Ora, da questa governamentalizzazione, caratteristica delle società europee occidentali intorno al XVI secolo, non può essere dissociata la questione inversa del «come non essere governati?». Non intendo sostenere che alla governamentalizzazione si sarebbe opposta l’affermazione contraria «non vogliamo essere governati in alcun modo». Piuttosto mi pare che nel grande fermento sviluppatosi attorno al problema della maniera di governare e alla ricerca delle maniere di governare emerga una questione costante: «come non essere governati in questo modo, in nome di questi principi, in vista di tali obiettivi e attraverso tali procedimenti»; e se riconosciamo a questo movimento della governamentalizzazione, della società e degli individui, la collocazione storica e l’ampiezza che mi sembra meriti, allora incontriamo ciò che definirei l’atteggiamento critico.
Come contropartita, o piuttosto come partner e al contempo avversario delle arti di governo, diciamo come modo per sospettarne, per rifiutarle e per limitarle, per individuarne una giusta misura e trasformarle, insomma come modo per sfuggire a queste arti di governo, per allentarne comunque la presa, sia sotto forma di rifiuto ma anche come linea di un differente sviluppo, si sarebbe affermata in Europa una specie di forma culturale generale, un atteggiamento morale e politico, una maniera di pensare ecc. che definirei semplicemente l’arte di non essere governati o, se si preferisce, l’arte di non essere governati in questo modo e a questo prezzo. Pertanto proporrei come prima definizione generale della critica la seguente: l’arte di non essere eccessivamente governati.
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Infine, «non voler essere governati», per dirla sbrigativamente, implica il non accettare come vero quel che un’autorità sostiene essere vero, ma solo se si considerano in piena autonomia come buone le ragioni per accettarlo. Qui la critica si radica nel problema della certezza dinanzi all’autorità.
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Ma, soprattutto, emerge che il nucleo originario della critica rinvia a quel fascio di rapporti in cui si intessono i problemi del potere, della verità e del soggetto. E se la governamentalizzazione designa il movimento attraverso il quale si trattava, nella stessa realtà di una pratica sociale, di assoggettare gli individui mediante meccanismi di potere che si appellano a una verità, allora direi che la critica designa il movimento attraverso il quale il soggetto si riconosce il diritto di interrogare la verità nei suoi effetti di potere e il potere nei suoi discorsi di verità; la critica sarà pertanto l’arte della disobbedienza volontaria, dell’indocilità ragionata. Funzione fondamentale della critica sarebbe perciò il disassoggettamento nel gioco di quel che si potrebbe chiamare la politica della verità.
(da Illuminismo e critica)
28/07/2021