Anche “Critica integrale” va in vacanza, ma non lascia soli i suoi lettori. In questa anno manganelliano, li invita a percorrere gli itinerari cari al nostro scrittore. Certo, i luoghi in cui ci accompagnerà il Mangatour non sono ameni, né ridenti e nemmeno tanto riposanti, eppure faranno da positivo antidoto alle banalità delle vacanze più o meno organizzate e ai loro assillanti animatori. Allora, si parte, cominciando dal preparare i bagagli.
Le valige
Scrittori e viaggiatori più competenti di me hanno scritto pagine indimenticabili sulle valigie; mi limiterò ad esporre alcuni tratti peculiari del mio rapporto con le valigie. Coloro che amano le valigie oscillano tra due diversi atteggiamenti: c’è chi desidera valigie enormi e leggere, in cui ci stia tutto, e tutto diventi leggero; altri vogliono valigie piccole e maneggevoli, che accolgano solo l’essenziale. Poiché io appartengo ad entrambe le scuole, la mia esistenza di amatore di valigie è tormentata. Che cosa è mai l’«essenziale»? Su un punto non ho dubbi: sono le forbicine. A rigore, le forbicine non esigono una vera e propria valigia; ma esse sono per così dire il centro della valigia, ciò che fa sì che una valigia sia tale, che un viaggio sia un viaggio. Senza forbicine io sono un Robinson miope che ha perso gli occhiali, o che è stato abbandonato dalla capra.
Con le forbicine si addomesticano le unghie, e per qualche motivo io sono persuaso che senza forbicine un viaggio non merita di essere viaggiato. Da anni, quando debbo spostarmi, io viaggio con quelle forbicine; e se mi viene il dubbio di averle dimenticate, ho i sudori e il bolo isterico. Questo viaggio poi, cui mi appresto, ha delle caratteristiche particolari. Quando Jerome K. Jerome preparava il suo viaggio sul Tamigi, non c’erano state le guerre, il viaggiatore era sano, e si affidava ad una barca lenta e approssimativa. Nessuno dei compagni di spedizione si riprometteva spettacoli più eccitanti di un tranquillo cimitero di campagna, di una trattoria pittoresca, di una ragazza bionda e anglosassone cui sospirare innocue galanterie.
Il mio caso è diverso: un poeta – certamente non quello che inaugurò la pubblicità delle Agenzie di viaggio – disse di un tale che aveva il cuore simile «ad un liuto sospeso» che risuonava dolcemente a tutte le brezze. Lasciamo perdere le brezze, e anche il liuto, ma certamente quando ci sono gli uragani la mia intima ocarina un po’ di baccano lo fa. Ed ecco un settore medicinali di cui dovrei essere orgoglioso: non posso portarmi dietro una camicia di forza, né saprei indossarla da solo, né saprei come persuadere altri ad applicarmela, per le note difficoltà che ha un sovreccitato ad esprimersi con convincente chiarezza, senza far scappare i cavalli. Però posso portarmi dietro etti di tranquillanti, di blande mani chimiche che mi coccolino nei momenti difficili, mi consolino quando il diaframma impazzisce, l’esofago s’annoda, le budella perdono la mappa di se stesse. Ho anche pastiglie e iniezioni, e cerotti per i precipizi, e digestivi e tre tipi di antiacidi. Forse nulla di tutto ciò che prevedo accadrà mai, ma in ogni caso non posso rinunciare ad assistermi, a produrre dal mio costato una infermiera portatile, tascabile, miniaturizzata.
(da L’isola pianeta)
03/08/2022