Tran Duc Thao (1917-1993) è un nome “esotico” ‒ si dovrebbe scrivere Trần Đức Thảo ‒ che si trova citato incidentalmente , ma finora presso di noi è stato trascurato e ignorato.
Si tratta di un filosofo vietnamita formatosi in Francia (rientrato in patria verrà perseguito come dissidente) che, interessato soprattutto al problema del linguaggio e della coscienza, passerà dalla fenomenologia al marxismo, per produrre tre importanti Ricerche sull’origine del linguaggio e della coscienza. Un libro con quel titolo era in progetto all’inizio degli anni Settanta, auspice il nostro Rossi-Landi, ma restò inedito. Meglio tardi che mai, esce adesso dall’editore Mimesis, per la cura di Jacopo D’Alonzo e Andrea D’Urso, autori rispettivamente del saggio iniziale e di quello conclusivo.
Indubbiamente già il paese d’origine dell’autore produce suggestioni e la sua provenienza da un “altrove” culturale ci promette un punto di vista straniante; in effetti l’opera di Thao serve non solo a completare il panorama di un periodo estremamente vivace e appassionato, ma anche a rimettere al centro la prospettiva della semiotica materialistica.
Il libro si compone di tre ricerche, pubblicate in prima battuta sulla rivista francese “La Pensée” tra il 1966 e il 1970. La prima ricerca s’intitola Il movimento dell’indicazione come forma originaria della coscienza e parte dalla forma elementare del segno fatto con indicazione della mano e del braccio, per mostrare come sorga dalle necessità dell’azione collettiva e attraverso di essa venga interiorizzato e dia inizio alla coscienza individuale. Un esempio di “gesto ad arco di cerchio” che esprime direzione e richiamo è tratto espressamente dal quadro di Delacroix che ho posto come immagine in evidenza in testa all’articolo:
Ritroviamo ancora oggi questo segno ‒ scrive Thao ‒ nel gesto classico del comandante di un’unità che parte all’attacco: la mano fa un ampio movimento ad arco di cerchio che ingloba gli uomini e li spinge in direzione del nemico. Se ne può vedere una rappresentazione plastica nel quadro di Delacroix, La libertà che guida il popolo: la mano destra che tiene la bandiera si trova sul punto di concludere un gran gesto semicircolare, mentre gli occhi rivolti verso i combattenti sottolineano l’indicazione con lo sguardo.
La seconda ricerca riguarda Il linguaggio sincretico e segue i progressi nell’elaborazione del linguaggio nei diversi stadi dell’ominazione attraverso fasi e salti per arrivare dall’“indicazione sviluppata” alla “frase funzionale”. Thao sottolinea con formule adeguate i punti di svolta: la “liberazione del cervello”, che segue quella della mano ed emancipa dalla presenza dell’oggetto, rappresentandolo mentalmente quando è assente; e infine il “passaggio del Rubicone cerebrale” con la “produzione dell’utensile” e la “costituzione della frase”, in cui «l’uomo lascia il grembo materno della natura per venire alla luce in un mondo nuovo, come mondo della cultura». Quanto alla terza ricerca, Marxismo e psicanalisi. Le origini della crisi edipica, è un serrato confronto con le teorie di Freud per mostrare il ritorno nell’inconscio delle fasi primitive dell’organizzazione sociale dell’uomo (dove il conflitto con i “Padri” sarebbe stato generato da particolari condizioni dei gruppi umani). Qui Thao perviene alla definizione dell’inconscio come «linguaggio sedimentato delle tappe superate dello sviluppo umano».
Da questi cenni purtroppo sommari si può però già dedurre il metodo di Thao che consiste nel recuperare i dati della paleontologia per confrontarli con quelli della psicologia dell’età evolutiva nella convinzione che l’ontogenesi ripercorra la filogenesi. Il richiamo ai dati della preistoria si trasforma sotto la sua penna in narrazioni molto vivaci; ad esempio il racconto degli australantropi che inseguono le prede che sono nascoste da una roccia:
A questo punto, l’avanguardia, giunta alla seconda svolta, di fianco alla roccia, indica loro con la mano la selvaggina che si trova lì dietro. Il gesto del grosso dei cacciatori prende subito con ciò una nuova significazione, poiché ora risponde al nuovo segno dell’avanguardia e, facendosi guidare da questo, indica la selvag¬gina dietro la roccia. Ne segue che l’immagine persistente della bestia viene a essere trasposta dietro questo secondo schermo.
