Torna a stretto giro Carmine Lubrano con due nuove pubblicazioni: un suo libro di versi, intitolato innamoramentum de la sposa barocca, affidato all’editore D’Ambrosio e un nuovo numero del Lab-Oratorio di “Terra del fuoco” che figura come nuovo volume del titolo un’altra (possibile) avanguardia. Sono entrambi di grande formato, costruiti con una attenta intersezione di parole e di immagini in collage, secondo lo stile tipico dell’autore, quindi con spiccato valore visivo. Perché questa scrittura deve tenersi sempre in movimento, pressoché frenetico e sotto pressione di passione. Fin dal titolo l’innamoramentum la pone all’insegna dell’eros: «carmen carnale» o «carmecoito» che sia, il testo poetico di Lubrano si colloca esplicitamente lungo la linea della trasgressione, eminentemente antiperbenista e antiborghese, quella pulsione al “ritorno del represso” che non è solo surrealista, ma che nel surrealismo ha esplicitato in tutta evidenza la sua vocazione rivoluzionaria.
«Carmen carnale» o «carmecoito», si tratta di una poesia del corpo e degli umori («tra seme sudore e secrezioni»), una poesia “fisiologica” che vuole “far sangue” («ancora di sangue bisogna parlare») e colorarsi di rosso (con «le bandiere rosse dimenticate tra la polvere / di oscure botteghe»). L’innamoramentum del titolo vuol dire, appunto, attrazione e congiunzione mentre la sposa barocca rimanda a un’estetica del troppo e del pieno, della sovrabbondanza e del superamento del limite.
L’eros, poi, chiama accanto a sé quell’altro piacere materiale che è il cibo, anch’esso, per così dire, senza fondo. Eros e cibo magari uniti insieme come nel passo giocoso sulle “tette delle monache”, dove la metafora è portata avanti assaporando il pasticcino ‒ che piacque persino a Garibaldi ‒ con coinvolgente trasporto:
così che non basta leccarsi le dita i baffi / non guasta approfittarne un po’ / una due tre tette delle monache in festa
E poco dopo:
meravigliose sise si osa / toccarle schiacciarle / avidamente / nel morso / goderle
L’eros porta a congiungimenti: e tra essi metterei l’inglobamento culturale, l’ inclusione di un molteplice materiale citazionistico, parte rievocativo di passati periodi e parte (o insieme) costituente il contributo degli ispiratori provenienti da diverse, diversissime, epoche ‒ tanto si viaggia da Giovenale, maestro di satira, addirittura a S. Giuseppe da Copertino («chiudendo gli occhi e sollevandoci dal suolo / come il pazzo santo di Copertino»), passando per le avanguardie storiche per arrivare ai sodali, chiamati in causa come interlocutori, sia in generale («amici miei cari compagni musici e poeti») che singolarmente per nome in rassegna o in appello.
La sposa, come dicevamo, è “barocca”; e il barocco è una categoria molto vasta ed elastica, che però nella sua estensione non sembra perdere vigore alternativo: penso, ad esempio, all’uso che ne ha fatto lo scrittore caraibico Édouard Glissant, la cui teoria della creolizzazione, «fatta di derive e allo stesso tempo di accumulazioni, con una caratteristica barocca della frase e del periodo, con le distorsioni del discorso in cui ciò che è inserito funziona come una respirazione naturale, con una circolarità del racconto e un’instancabile ripetizione del motivo», si potrebbe applicare assai bene alla scrittura di Lubrano, che è ‒ come sappiamo ‒ autore plurilinguista tra lingua e dialetto, ed è animato da una vocazione-sud (orientata ora soprattutto verso la Puglia).
