrontare, a non voler cedere all’irrazionale, per guadagnare maggior ragione.

22/04/2023

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