L’editore Meltemi ripropone il mio libro Scritture della catastrofe, già pubblicato in prima edizione nel 2007. La nuova versione è stata rivista, corretta e aggiornata, dato il periodo intercorso. Il clima determinato dalla pandemia ha indubbiamente inciso sul ritorno di questo “viaggio tra le distopie” che tocca diversi aspetti divenuti, purtroppo, d’attualità. Tuttavia il genere (o sottogenere) distopico non vale soltanto in quanto la sua visione del futuro si sta dimostrando azzeccata, ma soprattutto per la sua impostazione particolare che, puntando sul peggioramento del presente, “distorce”, per così dire, i generi confinanti, il fantastico e la fantascienza, e utilizza anche, a buon bisogno, l’allegoria e l’umorismo, mettendo sotto gli occhi l’avvertimento di cosa avverrà se tutto continua così.
Il libro percorre passo passo gli incubi letterari, dai più ai meno famosi, di diverse letterature. La rassegna dell’evoluzione e delle tipologie delle scritture distopiche serve a farne comprendere meglio la funzione, che è essenzialmente esortativa (la distopia rappresenta qualcosa che non vuole veder realizzata) e la posizione nel sistema odierno dei generi letterari.
In particolare, rivedendo il libro per questa che si potrebbe definire una dystopia reloaded, mi si sono focalizzati in particolare due ordini di problemi nodali:
1) la diffusione attuale della distopia su vari supporti (non solo libri cartacei, ma film, fumetti, videogiochi) rende necessaria, oltre la distinzione dei diversi filoni, una serrata critica della distopia, che ne metta in luce gli aspetti consolatori, soprattutto dove arrivi ad un finale positivo, per cui il massimo rischio dell’umanità si traduce nella illusione della salvezza e l’incubo della catastrofe viene fatto svanire con un bel sospiro di sollievo.
2) va rilevato con forza, ancor più che il termine “catastrofe” (che pure segna la curvatura al nero delle distopie), il termine “scritture”. Questo termine rimanda alle modalità con cui la distopia viene raccontata. Come ha notato Jameson, a differenza dell’utopia che si svolge come una “visita guidata” nel mondo organizzato razionalmente in qualche modo fuori del tempo o dallo spazio, la distopia è sempre un racconto con un suo sviluppo, consistente in una linea peggiorativa. Ma si tratta di capire che tipo di narrazione sia: se è vero che il “cosa” è quello di una situazione emergenziale, allora il “come” non può essere una narrazione scorrevole e semplificata, come vorrebbe oggi la forma-di-fiction. La distopia migliore sarà allora quella frammentaria, ibridata, scompensata, complessa e problematica (“disastrata” anch’essa) che mette in conto la fine anche come fine dell’ideologia del narrare, con esiti paradossali. Più che l’empatia nei confronti del personaggio, che spesso fallisce, la distopia migliore è quella che richiede riflessione sul testo e impegno fuori del testo per evitare che quelle catastrofi immaginarie si realizzino realmente.
Piccolo corollario: per questo libro ho dovuto redigere molti riassunti, ma non mi sono arreso alla “riassuntite”. Nella seconda parte il lettore troverà analisi testuali dettagliate e approfondite, come esige una corretta critica letteraria.
Sul tema si può vedere anche l’intervista rilasciata al sito “Letture”.
25/01/2021
Complimenti Francesco, si tratta di un libro unico nel panorama critico italiano, la cui revisione avrà certamente reso ancor più interessante ed attuale. Congratulazioni quindi, e in bocca al lupo per questa nuova impresa… Un abbraccio da Irene e da me Sandro Dell’Orco
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Curioso di scoprirne gli sviluppi, nella sua prima edizione il libro già mi sembrava affrontare l’argomento in maniera abbastanza approfondita. Tra l’altro, ricordo la vicenda della chiusura della casa editrice, dieci anni or sono, in seguito felicemente superata. Auguri per questa nuova uscita.
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