Continuano le anticipazioni della ricerca dedicata al Joyce giocoso e parodico. In questo caso è in vacanza in Francia e incontra inconvenienti che non auguriamo a nessuno: pioggia e zanzare, per fortuna compensate dal buon vino.
A ROUEN, TERRA PIÙ DESOLATA
Rouen è il luogo più piovoso, deride
tutti gli impermeabili, intride
zuppe midolla in ossa infradiciate.
L’inverno ci annaffiò verso Le Mans.
Nostro hotel a Niort era Uva di Borgogna,
ma i torchi del Signore tuonarono sull’uva di Borgogna
e noi smammammo, che scalogna!
(svelto, Joyce, non tardare!)
Sentii ronzar zanzare nella vecchia Bordeaux
Ma tante!
Ch’io non pensava terra ne contenesse tante!
(svelto, Joyce, non tardare!)
Monsieur Anthologos, il giardinier locale,
grigio il berretto, gentilmente accorto
ha fatto vino già da cinquant’anni
e con il suo accento del sud dice:
Le petit vin è il meglio da comprare
perché si nun è bono
Vous ne l’avez pas payé
(Joyce, non tardare, svelto, svelto, svelto!)
Ma grandi cure ora ci attendono
in Clinica, ʼsta terra desolata
o Esculapio!
(Come no, come no, come no)
1925. Una gita a Rouen con un pessimo clima ispira Joyce una parodia della Waste Land di Eliot. L’attacco è ricalcato sul noto «April is the cruellest month, breeding / Lilacs out of the dead land, mixing / Memory and desire…». «Dull roots with spring rain» diventa «Damp marrow in drenched bones», mentre subito dopo «Winter kept us warm» è volto al contrario in «Midwinter soused us». Più avanti, Monsieur Anthologos probabilmente sostituisce «Madame Sosostris, famous clairvoyante», mentre l’insistito «HURRY UP PLEASE ITS TIME» eliotiano viene qui rivolto all’autore stesso con un altrettanto insistito «Hurry up, Joyce, it’s time». Una buona trasformazione abbassante riguarda il passo della folla sul London Bridge che rievoca i dannati danteschi (The Waste Land: «A crowd flowed over London Bridge, so many, / I had not thought death had undone so many»), da Joyce applicato a feroci nugoli di zanzare: «I heard mosquitoes swarm in old Bordeaux / So many! / I had not thought the earth contained so many». Né poteva mancare il finale: il triplice sanscrito «Shantih shantih shantih» (che significa “pace ineffabile”) trasformato nella domanda retorica «Shan’t we? Shan’t we? Shan’t we?» (una parodia che tornerà in altra forma in Finnegans Wake, Libro II, 2: «Thou in Shanty! Thou in scanty shanty!! Thou in slanty scanty shanty!!!»). Nel finale, la “terra desolata” viene dislocata nella clinica che attende Joyce per i suoi problemi agli occhi.
Non è una parodia tanto cattiva. Con Eliot i rapporti erano, se pur non ottimi, almeno discreti. Eliot aveva conosciuto Joyce in seguito alle insistenze di Pound e lo aveva accolto con tiepide approvazioni. Un incontro diretto a cena (a Parigi il 15 agosto 1920) terminò senza gran soddisfazione. Alla lettura di The Waste Land pare che Joyce commentasse: «Non mi ero mai accorto che Eliot fosse un poeta». Dal canto suo Eliot scrisse una recensione (Ulysses, Order and Mith, in “Dial”, novembre 1923) fortemente elogiativa, dichiarando «I hold this book to be the most important expression which the present age has found»), puntando su ciò che era più vicino alla sua poetica, cioè il ricorso al mito (l’Odissea) e quindi il continuo parallelismo «between contemporaneity and antiquity».
12/08/2021