L’opera di Giovanni Fontana si è affermata ormai come una delle direzioni principali della poesia italiana contemporanea, innanzitutto per l’estensione dei mezzi – performance con sbocchi teatrali, poesia sonora, poesia visiva e una costante produzione di poesia lineare o semi-lineare (quasi in funzione di spartito) – e per la portata internazionale e relativi riconoscimenti; ma anche per maturità e intensità espressiva teme ben pochi confronti. Notevole anche per costanza e continuità: escono a stretto giro le tavole verbovisive di Paysages, edite dalla Fondazione Bonotto con l’introduzione di Eugenio Miccini e le poesie de Il corpo denso, prefate da Barbara Meazzi, per i tipi dell’editore Campanotto, che conferma la sua meritoria attività di promotore della ricerca più avanzata.
Il titolo Il corpo denso suggerisce le due dimensioni della corporeità e della densità, che ci introducono subito nella tendenza rappresentata da Fontana. Corporeità e densità interconnesse tra loro, perché il corpo si afferma come principale strumento artistico nella sua totalità e quindi come origine di un segno che dovrà essere “denso”, cioè plurale, articolato e complesso. Nell’epoca del “virtuale” e del “semplice”, questo richiamo basico alla materialità corporea e alla stratificazione semiotica riveste un valore particolarmente alternativo.
Ma come si sviluppa, concretamente, la densità? Nel nuovo libro Giovanni Fontana procede nella ricerca avviata nel recente periodo di un passo ritmico (quasi-metrico), fondato sul recupero della rima. Non però una rima regolare e garante della forma chiusa: la rima che qui si mette in campo è piuttosto un rimbalzo sonoro teso a creare concatenazioni e sequenze, spesso attraverso un primo distanziamento e poi un secondo rinforzo ravvicinato. Il tutto in un tessuto di assonanze e variazioni. Qualche esempio a caso: «[niente indolore [niente incolore [senza sapore»; «poca cosa per una sposa deliziosa in posa: una chiosa in prosa»; «che poco astuto [a tutto sputo t’annientano il vissuto»; «d’aglio | so che non sbaglio | d’aglio mi squaglio | nell’apnea del tiglio». Questo procedimento ritmico e non metrico, sebbene qualche misura si possa ritagliare di qua o di là, favorisce non l’impalcatura, quanto un flusso associativo che serve a sviluppare i significati e magari a derogarne. Si potrebbe parlare anche, come vedremo più avanti, di un incalzare verbale che si somma ad una istanza epico-etica. Solo che, nei testi qui raccolti, la continuità viene solcata da tutta una serie di accorgimenti di tipo sonoro e visivo, che costituiscono invece interruzione e scarto interno. Possiamo inventariare sommariamente:
– La divisione in sillabe, che serve a trovare le parole dentro le parole (tipo: «im bullo nate», «pru denti»).
– Il prolungamento consonantico, che accentua le sonorità stridenti («la guerrrrrra», «disssfffatta»).
– La disposizione nello spazio, che suddivide e indica visivamente le separazioni, nonché le organizzazioni straordinarie della pagina come gli incolonnamenti:
e addirittura la sovrapposizione dei caratteri della scrittura:
che arriva a creare una compattezza materica, quasi uno Zeroglifico sulle orme del maestro Spatola, qui ricordato.
E poi l’intervento sui corpi tipografici con lettere e punteggiatura poco o molto ingrandite.
Le modalità di divisione interna, probabilmente notazioni per la lettura a voce, assumono svariate forme, potendo essere barre verticali o traverse, ma anche parentesi quadre non chiuse e parentesi tonde, magari messe al contrario, come si è già visto. Aggiungiamoci anche le onomatopee (di tipo fumettistico) e le più tradizionali anafore, e avremo una non esaustiva rassegna delle varietà di movimento di una pagina che non vuole saperne di rimanere nei limiti consueti.
