In questo momento davvero effervescente e produttivo del suo percorso letterario Carmine Lubrano, oltre ai fascicoli di grande formato di “Terra del Fuoco”, tra i quali quello particolarmente impegnativo dell’antologia sull’Avanguardia permanente, ha pubblicato anche un suo testo di narrativa: ’O ciuccio ca vola, il romanzo di AnnArosa, sempre siglato dal Lab-Oratorio Poietico. E sempre accompagnato dalla impaginazione più eccentrica che si possa immaginare, che alterna parole e immagini, collages, caratteri diversi, spaziature e quant’altro cui l’estro dell’autore ci ha abituati. Romanzo, dice il frontespizio ed effettivamente il testo è scritto in prosa, sebbene subisca spesso la tentazione di andare a capo come la poesia e sia di certo fortemente imparentato allo stile poetico dell’autore. “Romanzo sperimentale”, rivendica Lubrano tenendo a distinguersi dai «contemporanei tutti attenti a confezionare “leggibili” insulse brodaglie illeggibili». Romanzo “anomalo”, dunque, e scrittura al confine dei generi.
Il romanzo è dedicato, fin dal frontespizio, al personaggio femminile di AnnArosa (notare quella maiuscola spostata) e per suo tramite diventa un’epica e continua metamorfosi del desiderio. Il desiderio si configura di tappa in tappa, di stazione in stazione (di copula in copula, si potrebbe dire) come ricerca inesauribile dell’alterità, spinta all’uscita fuori di sé, esplorazione libera, tensione, trasporto, incompostezza. La figura femminile ispiratrice lo è nel senso materiale-erotico dell’attrazione e della comunicazione attraverso l’eccitazione del corpo, che riceve un elogio esuberante riguardo a tutte le sue “zone”:
La mia donna dalle anche di navicella! Dalle anche di lampadario e penne di freccia /
E steli di piume di pavone bianco / Di bilancia insensibile
La mia donna dalle natiche d’arenaria e d’amianto / La mia donna dalle natiche di dorso di cigno /
La mia donna dalle natiche di primavera / Dal sesso di gladiolo /
La mia donna dal sesso di terra aurifera e d’ornitorinco /
La mia donna dal sesso d’alga e di caramelle d’un tempo /
Ma non c’è solo la provocazione “carnale” accompagnata da tutti i temi del basso corporeo; a colpire è anche il tout dire di una scrittura «pornograficamente / oscena di estrema incorreggibile bellezza». Guida il desiderio il movimento contagioso della danza («AnnArosa voleva ballare la pizzica fu costretta a ballare la taranta») che si trasmette al ritmo della prosa e al corpo stesso della parola, che è debitamente plurilinguistica, impasto di lingua e dialetto, contaminazione e ibridismo spinti ad oltranza in modi tra la litania e il delirio. Proprio l’oltranza del desiderio costringe il linguaggio a una analoga vitalità , quindi a farsi visivo e a mescolarsi con l’immagine, a sua volta manipolata nel collage. Ancora, l’oltranza del desiderio prende il materiale autobiografico e il rimando a persone reali e li coinvolge insieme alle riprese della leggenda locale e popolare (il titolo stesso, ’O ciuccio ca vola, rimanda al santo Giuseppe da Copertino, l’ingenuo e visionario Fratel Asino) e così fa leggendari anche i realemi. Dai santi folli ai santi anarchici dell’avanguardia il passo è breve, tanto che la narrativa di Lubrano potrebbe intendersi come un romanzo di formazione (o piuttosto di “deformazione”: il contrario di un acquietarsi nelle forme dell’ordine), un manuale su come si diventa artisti d’avanguardia, vedi il passaggio di AnnArosa a Parigi e l’apprendistato presso i padri dada-surrealisti, che in seguito vengono sostituiti dalle presenze magistrali di Edoardo Sanguineti e Carmelo Bene:
il Laborintus il mal de’ fiori e l’innamoramentum
Edoardo Sanguineti Carmelo Bene e Carmine Lubrano
Amava i poeti barocchi e li trascriveva sulle pagine di un quadernetto a volte confondendoli tra di loro aggrovigliando i versi creando nuove immagini e nuove assonanze
Ma la lista delle menzioni è anche più lunga e comprende, tra le altre cose, la Tempesta shakespeariana:
’o ciuccio ca vola vola ’o ciuccio a voccaperta tra Eros & Priapo e qui si riparano bambole assopite e tra sciare e mal’umbre scazzamurieddhri folletti e streghe salentine mentre il re di Napoli ed il duca di Milano affrontano insieme la tempesta nel mar mediterraneo e Trinculo ca fete ’e pisciazza Carmelo Bene incontra ancora una volta Dino Campana i suoi orfici canti il tormento
tutti i dadaisti e i surrealisti in coro cantano canzoni di cui ormai non abbiamo più alcuna memoria e tra alte falesie scolpite dal vento faraglioni improvvisi tra denti di squalo e serpenti
tra inchiostro spermatico ed eloquente caos linguistico tra Trimalcione Calibano e Duchamp tra callipigie depilate tra vino alchimisti e poeti madonne sporche di fango e santi ’gnuranti
AnnArosa come l’Asino vuole volare
via dai peti dai guitti sacrestani di oscuri pantani
E dunque un desiderio che si fa anche citazionista e onnivoro e inglobante, si fa assemblage, né disprezza l’anacronismo che vede il Lubrano attuale (Carmine) trasformato nell’antecedente Lubrano (Giacomo) poeta secentesco del Barocco. Desiderio dunque come slittamento e continua digressione, cambiamento a ogni svolto di pagina.
Di contro, nel finale la repressione sembra vincere, con il profilo minaccioso della orwelliana stanza 101:
ora rinchiusi come siamo nella stanza uno-zero-uno dove c’è la cosa peggiore del mondo topi ragni virus e pandemia così che siamo costretti a dimenticare assopirci lentamente e quotidianamente avveleniamo i nostri pasti quotidiani e così sia con il sesso racchiuso nel pass da obliterare
nelle latrine officiali dell’ufficio defontorio della santa santa inquisizione
Ma il testo di Lubrano non è “sconfittista”, non è affatto rivolto all’indietro nel rimpianto delle occasioni perdute, è trascinato in avanti da una vitalità pulsionale stracarica. Per altro, un testo così esondante non sopporta epilogo e si riapre dopo quel provvisorio congedo con tutta una serie di aggiunte che sfumano nei titoli di coda, a insistere, a non smettere, a dimostrare la permanenza dell’istanza dell’avanguardia. Gli slittamenti del desiderio conducono il romanzo a derogare ancora e a terminare, semmai, con qualche dichiarazione programmatica, magari in forma di eco: «la voce vociando ai volani / allucca e spertosa osa osa».
14/05/2022