Politicità dello sperimentalismo: un intervento di Lamberto Pignotti

In risposta agli articoli su “Sperimentalismo” e “politicità“, ricevo questo intervento di Lambeto Pignotti, che pubblico volentieri. Che si apra il dibattito!

Non è raro, ed è anzi usuale, che quando si affrontano temi culturali e argomenti letterari in modo non proprio semplicistico e con qualche ripensamento, ci si trovi di fronte a reazioni di insofferenza o addirittura colpevolizzanti. C’è sempre qualcos’altro da fare, c’è sempre qualcosa di più impellente cui pensare. Chi se ne frega, ad esempio, della politicità della letteratura, di che cosa si intende con sperimentalismo, del giudizio di valore, del divenire dei rapporti culturali e sociali, eccetera, eccetera, dato che c’è la crisi economica galoppante, la situazione internazionale ingarbugliata, il terrorismo, la mafia, la droga, l’inquinamento, il coronavirus…

Ma non è che considerazioni del genere avessero segno opposto neppure tempo addietro: c’era sempre qualcos’altro da fare, invece di perdersi in chiacchiere di estetica, anche quando, mettiamo, subentrava il miracolo economico, la speculazione edilizia, la dolce vita, l’esportazione di capitali all’estero.

Parallelamente però, grasse o magre che siano le vacche, è usuale ascoltare lamentele per via della progressiva perdita dei valori, dello sfumare dei parametri di riferimento, del venir meno di qualsivoglia finalizzazione ideologica e politica.

Sono contrapposizioni emblematiche che, a prescindere da ogni sistematicità, possono servire a delineare gli estremi di un discorso enorme: cioè da una parte una sintomatologia accertata e vastissima di “malanni pubblici”, all’ingrosso, e dall’altra non si intravede nessuna terapia d’urto, nessuna possibilità di pronto soccorso al dettaglio.

Simili disappunti, brontolii e mugugni vengono peraltro accantonati in omaggio a una sorta di quieto vivere letterario. Si direbbe ad esempio, scrive Francesco Muzziolì, in “Critica integrale”, 2 febbraio 2020, che la “Politicità della letteratura” – è il titolo del testo – “sia una questione accantonata, nell’attuale andazzo della produzione per il mercato, del romanzo intrattenimento, della poesia emozione e via degradando per i rivoli della post-letteratura. Eppure, ogni tanto, fra soprassalti del sonno inquieto della ragione, ritorna a galla questo problema, magari nella forma estetica della responsabilità dello scrittore. Si parla, magari, anche soltanto di realismo. E allora vale la pena di tornare a riflettere perché il binomio politica letteratura si presta facilmente ad equivoci. Il primo problema è: quale politica?”

Chissà se a questo punto la cosa più saggia da fare, invece che prendere titanicamente di petto la situazione, invece che imboccare solennemente vie maestre, invece che dialogare superbamente sui massimi sistemi, non sia quella di concedersi una più o meno distensiva pausa di riflessione. Proprio in quanto si evoca oggi ai tempi del coronavirus la fine di un mondo, bisogna mantenere focolai di riflessione, mentre a valle ardono i roghi. Sarà tramite tali focolai di riflessione che si potrà poi dire qualcosa che faccia spegnere i roghi. Non è male richiamarsi alla regola di San Benedetto: tutti in piedi al mattino; ci si sveglia e si miniano le pergamene.

