Scritture complesse

La casa editrice Diaforia – correttamente si dovrebbe scrivere [dia·foria – pubblica in un formato originale e con una impaginazione molto mossa, un libro di autori vari curato da Daniele Poletti, che è poi l’animatore stesso di tali edizioni. Un libro davvero impegnativo perché rivolto a mostrare con una serie di testi di 12 autori la possibilità di un approccio alternativo alla poesia e alla letteratura. Il titolo della raccolta è Continuo, repertorio di scritture complesse. Ciascun autore viene introdotto da una analisi di mano critica di volta in volta diversa. Gli autori sono: Daniele Bellomi, Alessandro De Francesco, Marilina Ciaco, Marco Mazzi, Luigi Severi, niccolò furri (non è un refuso: si firma con le minuscole), Morena Coppola, Augusto Blotto, Gabriele Stara, Alessandra Greco, frank leibovici (anch’egli volutamente privo di iniziali grandi), Lucio Saffaro. Da notare che, oltre ai “fuori quota” come Saffaro e Blotto, si tratta di generazioni diverse che comprendono anche alcuni piuttosto giovani trentenni (una media approssimativa fa 43 anni); e questo significa che finalmente si scommette sulle new entry.
Ma ciò che mi ha interessato maggiormente è che, fin dalle pagine iniziali, Poletti ha messo le carte in tavola con uno scritto propositivo di deciso orientamento, drastico senza ambagi.

Ritengo infruttuoso il solito gioco melenso del “chi c’è/chi non c’è”, che lascio volentieri ad altri. In questa sede mi pare prioritario prendere in esame l’introduzione. E soprattutto perché è improntata a un rifiuto perentorio della logica di mercato e di conseguenza si impegna a tenere a distanza ogni inquadramento che somigliasse anche lontanamente alla “confezione” del prodotto. Il proposito di evitare «qualsiasi necessità normativa» impone cautela verso le nozioni (o etichette) precedenti di avanguardia o sperimentalismo, tuttavia con l’appello a una non minore forza d’urto – a differenza di quanto accade di solito, cioè che la diffidenza definitoria maschera un sostanziale rientro in comode disposizioni più moderate. La stessa “complessità” che qui fa da nozione-guida viene trattata con le molle in modo da non ingabbiare i testi in una configurazione prefissata, lasciando che siano loro, presentati come una scrittura continua (da cui il titolo), a disegnarne i contorni. Noto che gli autori raccolti non è che si riconoscano in una tendenza, ma vengono piuttosto riconosciuti dal curatore che li individua e ne fa “repertorio”:

Ho scelto per questo libro la parola “repertorio” e non “antologia” per la sua dimensione attiva; il “reperire” è sì un trovare, ma non pacifico, spesso ingegnoso, relativo a una merce rara, che diventa, nel nostro caso grazie al titolo, un’azione di continua ricerca.

Il libro vuole essere quindi un “osservatorio” secondo un progetto che prevede, per altro, ulteriori addenda. Pure sulla complessità qualcosa di intenzionale si dice e si deve dire, altrimenti essa riposerebbe soltanto nella eventuale difficoltà di comprensione del lettore. Ora, intanto, c’è questa indicazione:

La complessità è sottrazione dal vero, problematizzazione del reale, trasduzione incessante del vedere attraverso il disguardare.

E l’accompagna la ripulsa polemica dell’esistente, in termini di “semiosfera mummificata”, di omologazione linguistica e culturale (piace ritrovare tra gli “indebiti” citati il nome di Marcuse, che anche a me pare tornato di grande attualità), di immunizzazione «della protesta e del rifiuto»:

La diretta conseguenza è il processo di sfrenata eufemizzazione del linguaggio. Per una retrograda, ma in più apparente, morale dei diritti e dei doveri, assistiamo a uno spostamento al ribasso che, dissimulando un disimpegno, disinnesca il significato in favore di un senso circonlocutorio. Una fuliggine burocraticamente articolata che si propaga per eccesso di norma. Il risultato è l’appiattimento delle differenze, l’orizzontalizzazione dell’esperienza, l’instaurazione di una “neo-lingua”, l’avvento di una “contro-lingua” (quella dei più giovani) sanguinante, ma radicalmente impoverita per imposizione di buon governo – perciò zoppa, spesso, di un pensiero stratigrafico –, il protezionismo denaturato e illimitato che rinnova sempre con successo il racconto del benessere, del lavoro, delle istituzioni, delle comunità tradizionali e delle necessarie appartenenze.

Lucida analisi, alla quale si aggiunge, nella pagina seguente la sottolineatura del rischio di «cancellare gli aspetti cognitivi in favore dell’emozionalità», manovra perversa che concerne soprattutto la prassi invalsa nell’attuale approccio alla poesia.
La proposta della complessità è aperta alla discussione. Personalmente, da critico pedestre e divulgativo, avrei minore preclusione verso le nozioni pregresse, sempre che siano usate in modo flessibile (da amuli e non da epigoni) e non come etichette di comodo. Del resto, Poletti  preliminarmente si smarca

superando la sterilità di un atteggiamento specificamente oppositivo (vedi lirico versus sperimentale, ricerca versus mainstream ecc.), in favore di una visione più ampia che renda l’approccio complesso all’arte e alle scritture come una necessità intellettuale e sociale, svincolata dai posizionamenti, in quanto atto politico connaturale alla formazione di individui liberi.

Però poi la terminologia conflittuale gli ritorna necessariamente in ballo quando parla di «posizione per natura oppositiva» oppure di «uno strumento oppositivo all’uniformazione e indifferenziazione che ci circonda». È vero che in quei casi è evidente che l’opposizione non riguarda l’interno della letteratura bensì la contraddizione di tipo politico-sociale, e in questo contesto si fa leggere anche l’indicazione di «una permutazione continua di tradizione e di ricerca». Sono d’accordo sull’identificazione del bersaglio grosso (l’immaginario collettivo) a patto però di distinguere la tradizione utilizzabile, l’anticanone, da quella ormai accaparrata proprio dal pensiero dominante, ancorché (come in un certo rilancio odierno della lirica) aureolata come fuori-mercato e invece compensativa e consustanziale ad esso. Ma Poletti si è garantito da qualunque equivoco grazie ai termini molto forti che non esita a impiegare, come “dissidenza radicale” e “sovversione”.
Insomma, nella stagnazione, segnali di vita. Insieme al dibattito sulle scritture di ricerca e all’avanguardia permanente di cui ho parlato in questo blog, il libro di Poletti (che per altro di suo è anche un autore debitamente complesso) è un passaggio ineludibile che si impone a future riflessioni e auspicabili confronti.

1 commento su “Scritture complesse”

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