A proposito di anafore (cioè le ripetizioni iniziali), quelle di maggior durata riguardano proprio significativamente la voce:
voci dal fremito del neon / voci di stanza / voci allarmanti (bugie radianti / voci di castighi e vibrazioni aitanti / voci (sostituzioni per giorno per ora (e minutaglie / voci (tutte le sigle per conoscenze e voglie / voci (apposte in fin dì rigo / voce (ma parva e larva (torva svettante / voce d’infante / voce d’arsura / voce di calura / voce promiscua perde la crudezza / voce in ebbrezza…
Nonché il corpo:
«corpo che l’accorta morte staglia [incessante / corpo che ritaglia [ / corpo che crea d’oggetti e percepisce di coscienza / corpo ch’è in pubescenza [ / corpo che abbraccia moti browniani / che scocca lampi darwiniani [ / corpo che sculaccia per incavernare interiora e ritorte e distorte / ed ogni sorte [ / corpo che malate coratelle smorte [che beccamorte [ / corpo che d’inefficaci molecole il delirio [/ corpo che del martirio [l’estasi e il respiro / corpo che l’orrore catodico appassisce…
(via continuando per più pagine).
Ora però va specificato che tutta questa grande metamorfosi linguistica che va a rimasticarsi perfino i grandi classici come L’infinito (dove il leopardiano “ermo colle” diventa «erto» e perciò «dura e folle / ogni volta la salita») non è affatto strumentata in vista di un inno alla felicità creativa. Al contrario, l’ottica è quella della felicità, sì, ma della felicità collettiva negata dal degrado sociale, per cui la “voce in movimento” e il “corpo denso” si configurano in tratti polemici proprio attraverso le violazioni del codice, quasi come se eseguissero volta a volta lo strappo dei vincoli costituiti, quindi tormentando la lingua comune. Il soggetto deve riconquistare la sua parola se vuole finalmente pronunciare la prima persona in termini di responsabilità, come avviene attraverso la reiterazione dei “dico” e “dirò”. Così, dalle forme tendenti al nonsense e dalle libere associazioni emerge la demistificazione della comunicazione dominante, delle falsificazioni pubblicitarie, degli interessi dei “potenti prepotenti”.
E si capisce perché i diversi componimenti (per l’esattezza 33) raccolti nel libro, siano definiti non già “pezzi” o “brani” o “poesie”, ma piuttosto “spari”. Lo sparo è un elemento sonoro e di forte interruzione. Ma ancor più si segnala come richiamo a un conflitto. Un explicit afferma appunto di voler raccogliere «spari nel bersaglio della mia rabbia». È il punto che dicevo epico-etico, l’opposizione alle forme seducenti della società dello spettacolo e della fabbrica dei desideri.
Davvero Giovanni Fontana concentra qui – e proprio mentre dribbla la trappola dell’engagement retorico e vittimistico – l’istanza a un impegno doppio, puntato sia sui temi che sui modi. E ci offre un modello di avanguardia possibile in questo grigio e confuso presente.
A riprova di quanto la consapevolezza faccia parte del gioco e contraddistingua l’operazione, ecco come lucidamente si esprime l’autore in sede di intervista conclusiva:
È possibile una poesia civile? Sappiamo bene che la poesia che sbandiera slogan non cambierà mai il mondo. Tuttavia la necessità dell’analisi sociale, il sentimento di protesta, oggi, te li senti a pelle. L’ingiustizia ti stringe un nodo in gola. Tant’è che in questi testi ho voluto, tra l’altro, riferirmi ai lager, ai migranti, alla guerra, alla condizione femminile, alla violenza sulle donne, alle mistificazioni della politica, ecc. D’accordo. L’ho fatto perché ho sentito di farlo. Con convinzione. Con trasporto. Ma la poesia non può essere confusa con la politica, né può adottarne il linguaggio. Direi, però, che la poesia civile può essere quella che rivisita le forme. Che le riorganizza. Anche in modo radicale. Quella che traduce in forme nuove le aspirazioni civili di giustizia e solidarietà. Forme di opposizione che fanno leva sulla trama significante per corrispondere un valore all’ordito dei dissensi. Le forme di conflitto, direi.
(…)
Il poeta lavora sul linguaggio. Dà corpo alle forme delle parole. Ecco, allora, «il corpo denso». Che mostra grumi verbali sconcertanti. Spiazzanti. Un tessuto aggressivo per le sue forme e febbrile nell’impegno, la cui forza d’urto si dispieghi tra gli spiragli delle cortine dei fonemi, in modo che affiorino i conflitti e le contraddizioni.
Non mi resta che sottoscrivere.
08/09/2021
Un poeta capace di restituire nuova gola alla parola totale
"Mi piace""Mi piace"