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Per un autobiografismo sostenibile

A riflettere sull’autobiografismo tanto in auge oggi può aiutare un romanzo “autobiografico” (ma tra virgolette…) come Bambine di Alice Ceresa, uscito da Einaudi nel 1990 e ora ripubblicato in edizione riveduta dall’editore Casagrande di Bellinzona, per la cura di Tatiana Crivelli. Nella nuova veste controllata sui materiali d’archivio, la curatrice ha ripristinato i capitoli-cornice (primo e ultimo) che Ceresa voleva fossero stampati in forma di versi, mentre Einaudi li mise in prosa e in corsivo; inoltre ha segnalato il titolo proposto dall’autrice, La cacciata dal paradiso, ponendolo come sottotitolo. Il testo è poi completato da interviste, lettere e un’utilissima postfazione della stessa Crivelli.
Alice Ceresa era nata in Svizzera (di qui l’interessamento dell’editore e delle università di quel paese), ma ha scritto prevalentemente in italiano e in particolare è stata apprezzata nella temperie del Gruppo 63. Nel suo primo romanzo, La figlia prodiga, apprezzato da Giorgio Manganelli, la ribellione al senso comune è affrontata con lo stile del trattato: la “figlia prodiga” è l’autrice, sì, ma solo attraverso l’astrazione della definizione di una particolare forma di comportamento che è appunto la “prodigalità”. In Bambine, che è la storia di due sorelle dall’infanzia all’adolescenza, il materiale autobiografico è più evidente, e tuttavia… Continua a leggere Per un autobiografismo sostenibile

Andrea Inglese non fa storie come gli altri

Storie! Storie! È quello che il pubblico desidera, che vuole, che consuma con passione, una storia tira l’altra altrimenti se ne sente l’astinenza, le storie prendono, tirano e si vendono… La curiosità indiscreta del lettore comune (sebbene in diminuzione numerica perché attratto da ben altre “serie”) ne fa man bassa e tanto più se storie di dolore e sofferenza, aureolate dal fatto di essere prodotte da esperienze autentiche, patemi dell’autore stesso in carne ed ossa. Prendono, tirano e si vendono ancora le storie del soggetto familiare, teste l’ultimo Strega con uno del padre e uno della madre, così da non far torto a nessuno in par condicio. Siamo avvolti nelle storie (e anche la retorica politica ce ne racconta un sacco).
Mi ha incuriosito, allora, il titolo dell’ultimo libro di Andrea Inglese, Storie di un secolo ulteriore, edito da DeriveApprodi. Non solo il titolo generale, ma anche il titolo dei singoli brani (o raccontini) contiene la fatidica parola: Storia del giro, Storia con cadaveri, e via di seguito “storieggiando” fino alla fine. Che si sia convertito all’andazzo corrente? Ma da Inglese, poeta prestato alla narrativa e proveniente dall’esperienza “fuori dei generi” dell’antologia Prosa in prosa, dove sta proprio in prima posizione con i suoi Prati, c’era da aspettarsi qualcosa di diverso. E infatti. Continua a leggere Andrea Inglese non fa storie come gli altri

Tentativo di capire “Oggettistica”

È difficile orientarsi nella poesia odierna. Oggi i poeti (ma la parola “poeta” mi produce orticaria: meglio dire “gli autori di poesia”) sembrano votati alla nobile “arte di arrangiarsi”. Voglio scrivere una poesia, come devo fare? Barcamenandosi di qua e di là tra lirica e antilirica, escono prove con assai diversi gradi di dignità artistica, ma tutte segnate da una certa casualità. Del resto, le tendenze riconoscibili vengono evitate accuratamente come la peste. Eppure, volenti o nolenti una tendenza implicita c’è sempre; e il compito del critico è proprio di scovarla.
Mi cimenterò su Oggettistica, il nuovo libro di Marco Giovenale (Tic edizioni). Con qualche speranza in più del solito, dato che Giovenale ha promosso negli ultimi tempi il dibattito sulla “ricerca” letteraria, seguito anche dal mio blog e quindi, se non una tendenza, almeno un’intenzione di differenziarsi dovrebbe averla. Tuttavia, un po’ per un’etica che esclude l’“asseverativo”, un po’ per la considerazione che i procedimenti eclatanti delle avanguardie hanno perduto di impulso, rimane qualche difficoltà nell’individuare le tracce. Riassumo nell’interrogativo: come è possibile un’alternativa con mezzi, per così dire, normali? Continua a leggere Tentativo di capire “Oggettistica”

“Evviva la dialettica!”

