A conferma di una “piena” attività, vitalissima e aperta su tutti i fronti, Giovanni Fontana ha pubblicato nel periodo recente, tra fine 2021 e il corrente anno, ben quattro libri, di diverso tenore e provenienza, ma tutti di forte spessore rappresentativo.
I titoli: Hic (Bertoni, novembre 2021) nella collana di Giorgio Moio con introduzione dello stesso, dedicato alle tavole visive; je sens [donc je son (Cipm & Dernier Télégramme, dicembre 2021) con prefazione di Barbara Meazzi, testo bilingue francese/italiano di sento [dunque suono, da una performance alla Mostra di Marsiglia; l’antologia Giovanni Fontana un classico dell’avanguardia (Agenzia X, marzo 2022), a cura di Patrizio Peterlini e Lello Voce, che aprono il libro con un interessante dialogo teorico, lasciando poi spazio ad un’ampia raccolta della critica sull’autore, edita e inedita; e infine Inventario (Milella, aprile 2022), con le introduzioni del curatore di collana Salvatore Luperto e di Carlo Alberto Augieri, cavalcata a suo modo autobiografica attraverso le fasi della formazione, maturità e sviluppo del poliartista.
La quantità di produzione corrisponde indubbiamente alla alta qualità di un autore che si muove tra poesia sonora e visiva, testo lineare, performance e quant’altro. Davvero un problema per il recensore, che dovrà a sua volta, “farsi in quattro”…
Comincerei dall’antologia complessiva che raccoglie numerosi scritti critici e quindi niente è meglio per avviarci alla complessità del Fontana-testo. Gli scritti coprono infatti tutti i versanti e l’intero arco della produzione, a cominciare dalla bellissima introduzione di Adriano Spatola a Radio/dramma, opera prima che uscì nel 1977 nelle edizioni Geiger. Il dialogo tra i due curatori, inoltre, è molto utile a capire di quale avanguardia si addica ad un autore come Fontana. Sulla formula “classico dell’avanguardia” ho riflettuto a modo in un articolo affidato all’ultimo numero di “Malacoda” e non mi ripeto qui. Basti vedere come anche per Lello Voce l’avanguardia che si addice a Fontana marca una distinzione profonda: «Il problema – egli scrive – per qualsiasi avanguardia del nostro presente, allora non è più innovare (progredire con il suo nascosto commercio con il progresso), ma rifondare, ristabilire il metro di misura, che non potrà certo essere quello stancamente rappresentato dagli ideologemi estetici del canone accademico».
Quanto a Hic, il libretto sull’opera visiva, introdotto da Giorgio Moio sotto il segno della “discrasia”, mi pare che ponga, davvero sotto gli occhi, nei suoi propri stilemi, una sorta di congiunzione con i diversi versanti dell’autore, gettati insieme nella composizione del collage. Infatti: l’aspetto verbale è rappresentato da lettere, frammenti di grafemi, parole strappate e semicancellate; l’aspetto sonoro è rappresentato dalle righe del pentagramma, che vengono però deformate, arcuate, ondulate come un vortice o verticalizzate come una prigione; infine vistoso è l’aspetto corporeo che può essere visto come rappresentativo del corpo vivo della performance. A proposito del corpo, soprattutto femminile (che sia l’allegoria dell’arte o della bellezza estetica?) mi è parso di notare un montaggio che lo scinde nelle sue parti e che ingrandisce alcuni organi (la bocca, gli occhi) ricollocandoli mostruosamente. Ecco allora il corpo fatto scrittura e alterato da questa carica espressiva che lo percorre per intero. Non a caso l’autore ha consegnato all’ultima pagina del libro una nota proprio sulla valenza del corpo:
Qui il corpo. Qui i luoghi del corpo. Qui gli sguardi e le attese. Qui le forme. Spesso contorte. Talvolta nascoste. Disgregate. O riorganizzate in viluppi plastici che implicano enigmi. Qui i grumi di parole che questi corpi pronunciano o subiscono. Parole-rumore talora avvolgenti. Talora disperse nelle pieghe. Qui un viaggio del corpo. Un viaggio sul corpo. Dentro gli umori del corpo. Qui. Alcuni corpi si dissolvono. Altri piombano duri e pesanti. Qui le metamorfosi. Qui l’incubo erotico di Circe. Qui sirene e angosce. Offerte deludenti. Cosce tornite e labbra frementi. E ci sono corpi di scarto. Placcati dall’ingiuria del mercato. Qui c’è il corpo erotico delle merci. Corpi che vanno. Corpi che vengono. Corpi esposti. Corpi nascosti. E ci sono corpi che non tornano. Corpi di scarto. Corpi-oggetto. Corpi affabulanti. Fascinosi o disperati. Corpi sconvolti. Stravolti. In risvolti subumani. Corpi senza nome. Ma qui. Come sempre accade. L’immagine del corpo è luogo di relazione tra mente e mondo. E il gradiente delle pulsazioni aumenta man mano che le fitte sinestetiche affondano verso il centro di gravità. Verso un cuore nero d’inchiostro dove confluiscono tutti i vettori di relazione. Un cuore gonfio. Pronto a far esplodere brandelli verbali e lacerti sonori in controcanti visivi.
