Mi è capitato spesso in passato, negli incontri nelle scuole e nel dialogo con studenti e professori, di imbattermi nel culto dell’“ispirazione”. In pratica, questo argomento: un testo poetico è valido se deriva da un’ispirazione. L’ispirazione è la misura del valore: se essa manca, il testo è debole o insignificante.
Sarebbe stato facile esprimere semplicemente contrarietà a queste asserzioni. Per esempio, affermando che sono vecchie come il mondo e quindi stantie; oppure che appartengono a un armamentario mistico e quindi valide solo per chi ci crede. La teoria dell’ispirazione si trova pari pari in Platone e si può riassumere così: l’autore non è l’autore, ma semplicemente il portavoce di una forza soprannaturale (la Musa) che soffiando come un vento “spira”, per l’appunto, attraverso l’autore umano. Il poeta, insomma che è ispirato, lascia entrare in sé quest’aria superiore che lo invade e determina la sua propria espressione. La cattiva poesia, in tale contesto, sarebbe quella di un poeta privo di ispirazione, disdegnato dalla Musa (si sa che lo spirito soffia dove vuole lui), che pertanto non può che suonare a vuoto quando si sforza di imitare dall’esterno i tratti dei beniamini del sacro fuoco. Continua a leggere L’ispirazione: siamo ancora a questo punto?
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Modernità e dissonanza
A fondamento dell’estetica classica c’è la repressione del discordante: basta vedere l’attacco dell’Ars poetica di Orazio e il suo rifiuto dei mostri, la testa umana sul collo di un cavallo o la donna con la coda di pesce. Sarebbero congiunzioni inconseguenti e disdicevoli, modi orribili e destinati al ridicolo (“sapreste, amici, trattenere le risa?”). Sarebbero improprietà, anomalie, accoppiamenti non conformi; séguiti che non consuonano con quanto li precede.
Per un sacco di tempo – e, c’è da scommetterlo, ancora oggi – l’armonia è assurta a valore estetico preminente, accompagnata dalle sue consorelle proporzione, parallelismo, simmetria. In esse c’è la promessa della ripetizione e il piacere del ritrovamento regolare dell’identico che esorcizza il timore della perdita (vedi anche, in Freud, il bambino con quel rocchetto che va e che torna). Il ritmo elementare di tensione e distensione, simile al respiro, al battito del cuore. Effettivamente, pare che il nostro stesso corpo coincida con questa funzione di alternanza confermativa.
Dunque la dissonanza è esclusa? Sarebbe soltanto un passo falso, un’aritmia, una stonatura, una patologia insomma nell’universalmente umano dell’armonia? Continua a leggere Modernità e dissonanza
Wladimir Krysinski, il critico globale
Wladimir Krysinski si è spento nella notte tra il 17 e il 18 settembre scorso. Era nato in Polonia nel 1935, poi era espatriato in Canada, dove ha insegnato all’Università di Montréal. Nel corso degli anni ha anche viaggiato spesso per convegni e per studi, da vero cittadino del mondo. Conosceva bene tutte le principali lingue europee, scriveva indifferentemente in francese e in inglese e i suoi libri sono stati abbondantemente tradotti. In Italia, in particolare, ricordo lo studio su Pirandello (Il paradigma inquieto, 1988) basato sulla convinzione che l’interpretazione dell’autore debba nascere da un inserimento nel reticolo dei rapporti internazionali e attraverso nozioni critiche altrettanto ampie. Prospettiva che si sviluppa nell’altro libro uscito nella nostra lingua, Il romanzo e la modernità (edito nel 2003 per Armando, nella collana diretta da Marina Guglielmi): raccolta di saggi su autori di lingue e culture diverse, tenuti insieme dall’intenzione di mostrare le diverse linee del romanzo nella situazione della modernità novecentesca.