In merito al recente dibattito sulla “fine della critica” suscitato sul “Venerdì” di “Repubblica”, la cosa migliore mi è parsa l’idea di riprendere un intervento di una trentina di anni fa: come dire, “ve ne accorgete solo adesso?” Era il 1993 e il Premio Feronia al suo secondo anno di attività, nel mentre premiava Sanguineti per la poesia, delli Santi per la narrativa, Adonis e Zach insieme come autori stranieri, decideva di non assegnare il premio per la critica militante. Le motivazioni erano espresse a chiare lettere da questo articolo di Lamberto Pignotti su “Paese Sera”, che qui ripubblico con molto piacere con il consenso dell’autore.
IL GIUDIZIO DI REGIME
Manca in Italia la figura del critico militante
Ma quel personaggio che per abitudine viene chiamato “critico militante” esiste veramente o no?
Forse per esistere nel nostro paesaggio dovrà aspettare che qualcuno lo raffiguri, come è successo alla nebbia di Londra che, come ha detto Oscar Wilde, non c’era prima che Whistler la dipingesse…
Sta di fatto che il critico militante, quel critico che dovrebbe tempestivamente pronunciarsi sulle opere letterarie degne di una qualche attenzione che via via vengon pubblicate, appare a prima vista, qui in Italia, sempre più nebbioso. Poi, sforzandosi ben bene gli occhi, egli si rivela trasparente, e di fatto inesistente.
È nebbioso per il suo gergo spesso ambiguo – con pertinenza e abitudine definito ormai il “critichese” – ma soprattutto è inesistente rispetto alla funzione che dovrebbe svolgere: quella appunto di dare dei giudizi di valore. E i giudizi di valore, a costo di sbagliare, dovrebbero essere i suoi…
E invece no. Anche se tutti, o quasi, fingono di non saperlo, i giudizi non li dà il critico, ma qualcun altro.
Qualcun altro che, alla pari del critico, non ha un’identità precisa perché si confonde con qualcos’altro di analogamente nebbioso, ma che per via induttiva va rintracciato nei quadri, nei congegni, nelle coordinate dell’industria culturale, delle concentrazioni editoriali, degli organismi insomma che perseguono fini quasi inconciliabili con quelli della letteratura.
È naturale che un’industria, che produce libri in una debita e stringente ottica di mercato, sia più interessata agli utili che ai valori di ciò che stampa E naturale è anche che in tale ottica non abbia nessuna rilevanza il giudizio di valore in sé del critico, che dall’industria suddetta tende ad essere più o meno esplicitamente considerato alla stregua di un proprio lavorante esterno.
Del resto non è raro il caso che egli sia retribuito come redattore o collaboratore culturale di una testata che fa capo al medesimo gruppo editoriale. Quale fringe benefit gli si può graziosamente pubblicare financo un libro una tantum...
Che prestazione si richiede allora a siffatta figura di critico? Si richiede un avallo – perlopiù in forma di recensione millimetrata da utilizzare poi come litania pubblicitaria – di quei prodotti che sono stati aziendalmente programmati ed etichettati in vista del massimo profitto a breve termine. Insomma la funzione del critico in questione si configura di fatto come finalizzata a integrare (con apparente tocco di nobilità, in certi casi) una campagna commerciale.
E un nodo che sta venendo al pettine e che ha fatto intanto maturare una decisione che se non sembra per il momento destinata a far cambiare radicalmente il costume culturale italiano, appare emblematicamente assai rilevante. Preso infatti atto di questa desolante situazione, la giuria del premio Feronia, il cui statuto prevede anche la premiazione di un critico letterario che svolge in piena autonomia la sua funzione su un quotidiano o un periodico a larga tiratura, si orientata per l’edizione del ’93 a non assegnare tale premio.
Può darsi che ancora una volta una simile vicenda sia destinata a passare sotto silenzio: dopotutto il Feronia non è il Campiello, non è il Viareggio, non è lo Strega… Può darsi che ancora una volta si farà finta di non vedere, di non sentire, di non capire… Può darsi che ancora una volta si farà di tutto per occultare le magagne critiche del regime culturale esistente in Italia… Può darsi tuttavia, invece, che anche per il regime culturale esistente – le avvisaglie ci sono già – stia per essere opportunamente avviata una salutare operazione “mani pulite”…
LAMBERTO PIGNOTTI
“Paese sera”, 27 febbraio 1993
11/01/2022