Cercando la ricerca

Sul tema “Esiste la ricerca” si è svolto un confronto-dibattito organizzato a Milano, in data 18 marzo, da Antonio Syxty, Michele Zaffarano e Marco Giovenale, presso la sala della “Cavallerizza”. L’incontro è stato pensato come prosecuzione e allargamento di quello già avvenuto con successo a Roma nel giugno scorso e anche in questa seconda puntata è stato seguito da un pubblico numeroso e attivo con interventi che sono continuati fino al pomeriggio. Da notare l’arco transgenerazionale e interdisciplinare dei partecipanti, che ha evidenziato non a caso l’apertura della scrittura alle altre arti e ai problemi della comunicazione. Accanto allo spazio per la discussione, che era stato pensato senza tavolo di presidenza in lunghe file che mettevano tutti sullo stesso piano, c’era uno spazio espositivo dedicato agli editori – piccoli di nome, ma grandi di fatto – che sulla ricerca puntano con convinzione.

In apertura di giornata Marco Giovenale – cui si deve un diuturno osservatorio nel suo sito “Slowforward” con indignazione per le troppe confusioni attorno al termine poesia – ha corroborato questo nuovo passaggio facendo notare la caduta del punto interrogativo che aveva accompagnato la prima uscita. Non più “Esiste la ricerca?”, ma “Esiste la ricerca”: abbiamo assodato che la scrittura di ricerca esiste (saggiamente, Giovenale ha espunto dalla intestazione il termine “poesia”, a scanso equivoci) e lo dimostrano l’adesione agli incontri e i libri posti in esposizione. Si tratta ora di approfondire e di procedere oltre. Al lavoro critico-teorico, al quale hanno contribuito in questa occasione soprattutto gli interventi di Vincenzo Ostuni e Andrea Inglese sulla valenza politica della scrittura, rimane da definire meglio il territorio e da delimitarne i confini, sia pure con tutta la flessibilità e pluralità necessarie. Inoltre, sono stati proposti futuri momenti di reading o letture di testi (perché poi alla fine le buone volontà restano a zero e la ricerca ha da farsi valere e vedere sul testo, a partire dal suo impatto) o anche chiamiamoli festival che diano visibilità alle eroiche linee editoriali. Vedremo; alcune idee stavano già prendendo forma poco dopo la conclusione della manifestazione.
Personalmente, avendo caro il versante critico-teorico del problema, mi sembra che il termine “ricerca” possa essere esso stesso un utile incentivo. Infatti, a mio avviso, pronunciarsi propositivamente “di ricerca” comporta alcune conseguenze precise:
– va contro la logica di mercato. Il mercato, infatti, presuppone una concorrenza che riguardi il come viene fatto un determinato prodotto: perciò può consentire differenze di qualità, ma non di tendenza. Nel caso di una poesia, si può farla meglio o peggio, per un gusto o per un altro. La ricerca, spostando il terreno della produzione (producendo una cosa sostanzialmente anomala e diversa) è una specie di concorrenza sleale o comunque di sottrazione alla concorrenza e quindi di rifiuto del mercato;
– va contro la logica della rete informatica. Tale logica si incarna nello slogan demagogico “uno vale uno” e, per quanto riguarda la letteratura, nella libertà di pubblicare senza filtri, in una sorta di “maternalismo” generale, in cui la critica negativa appare quasi un gesto aggressivo da hater e politicamente scorretto. Al contrario la “ricerca” ha un risvolto esclusivo e la sua ripresa è dovuta appunto dalla insopportabilità della confusione (né si tratta di semplice aristocratismo, ma di esigenza di differenza radicale rispetto all’omologazione).
– la “ricerca”, inoltre, sfida i discorsi sul valore terapeutico della letteratura. Sia pure, scrivere fa bene a chi scrive e da questo punto di vista resta sempre un’attività consigliabile e meno nociva delle droghe e di altri sfoghi. Tuttavia è dubbio che, così concepita, la scrittura faccia bene anche ai lettori. La “ricerca”, puntando sull’igiene del linguaggio messo in crisi nella sua base ideologica, va intesa piuttosto come una “terapia d’urto”.
Su questo ultimo punto, non a caso, il dibattito ha toccato l’annoso problema del destinatario, della scuola e dell’università che non aiutano a formare il pubblico adatto, e in giro ha aleggiato, per forza di cose, anche la questione del piacere. Il piacere del testo di ricerca è indubbiamente un “piacere di secondo grado”, più complicato di quello ricavabile dalla conferma del già noto, ma anche molto più consistente e meno effimero. Ma è evidente dove stia il baco: proprio la “produzione dei consumatori” prevede lo smantellamento delle esitazioni e dei dubbi sulle identità, e quindi della “ricerca” che tali disinvestimenti produce – ciò spiega il disinteresse, l’emarginazione, il silenzio da parte dei canali, per così dire, ufficiali. Purtroppo anche a sinistra la fanno da padroni l’empatia, il popolare, l’etica vittimistica, l’immediatezza del senso comune.
La politica vuole risultati prima di subito; la ricerca ha, come si diceva una volta, tempi lunghi. È però un fatto positivo quando ricomincia a muoversi. Alcune palpabili euforie circolanti nella sala della “Cavalerizza” sono certamente un buon segno.

21/03/2023

1 commento su “Cercando la ricerca”

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