L’inconscio raccoglierebbe allora atteggiamenti primitivi, e sarebbe un inconscio collettivo, però (a differenza di Jung) non mitico ma storico. Del resto, le premesse enunciate all’inizio della ricerca erano quelle di attraversare la psicoanalisi alla luce del materialismo. E di materialismo si tratta, non solo nei riferimenti a Marx e Engels; del secondo ovviamente L’origine della famiglia, del primo Thao riprende in più punti la nozione di “linguaggio della vita reale” ( la Sprache der wirklichen Lebens) come luogo misto di formazione dell’astratto ben dentro il concreto. Tutto il suo discorso è caratterizzato dal legame stretto e inscindibile tra significazione e lavoro (la scheggiatura dei ciottoli, la caccia, ecc.), che si sviluppano insieme nell’ambito della pratica sociale, «dando origine via via a nuove forme del linguaggio e della coscienza, nelle quali la struttura semiologica originaria si arricchisce ogni volta di nuovi gesti linguistici modellati sull’attività materiale e sui rapporti materiali tra i lavoratori».
Ai due capi del libro, sono di grande utilità gli scritti dei due curatori, quello di D’Alonzo ci offre il contesto biografico e culturale dell’autore, quello di D’Urso lo legge nel confronto con la semiotica materialista (in particolare con Rossi-Landi, che del resto citava Thao in vari punti della sua propria opera).
Da parte mia, aggiungo alcuni spunti di riflessione. Il primo è l’essenza sociale dell’interiorità costituita dal linguaggio:
L’intimità della coscienza o interiorità del vissuto è questa forma idealizzata nella quale il soggetto riprende per se stesso l’esperienza sociale sanzionata dal linguaggio, e si mette in rapporto con se stesso confondendosi in questa “società interiore” (…).
Vengono a cadere allora le pretese dell’individualità interiore, della autenticità, dell’identità, dell’essenza intima e quant’altro si trasferisce in una certa ontologia poetica (il “poetese”, come lo chiamava Sanguineti). Il secondo punto è il richiamo all’oggettività come qualcosa di esterno: se il gesto dell’indicazione è all’origine della semiotica, è precisamente un rivolgersi al “questo della certezza sensibile” (il “questo” è poi privilegiato da Thao in tutte le sue formule sullo sviluppo della frase). Rivolto contro l’idealismo, l’argomento mi sembra mantenere validità nei confronti del panlinguismo diffuso negli anni tra decostruzione e ermeneutica. È vero che noi nasciamo già avvolti nel linguaggio, tuttavia il fatto che dobbiamo apprenderlo mediante un processo di adattamento dimostra che “non tutto è linguaggio”. Impariamo a parlare proprio nel tentativo di controllare le cose che ci sono estranee e incomprensibili.
Infine, il libro di Thao contiene al suo interno il problema del comunismo. Nell’evoluzione l’autore individua un periodo di comunismo primitivo, poi disatteso con il ritorno a forme di predominio. «La vittoria definitiva della rivoluzione [qui Thao sta parlando del Pleistocene, sia chiaro] fu probabilmente acquisita solo in un periodo di scarsità, quando le difficoltà dell’esistenza obbligarono la comunità in formazione a imporsi una stretta disciplina collettiva sotto pena di estinzione». Che il comunismo sia possibile solo di fronte alla catastrofe della specie, che solo in un punto estremo ci so convinca della sua vantaggiosità per tutti? Thao, però, sembra pensare possibile una nuova conversione della cattiva strada del mondo. A un certo punto,
la bella unità immediata della comunità originaria si sopprime da sé per far posto a questo lungo movimento paradossale, in cui lo sviluppo dell’essenza sociale umana, fondato sul progresso delle forze produttive e dei rapporti di produzione, si presenta nella forma rovesciata della sua negazione come alienazione dell’uomo a se stesso, paradosso che si concluderà solamente ai giorni nostri con la rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato, la costruzione del socialismo e del comunismo civilizzato, solo con la negazione della negazione che permette la piena fioritura di tutto il retaggio positivo dello sviluppo storico.
La fiducia di Thao nella “dittatura” non è più la nostra. Ma che, tra le varie sopravvivenze del primitivo, quella «dell’uguaglianza che assicurò la salvezza dell’umanità nascente» sia la più auspicabile, ci faccio volentieri la firma.
7/11/2020