La deprecazione della mercificazione letteraria è esercizio diffuso e che personalmente pratico da molto tempo. Non c’è chi non si accorga della deriva dell’editoria e della caduta di livello dei prodotti selezionati secondo lo standard del rapido consumo; facile è rendersi conto della perdita di stile della narrativa attuale e della riduzione del romanzo a scenografia, ad imitazione delle più fortunate versioni cinematografiche o televisive, e quindi essenzialmente dell’approccio esclusivamente contenutistico che viene richiesto. Così come i guasti culturali che stanno producendo i nuovi social, riassumibili nella sigla del GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft).
Tutte queste cose le sapevamo benissimo. Però un libro che ce le venga a ripetere in modo documentato e sistematico è sempre utile. Questo libro è uscito in Francia circa un anno fa e s’intitola Le fétiche et la plume. La littérature, nouveau produit du capitalisme, Editore Rivages, frutto del lavoro a quattro mani di due autrici: Hélène Ling e Inès Sol Salas. Continua a leggere La letteratura al tempo del GAFAM
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Jameson e l’allegoria 3
Continua con questa terza puntata la discussione sull’allegoria a partire dal libro di Fredric Jameson, Allegory and Ideology. La prima puntata ha riguardato soprattutto la distinzione tra la personificazione (che è semplificatrice e porta a immagini stereotipate) e l’allegoria a “quattro livelli”, che è, invece, secondo Jameson, polisensa e creativa. Nella seconda puntata si è ragionato sulla differenza tra la prospettiva dell’interprete e quella del produttore del testo, quindi sulla possibilità di una tendenza allegorica. In questa terza si affronta una questione nodale in Jameson, cioè la differenza tra moderno e postmoderno.
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Moderno-postmoderno, ripensamenti e rimozioni
Il clima del postmoderno è stato favorevole alla ripresa dell’allegoria. Intanto perché, promulgando la “felice riscrittura”, un po’ come un manierismo generalizzato, poteva rimettere in campo tutte le “baroccaggini”; ma anche perché, perdendo la fiducia nella realtà, ne diventavano possibili tutti i travestimenti. “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”, “sognare sapendo di sognare” e altre formule nicciane tornate di moda portavano a non disdegnare le inverosimiglianze allegoriche. Nella prospettiva della decostruzione ‒ da non confondere con il postmoderno, ma indubbiamente radicata nella sua temperie ‒ l’allegoria, insieme all’ironia, erano privilegiate come prova della instabilità dei significati. Quanto a Jameson, nel suo volumone in materia (Postmodernismo, ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, 1991, trad. Fazi, 2007), teorizzava il passaggio da una allegoria “verticale” a una “orizzontale”, propria quest’ultima del postmoderno («le nuove strutture allegoriche sono postmoderne e non si possono esprimere senza l’allegoria del postmoderno»), attesa più che alle «etichette concettuali» alle relazioni e alla loro mobilità. Continua a leggere Jameson e l’allegoria 3
Arbasino: imitazione, ironia, satira
Ho sempre ammirato, nelle scritture di Alberto Arbasino, questi tre aspetti: l’imitazione, l’ironia e la satira.
Innanzitutto l’imitazione, la capacità mimetica di riprodurre i linguaggi e gli stili. Quello che lui stesso chiamava il pastiche, per il quale aveva eletto a maestro Gadda; anzi, più che maestro, a “zio”, con la formula “i nipotini dell’ingegnere”. Questa capacità si mostra non soltanto sul lato narrativo della sua opera, ma anche su quello critico: dai suoi saggi ai più brevi articoli era tutto uno scoppiettare di citazioni e di rimandi, sostenuto da una cultura ingente e curiosa, aperta all’estero – uno dei suoi interventi “storici” più efficaci rimane quella Gita a Chiasso dove indicava potersi recuperare, varcando un confine comodamente raggiungibile, l’aggiornamento necessario ad uscire dal provincialismo e ad essere al passo con la più avanzata cultura europea. Continua a leggere Arbasino: imitazione, ironia, satira