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“Evviva la dialettica!”

Da qualche tempo sono solito dire che su Brecht dovremmo essere tutti d’accordo. Certo, mi rendo conto, non proprio tutti tutti; e forse dovrei calare più o meno alla metà dei noi. Ma quello che intendo è: sia contenutisti che formalisti. Infatti il nostro vecchio Bertolt viene ben incontro a quelli che vogliono un impegno a favore degli svantaggiati, degli ultimi, degli oppressi; nello stesso tempo, però, offre agli apprezzatori dello specifico artistico-letterario da mettere sotto i denti notevoli sottigliezze procedurali (lo straniamento) e una acuta intelligenza nei riguardi del modo di espressione. Non a caso è ancora citatissimo nei discorsi dei sofisticati big della teoria internazionale (Badiou, Žižek, Rancière, quest’ultimo magari con qualche riserva) e Jameson gli ha dedicato una monografia in cui gli riconosce in buona sostanza il ruolo speciale di interpretare una “modernità diversa”, addirittura «l’unica forma legittima dell’innovazione modernista in quanto tale».
A proposito, dunque, tornano in libreria i Dialoghi di profughi per merito dell’editrice L’orma, in una nuova traduzione completa e con l’aggiunta di inediti. Nei Dialoghi troviamo un Brecht al meglio, come attesta l’ammirazione per questo libretto da parte di Sanguineti (citato nel retro della copertina) presso di noi e di Juan Carlos Rodríguez in Spagna. Per paradosso, Brecht qui è al meglio proprio perché al peggio, visto che lo scrive quando si trova esule nel Nordeuropa sotto l’avanzata delle truppe naziste attorno al 1940. Continua a leggere “Evviva la dialettica!”

Un Dante di sguincio

Non si può evitare di parlare di Dante nell’anno anniversario. Tanto più che concordo sulla sua assoluta grandezza collocata all’ingresso della nostra letteratura. Il che non vuol dire apprezzare la valanga celebrativa dei cori estatici-estetici e dei megafoni ufficiali che ne trattano come fosse un prodotto del made-in-Italy da sponsorizzare. Invece delle sviolinate diciamo che Dante inaugura non solo la tradizione, ma in essa una linea che, nel prosieguo letterario, è risultata alternativa, in qualche modo un’antitradizione opposta a quella dominante, petrarchesca.
Personalmente, ho preferito, allora, prenderlo un po’ di sguincio, il nostro grande classico. E, ottemperando alla vocazione dello straniamento, guardarlo da una prospettiva esterna, vale a dire dalla riscrittura che ne ha fatto, nel mezzo del Novecento, il tedesco Peter Weiss. Il progetto teatrale di Weiss (posto tra il Marat/Sade e L’istruttoria) di proiettare Dante nel mondo contemporaneo è molto poco noto, ancorché pubblicato in traduzione da Mimesis. È rimasto incompleto, limitato com’è al solo Inferno; forse un segnale che quello è, incontestabilmente, il Dante più “espressionista”. Continua a leggere Un Dante di sguincio