Gran bel proposito, ma che pergamene miniare, quali scritti, quali forme, quali contenuti produrre?… Muzziolì si richiama a Walter Benjamin de L’autore come produttore, quando sostiene che il concetto di tecnica offre il punto di attacco dialettico che consente di superare la sterile antitesi di forma e contenuto” e che la “giusta tendenza letteraria può essere identificata non nelle idee enunciate o nel comportamento dei personaggi, ma soltanto “in un progresso o regresso della tecnica letteraria”. Lo sperimentalismo – prosegue l’autore – è proprio, con buona pace anche di tante posizioni odierne, una incertezza sul legame necessario tra mezzi e fini, quindi una tecnica che parte dalla separazione dei procedimenti e degli argomenti.  E’ la sospensione del legame “naturale” (che è sempre però convenzionale) dei procedimenti e degli argomenti che può anche contemplare la possibilità di provare, nello stesso testo più procedimenti e più argomenti, da cui la moltiplicazione dei livelli, l’insieme eteroclito, insomma l’eterogeneità complessiva”. Praticabili teoricamente in tal senso e condivisibili nella sostanza appaiono gli otto punti che tratteggiano la declinazione di uno sperimentalismo mobile e flessibile identificati qui da Muzzioli.

Sullo sfondo di uno sperimentalismo compatibile con una società liquida e ipercomplessa si pone anche una riflessione enunciata da Bauman in “Babel” (Laterza, 2015): “Noi non siamo pre-determinati, ma possiamo determinare il contesto, la mente collettiva, il sentire comune. Diceva Marx che siamo noi a fare la storia, ma in condizioni che noi non abbiamo creato. Essere nel mondo significa essere dentro un gioco intrecciato di continuità e discontinuità, di determinazione e di rottura della determinazione”. Se non è la letteratura che regge il mondo, se teorie e pratiche di critica letteraria non sono affatto determinanti alla soluzione dei più urgenti quesiti posti dalla storia in corso, l’impostazione più globale concernente  il problema del giudizio di valore, in vista almeno di un possibile miglioramento di quelli che molto sbrigativamente abbiamo prima chiamato “malanni pubblici” può passare anche attraverso varie fasi e livelli di un più approfondito esame dei parametri su cui poggiano i valori sociali in circolazione.

“In una scrittura come in ogni operazione artistica” dice ancora Muzzioli, “resta da guardare e considerare l’impatto sul codice, sul linguaggio: quale ‘gesto’ il testo compie e in che modo possiamo vederlo come, in senso lato politico. Ora, l’impatto sul linguaggio può disporsi su un ventaglio di maggiore o minore conferma del codice, vedendolo dall’altra parte: maggiore o minore distorsione. Dove c’è da valutare non solo l’aspetto negativo (rottura, negazione, criticità) ma anche quello positivo (invenzione, creatività, libertà) che sono in buona sostanza indistinguibili. Senza l’uno non c’è l’altro e viceversa”.  La complessa stratificazione segnica determina una dialettica prospettiva in cui politicità e sperimentalismo vanno declinandosi dando luogo a un processo letterario  che esclude la linea retta per adeguarsi e seguire un tortuoso itinerario sociale.

“Nella società ipercomplesa, la prassi della comunicazione è letteralmente esplosa”-  scrive Piero Dominici in “La comunicazione nella società ipercomplessa” –  determinando un processo di riconfigurazione dello spazio-tempo ed una progressiva erosione dei confini tra ‘pubblico’ e ‘privato’”.

Proprio in questa prospettiva, generale e non settoriale, si può tendere anche a recuperare nell’attuale contesto un autentico giudizio di valore che non sia più basato sui metri del gusto personale e sui fattori di moda. Non è un richiamo di stampo moralistico o retrodatante: gusti e mode, passando per il sistema delle odierne comunicazione di massa, sono soggetti alle leggi di mercato, suscettibili di mercificazione e consumismo. Un giudizio di valore può invece essere recuperato, e faticosamente recuperato, impiegando congiuntamente verifiche critiche di vario genere, interdisciplinari, intermediali, intertestuali, plurisensoriali… Si tratta in altri termini, lavorando anche sulla traccia di Benjamin, di stabilire un nesso non artificiale fra testo e contesto.

Un nesso fra testo e contesto, fra opera e società, che passi attraverso una rinnovata possibilità di più mobili e autentici giudizi di valore, implica naturalmente anche una diversa prospettiva generale, un diverso modo di concepire il divenire dei rapporti culturali. È in gioco il futuro. Valga almeno come auspicio in questi tempi di coronavirus.

 

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