Avanguardia e utopia

Segnalo l’uscita del volume collettivo intitolato Acrobati del futuro. L’uomo nuovo delle avanguardie storiche, pubblicato da Mimesis. Il volume è curato dagli specialisti di letteratura tedesca e francese, Gabriele Guerra, Massimo Blanco e Daniela Padularosa e contiene gli atti del convegno tenuto all’Università “Sapienza” di Roma il 24-25 maggio 2018. Il libro compone, nella gamma dei diversi interventi, un quadro molto vivace delle avanguardie europee nella prima metà del Novecento. Si parla di futurismo, dadaismo, espressionismo, arrivando fino al primo Brecht e affrontando i diversi settori artistici, compresa la musica. E, come indica il titolo, cercando di delucidare il nesso tra l’avanguardia artistica e la proiezione verso il futuro, ovvero la costruzione dell’uomo nuovo. Un nesso molto importante e spesso trascurato, soprattutto dai detrattori dell’avanguardia, che la trattano come insensatezza fine a se stessa; mentre lo scatenamento verbale contiene non soltanto una tendenza polemica antiborghese, ma anche una componente utopica, libertaria e anarchica.
La pubblicazione degli atti di quel convegno è anche una buona occasione per ricordare Mauro Ponzi, che ne è stato l’ideatore e l’animatore. A tutti i partecipanti di allora Mauro manca molto.

Per dare una prova del tono del convegno e del volume relativo, prenderei proprio un breve brano del saggio di Ponzi che apre il libro, sotto il titolo Palingenesi, opera d’arte totale e ricerca dell’altrove. Utopie dell’avanguardia. È l’inizio del paragrafo intitolato Vitalismo:

Le avanguardie artistiche del Primo Novecento fanno parte di quel cro­giuolo di esperienze che hanno prodotto la sperimentazione di nuovi linguaggi e hanno ossessivamente ricercato nuove forme espressive, a cui abbiamo dato il nome di Klassische Moderne. L’opera d’arte come progetto e la continua messa in discussione delle ‘forme’ appena prodotte hanno inserito nella poetica delle avanguardie due elementi costitutivi in apparente contraddizione tra loro: la razionalità del progetto e l’incertezza dei risultati dovuta al carattere distruttivo implicito in questa stessa operazione basata sull’invenzione dei codici espressivi.
Gli autori delle avanguardie hanno progettato un dispositivo artistico che rappresenta una rottura nei confronti della tradizione proprio perché prevedeva un display radicalmente diverso, reso possibile dalle acquisizioni più recenti della tecnica moderna. La radicale novità delle avanguardie sta nella dispositio del materiale poetico, nella sua strutturazione su un supporto che prima non esisteva e che instaura un modo di percezione e di fruizione dell’opera d’arte del tutto diverso. Uccidiamo il chiaro di luna di Marinetti proclama esplicitamente l’esclusione dal progetto artistico di quella sentimentalità e immedesimazione che aveva caratterizzato la percezione dell’opera d’arte tradizionale. D’altronde, quelle caratteristiche della Moderne — velocità e simultaneità — sono l’esito ultimo di una tecnica che fa da supporto all’apparato e che prima non potevano sussistere in questa forma semplicemente perché materialmente non esistevano. Questa materialità dell’opera d’arte può anche essere vista come l’esito di quella radicale negazione di ogni metafisica da parte di Nietzsche. L’opera d’arte è concepita quindi come un assemblaggio di materiali eterogenei che provoca uno choc sul fruitore e che si basa sull’esaltazione delle caratteristiche — distruttive e costruttive — della tecnica moderna.

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