Da qualche tempo sono solito dire che su Brecht dovremmo essere tutti d’accordo. Certo, mi rendo conto, non proprio tutti tutti; e forse dovrei calare più o meno alla metà dei noi. Ma quello che intendo è: sia contenutisti che formalisti. Infatti il nostro vecchio Bertolt viene ben incontro a quelli che vogliono un impegno a favore degli svantaggiati, degli ultimi, degli oppressi; nello stesso tempo, però, offre agli apprezzatori dello specifico artistico-letterario da mettere sotto i denti notevoli sottigliezze procedurali (lo straniamento) e una acuta intelligenza nei riguardi del modo di espressione. Non a caso è ancora citatissimo nei discorsi dei sofisticati big della teoria internazionale (Badiou, Žižek, Rancière, quest’ultimo magari con qualche riserva) e Jameson gli ha dedicato una monografia in cui gli riconosce in buona sostanza il ruolo speciale di interpretare una “modernità diversa”, addirittura «l’unica forma legittima dell’innovazione modernista in quanto tale».
A proposito, dunque, tornano in libreria i Dialoghi di profughi per merito dell’editrice L’orma, in una nuova traduzione completa e con l’aggiunta di inediti. Nei Dialoghi troviamo un Brecht al meglio, come attesta l’ammirazione per questo libretto da parte di Sanguineti (citato nel retro della copertina) presso di noi e di Juan Carlos Rodríguez in Spagna. Per paradosso, Brecht qui è al meglio proprio perché al peggio, visto che lo scrive quando si trova esule nel Nordeuropa sotto l’avanzata delle truppe naziste attorno al 1940. Continua a leggere “Evviva la dialettica!”

Dedicato a Pagliarani

Nei giorni scorsi, 24 e 25 novembre, nei locali romani della Casa dello scrittore, sono state dedicate a Elio Pagliarani (a dieci anni dalla scomparsa) due giornate fitte di testimonianze, letture e interventi critici. Riporto qui il mio contributo.

PERCHÉ PAGLIARANI
Un avvicinamento in nove passi

PRIMO PASSO. Ho prediletto Pagliarani fin dall’inizio, ai tempi della mia tesi di laurea sulla “poesia sperimentale”. Ero già allora fortemente brechtizzato e tra i Novissimi Pagliarani era evidentemente quello che mostrava con più immediatezza una istanza politica. Ho dovuto leggere attentamente Adorno per capire come la “separatezza” degli altri fosse un’altra modalità di contestazione. Nello stesso tempo, però, non mi è mai sembrato giusto separare Pagliarani dall’area sperimentale del Gruppo 63: non mi pareva fuori, semmai all’ala sinistra del movimento. Continua a leggere Dedicato a Pagliarani

È uscito “Brecht con Benjamin”!

Annuncio l’uscita del mio nuovo libro, Brecht con Benjamin, pubblicato dall’editore Odradek. È un lavoro teorico spinto da due esigenze convergenti. La prima: mi sono reso conto che la mia lettura di Walter Benjamin, iniziata negli anni Settanta del Novecento, è sempre stata una lettura brechtiana di Benjamin (quindi incentrata su L’autore come produttore, L’opera d’arte, ecc.), mentre oggi l’esegesi benjaminiana è tutta rivolta dall’altra parte, a enfatizzare la “teologia” contro il “materialismo storico” (per usare i termini della famosa prima tesi). Ho ritenuto allora necessario rovesciare la prospettiva e provare a fare, nel momento in cui tornavo a riflettere sui miei temi fondanti (come è giusto fare al termine di un percorso), una lettura benjaminiana di Brecht. Per questo, non Brecht e Benjamin, ma Brecht con Benjamin, l’autore accompagnato dal suo critico, come era per altro avvenuto nei momenti migliori del loro rapporto interpersonale.
E orientati entrambi, però, dalla seconda esigenza. Mentre la ricerca della connessione Brecht-Benjamin ha per forza di cose un che di storico e anche di nostalgico (vedi cosa erano capaci di pensare quei due in tempi ancor più bui dei nostri…), la seconda esigenza è nata dall’emergenza del presente. Le ultime direzioni della teoria letteraria, infatti, sorrette da scientificità neurologiche, si sono puntate sull’empatia e l’immedesimazione, esaltandone gli effetti benefici. La lettura ingenua ne viene completamente sdoganata e incomprensibile diventa quel testo (del tipo dell’avanguardia) che rinuncia all’immedesimazione o all’immersione del lettore per produrre invece contraccolpi di sorpresa e distorsione. Mi sono detto che la risposta a queste tesi, non a caso provenienti dall’America e perfettamente in linea con le scelte di mercato, era già tutta nello straniamento di Brecht, principalmente teatrale, ma estendibile su più livelli. Ripercorrere alcuni testi brechtiani insieme ai  commenti benjaminiani – oggi assai trascurati – mi è parsa la cosa migliore da fare per guadagnare un punto di vista alternativo. Un nutrimento indispensabile: non a caso la metafora del valore nutrizionale ha un certo sviluppo nei due autori, a contrastare la nozione del gusto e del piacere immediato. Continua a leggere È uscito “Brecht con Benjamin”!