Molto interessante è anche il testo bilingue sento [dunque suono che attraverso il mito ulissiaco del canto delle sirene tocca il fattore del fascino della voce, impiegando le risorse della ripetizione variata. Interessante anche perché al suo interno presenta quello che potremmo chiamare lo “spartito del dicitore” e quindi tocchiamo con mano l’organizzazione sonora della voce, l’apertura “epigenetica” del testo di Giovanni Fontana. Mi pare utile presentare un lacerto di partitura, per dare almeno l’idea:
Infine, l’Inventario autobiografico, che corrisponde a una storia della sperimentazione in Italia, un percorso che parte dal teatro (ecco, per l’appunto, fin dall’inizio il dinamismo del corpo in scena), attraversa il battesimo letterario presso l’eroica impresa spatoliana del Mulino di Bazzano, fa l’inventario (da qui il titolo) dei passi avanti tecnologici, tocca via via i vari Festival in tutto il mondo (c’è perfino l’esperienza in Africa con Sarenco, per poi chiudere in Giappone), tra nomi di maestri e di collaboratori, riviste, movimenti, occasioni plurime. Non senza che lo stile si impenni e deroghi dall’esplicativo-memoriale per andare verso la scrittura incalzante che Fontana ha elaborato ormai come sua cifra, fondata sulle ripartenze ritmiche della frase nominale, del tipo:
Coinvolgimento visivo. Certamente. Cromatico. Concettuale. Con opere d’arte in ambienti di lavoro. Testimonianze di un percorso costruttivo. Attivo. Sostenuto in campo. Da impegno avveduto. Assolutamente voluto. Acuto. Risoluto. Nutrito d’ingegno. Ecco. Un progetto di vita? Un sostegno? In chiave di ricerca. Artistica. Ecco. Poetica. La collezione in fabbrica. Una scelta poietica? Etica? Estetica? L’azienda definisca forme e sostenga senso e sostanza di vita. Essenze e consistenze. Costrutto e fondamento. Cuore pulsante. Un tempo sogno. Ora percorso di realtà su rinnovate concezioni produttive. È lì. In quell’universo ritmico che le voci mi raccontano storie positive. Le seguo. Rispondo. Le seguo. Mi lego al coro. Rilancio in contrappunto. Mi fondo ritmicamente in armonie metalliche. In passi percussivi. Cadenze. Sfregamenti. Successioni graffianti. Tintinnii. Soffi. Sibili. Schiocchi. Cigolii. Rintraccio echi. Clamori in risonanze. Ondeggiamenti. Modulazioni. Sequenze in quattro quarti. Scambi in tre tempi. E dicono. Le macchine. Dicono. Rilancio io sulla loro voce. Ché son trame trame. Dicono. Son trame trame. Dicono. Son trame trame trame.
E si potrebbe continuare a “tramare” la tessitura, né questo è l’unico luogo del genere. Ricordo, poi, che l’Inventario comprende una bella sezione fotografica (ce n’è una simile anche all’interno dell’antologia di Peterlini e Voce).
Alla fine, devo dire, si ha addirittura l’impressione che manchi qualcosa. Che ci sia qualche lato rimasto in ombra. Sembrerà strano, ma nel caso di un autore del genere quattro libri sono pochi…
14/07/2022