La spinta dell’eros non è soltanto tematica, ma informa la parola stessa («lasciando agire la parola coi suoi fisiologici / bisogni»). Davvero Lubrano ottempera all’indicazione surrealista di Breton per cui les mots font l’amour. Ciò si riscontra su vari livelli linguistici: gli automatismi dell’allitterazione (del tipo: «senza tatuaggi e senza miraggi / mi cazzeggio nel privilegio di essere ostaggio») e della paronomasia («s’imbriglia e s’imbroglia»); i vari procedimenti associativi che uniscono presente e passato; soprattutto il ritmo trascinante di una instancabile reiterazione che conduce incessantemente la poesia verso il canto e la danza (evidenziando in rima: «il verso avanza a passo di danza»). Ecco un breve campione di questa insistenza, che è posta a carico della pulsione erotica:
ma tra gli spruzzi fortemente voluti dalla tramontana / tutta nuda ti vedo e bagnata e sulla carta nuda / carta che canta ed origlia / così che ti segno e ti sogno ti esploro ti respiro / ti coloro e ti adoro ti degusto saporosa oso / ti bramo e ti godo (…)
In questo fondamentale empito trascinante che ingloba lingua e dialetto, creatività e citazione, viene coinvolto anche il versante polemico. La poesia di Lubrano, è vero, è nella sostanza positiva, tanto che in essa la stessa parola “poesia” può essere pronunciata senza rimorsi né remore; tuttavia non manca la percezione dei contenimenti e delle restrizioni di una società che reprime sotto l’apparenza della libertà e che rende perciò problematico proprio l’erotismo, se il desiderio viene prodotto artificialmente a fini di mercato, tanto che nelle pagine finali leggiamo l’istanza a «riprendersi il proprio erotismo / fagocitato dal consumismo». Se l’eros è anche il legame della unione sociale, la situazione attuale non è delle migliori e non lo era ancor prima dell’isolamento imposto come misura sanitaria. Tocca lavorare il più possibile «cu stu cielo ʼmpisciato / stu munno ʼncacato», ripete più volte Lubrano, mentre i media non degnano di uno sguardo e per giunta le “poete” sembrano affette la maggior parte da «merinite acuta», cioè di preferenza attese alla poetica elevata e quindi distanti dal «verso spermatico plurilinguista» della contaminazione e dell’impurità di una «nuova scrittura antagonista».
Perciò il verso di Lubrano contiene una quota di avversione e prova, nel suo corso composito anche le forme di contrasto e di rifiuto («con invettive epigrammi apostrofi e bestemmie»). Perciò la poesia, per l’appunto in reiterazione incalzante
brucia i suoi stracci / si denuda si annoda si snoda / si annida si rabbrivida / si purgatoria si inferna si averna / si inchiava e si fotte si unge si terge / si sputazza si schiamazza / si latrina s’infanga si guasta si marcia / si butta nel pozzo col puzzo e nella piazza / impazza tra pizzi pezze e zizze / e come pizza d’asporto si basilica si prezzemola si origana / si gusta si degusta nel disgusto / dai trucchi si strucca e appiccia tracchi / e tra mamalucchi e truci turchi si tarocca / si abbuffa si abboffa si tuffa nel buffo / e ci fa un baffo
Portata al livello basso ‒ si potrebbe anche vedervi un sacro rovesciato (così nella letania ereditata da Villa, o nel testacoda di “bestemmia” e “orazione”) ‒ la poesia si muove in libertà. La menzione di un «ubriaco battello» mostra, sulla scia del prototipo Rimbaud, la scelta della deriva dell’immaginario, in una spinta “senza tregua” (che sta non a caso, al termine dell’intero libro).
Ma l’eros come energia vitale e forza di congiunzione (legame sociale) diventa anche la causa riattivante della ricerca collettiva. Ed ecco allora in parallelo l’esigenza di chiamare a raccolta con la rivista, il “Lab-Oratorio di un’avanguardia possibile”: è di certo una scommessa in anni di individualismi e narcisismi poetici spinti. E giustamente nelle pagine iniziali Lubrano s’interroga sul “cosa ci resta” (un Que reste-t-il, di taglio però non sentimentale o non solo), dopo un trentennio di scarsa o nessuna udienza. Eppure, al di là della nostalgia, pur comprensibile, per gli anni d’oro del dibattito e della militanza, tuttavia qualcosa si muove. Il nuovo numero ospita un contributo di Gaetano delli Santi, Il verso in stato di gliòmmero, che ribadisce con forza la tendenza controcorrente:
Proprio così! Il verso deve infrangere, dirompere, fèndere, lacerare, scavezzare, devastare, sconquassare, stracciare, sbandellare l’orecchio pigro e ogni comune pregiudizio nei riguardi di linguaggi extraletterari. I suoi movimenti non devono concedersi soste… se non cesure che portino in sé anabolismi e assimilazioni di tutto, selezionati dal ritmo interiore dei loro respiri e dei loro impulsi naturali.
Insieme a una sezione dedicata alle poetesse, ci sono qui le riflessioni sull’avanguardia di Francesco Aprile e Paolo Allegrezza. E incontro poi con grande piacere un testo di Nevio Gambula, poeta e attore che seguo con interesse da diverso tempo. Poi, nella parte finale della rivista si tirano i fili dei “luoghi” dell’avanguardia odierna che sono pochi, ma già così, collegati nelle spaziose e fantasiose pagine progettate da Lubrano, non sono più isolati.
12/02/2021