La reggia del fuoco
Un grande arco roccioso, instabile, una concrescenza forse di lave rapprese ci sovrasta, di lì dobbiamo passare; l’arco ha la dolcezza ambigua di due grandi labbra, ad esso mi accosto come ad un luogo che mi chiama e mi minaccia, sarò baciato o divorato? Avanzando, provo in me un tremore non dissimile dall’amore e insieme dall’orrore; oltre l’arco, una piana; qui dimorano i fuochi. Sui due lati di una strada ruvidamente tracciata stanno regolari orifizi da cui escono lingue di fuoco, con un lieve rombo, che potrebbe essere segno di un discorso sommesso, una litania, una invocazione; quelle sottili, discrete, non minacciose lingue di fuoco hanno qualcosa del prete, del maggiordomo, del bonzo; disposte in geometrica coerenza, procedono sui due lati come due schiere di cortigiani, che forse accolgono con quel loro mormorio l’ospite atteso, forse dicono le lodi del re del fuoco, forse discorrono, oziosi come antichi, rugosi camerieri, di materia vile, sordida, effimera, come da sempre, dovunque fanno i camerieri.
La strada segnata sui due lati dalla litania dei fuochi si perde in distanza, e se al termine si trova, come suppongo, la casa del re del fuoco, io non la scorgo; ma il sospetto che in verità io sia ormai prossimo all’incontro che potrà decidere della sorte mia e della mia palude, mi eccita, poi mi sgomenta, poi mi colma di orrore; non posso negare che vi sia in questo posto un senso della regalità che io ignoro; io sono un regulo periferico, e qui tento di farmi accogliere da un re che è tale da sempre, che forse non ha antenati, o li ha assorbiti in sé, è millenario; e tuttavia la camminata della cavallinità mi fa capire che questa terra non le è ignota e che altre volte ha percorso la strada che attraverso la foresta delle piante enormi porta il re della palude fin nei pressi della reggia del fuoco. Già, nei pressi: è mai stato portato oltre, un regulo paludoso? La cavallinità rallenta, come se mi si concedesse tempo di pensare, di decidere. Pensare a che? Io suppongo che questa strada mi conduca alla reggia che ho detto, ma non so se codesta reggia sia prossima, o lontana, o forse del tutto irraggiungibile. Forse questa strada è una invenzione destinata solo ad umiliare il questuante, forse è un viale d’accesso disposto perché l’ospite, il diletto ospite sia indotto ad ammirare il paese che percorre, forse è un abietto agguato, inteso a far precipitare colui che avvicinandosi fantastica di esser accolto con onori principeschi, precipitare in una fossa infocata, o direttamente in un orifizio vulcanico, un cratere dove diventerà onorevole cenere, in onore del sovrano di questi luoghi. Quale di queste sorti sia la mia, io non capisco, e questo solo so, mentre lentamente procede la mia cavalcatura, che questa strada deve pure avere un termine, sia reggia, agguato, onorificenza, disastro.
E mi chiedo, avrà forma simile alla mia, quel mio diarca, o sarà egli stesso fiamma, o tizzone, o brace? Sarà Re Incendio, Re Cratere, Re Lava, o sarà un minuscolo, affaticato uomo d’ordine, precocemente invecchiato, annoiato di tanto officio che assunse giovanetto, al tempo in cui si provava nella faticosa firma, per farla elegante, principesco paraffo? Forse abbiamo in comune gli antenati, come si addice a diarchi che abbiano del fraterno, del consanguineo. Nei secoli trascorsi qualcuno dei loro e dei miei dové incontrarsi in una quieta conversazione, prima che nascesse questa lenta, irrisolta contesa; ma io sono qui in missione di pace, o anche questo mio gesto notturno è una mossa in una guerra che non vuole e non può concludersi? Stiamo forse discutendo se concludere il mondo nel diluvio o nella ecpirosi?
Vedo davanti a me, lontano, qualcosa che potrebbe essere un edificio di fuoco; non ne distinguo la forma, forse non ha forma, ma come la palude ininterrottamente si muta e divincola da sé da una in altra immagine, forse edificio non è, ma un muro, o piuttosto una torre, o piuttosto uno di quei carri celebrativi che ancora si usano nei paesi per certe feste paesane, feste di dèi potenti e miti, o forse quella immagine di fuoco è il primo tempo di uno spettacolo o di puerile letizia, o di incoronazione, o di sacra celebrazione, o di festosa iniquità. Che quello che vedo, carro o spettacolo o torre, sia per l’appunto il diarca mi sembra favola improbabile, e dunque non dovrei averne timore; ma non posso negare che quel che suppongo è che sia quella macchina infuocata una sorta di legato, o ambasciatore, o messo che o mi parlerà o mi ascolterà.
(da La palude definitiva)
24/08/2022