“Critica integrale” presenta il nuovo libro di Antonio Amendola, Frammenti non a memoria, che può essere scaricato dalla apposita sezione (Gli scaricabili). Si tratta tecnicamente di poesia, tuttavia sarebbe più esatto affrontare il libro secondo la chiave che offre il titolo stesso, vale a dire la “frammentarietà”. Il frammento è – teste Benjamin – la caratteristica principale del testo moderno, soprattutto nella sua realizzazione radicale. Il frammento ci mette in guardia da una ricerca pura e semplice del senso: il senso lo si trova, ma, per l’appunto, fatto a brani e non rintracciabile se non nei rapporti tra le parti e facendo i conti con una eterogeneità di fondo. I frammenti ci invitano a un lavoro di ricostruzione a partire da un “mondo a pezzi”.
Nel caso di questo suo ultimo libro, Amendola punta ancora, da artista multimediale qual è, sul rapporto con le altre arti e segnatamente con la dimensione sonora e con la dimensione visiva, ma rinunciando a supporti contenutistici, se non sporadici, ridotti a semplici allusioni (ad esempio a Kandinsky o al cinema sul “red carpet”); piuttosto decide di alternare il materiale verbale con una serie di immagini decisamente astratte (che suggeriscono volute, vortici, onde, ecc.) e ciò fa diventare astratta, per contagio, anche la frase linguistica, spesso a sua volta solcata da rotture – come se la frantumazione dovesse avanzare nel corpo stesso della parola. L’immagine si prende uno spazio parallelo , quasi fosse un “testo a fronte”, ma non meno presente è il suono, sebbene risolto nei termini della scrittura: infatti molte operazioni verbali qui si basano su echi, rimandi, allitterazioni, ripetizioni ritmiche e non è un caso che proprio il “tempo” venga chiamato a un ruolo da protagonista. Gli spazi bianchi prodotti dalle dislocazioni non lineari assumono la valenza di silenzi, mentre la scrittura in maiuscole (propria dell’autore), oltre a colpire l’occhio favorendo la percezione dei versi come autonomi (dunque incrementando la loro frammentarietà di partenza), suggerisce una pronuncia in tono rilevato e battente. Non a caso, nella decima sezione, dove compaiono dei brani più distesi, tecnicamente assumibili come scritti in prosa, il corpo del testo si normalizza: ma anche il contenuto aneddotico (e in alcuni casi persino autobiografico) che vi è rinvenibile è collegato al filo rosso complessivo essendo relativo di volta in volta agli scorci della luce, quindi a una tematica visiva.
La sonorità e la figura guidano la danza del linguaggio. E si riconoscono come segnali di ripresa. C’è una precisa allusione al periodo di isolamento a causa della pandemia che ha ristretto e a lungo annullato le possibilità della performance. Come può mantenersi allora quel movimento della poesia che ha fatto il suo perno della presenza dell’autore e della grana della sua voce? Quel movimento non dovrà arrendersi, ma resistere trasponendosi appunto sulla pagina, differendo i suoi procedimenti in altri come appunto la mescolanza eterogenea, la costruzione alternata, l’incrinatura della frase e quant’altro. Anche l’esperimento combinatorio è di questa partita e forse l’allusione al burattino Pinocchio, che compare nella sezione 6 ad accompagnare un vero e proprio “alfabeto”, vuole significare questa risoluzione immaginosa del meccanismo creativo.
“Non a memoria”, dice il titolo. Non perché si desideri non essere memorizzati. Piuttosto c’è l’indicazione di una certa difficoltà. “A memoria” s’impara facilmente la canzone cantabile e si riconosce subito il paesaggio oleografico. Qui invece siamo nella zona che oggi, non senza ragione, viene indicata come “ricerca”. La ricerca significa abbandono del previsto e del già noto. I significati si fanno precedere dai significanti e si sviluppano sotto la loro guida. La lettura lineare si intreccia con quella che svaria senza obblighi. I singoli frammenti offrono spunti che vanno poi collegati insieme agli altri in una sorta di grande costellazione che non è mai riducibile a semplice unità, al massimo si intreccia in una allegoria complessa, che è quella della modernità radicale. E questa “fruizione laboriosa”, farà forse faticare chi non c’è abituato, ma è assolutamente produttiva e alla fine gratificante. Nonché politicamente positiva: ancor più dell’impegno etico sui contenuti, è da questo allenamento a mettere in crisi l’unità (e quindi l’identità costituita) che l’azione politica ha tutto da guadagnare.
22/07/2022