Sulla “poesia epigenetica” di Giovanni Fontana

L’editore Danilo Montanari pubblica il catalogo della mostra dedicata all’attività multiforme di Giovanni Fontana, poeta lineare, sonoro e visuale, nonché performer, insomma poliartista di indiscusso valore. La mostra è stata promossa dalla Fondazione Bonotto e dal CIPM e Alphabetville di Marsiglia; il libro che ne deriva, curato da Patrizio Peterlini, ospita una serie di interventi critici su Fontana raccolti attorno a un titolo contenente la formula prediletta dall’autore, Epigenetic Poetry. “Epigenetico” è un attributo che proviene dalla biologia e indica le mutazioni cellulari che non alterano la struttura. Poesia epigenetica sarà dunque quella che utilizza il testo-base in modo fluido, sottoponendolo di volta in volta a interventi singolari, al modo di una partitura, di un pre-testo che deve essere investito e proprio “innervato” da tutta la corporeità del poeta, concentrata in particolare nell’uso della voce:

Riflettendo, allora, sul potere di significazione del corpo nella sfera linguistica non si può non considerare, in poesia, il valore della vocalità, che ha il potere di innescare istantaneamente nel momento performativo le vampe melopeiche, logopeiche e fanopeiche, ma secondo livelli variabilmente sovrapposti e talora fortemente distanti. È infatti la voce, come corpo dinamico, che in forma, con-forma, configura la poesia nello spazio-tempo.

Sono parole di Fontana, tratte dal suo La poesia epigenetica: Urtext in espansione. Manifesto su testi, voci e luoghi dell’azione poetica; è lo scritto centrale del libro che nel mettere a fuoco la poetica multiprospettica dell’autore, tocca punti di indubbio interesse teorico. Infatti, l’uscita dal mero supporto cartaceo, non solo aumenta la diffusione internazionale del discorso (come si vede dai contributi stranieri presenti nel libro, in primis il francese Julien Blaine, ideatore della mostra marsigliese), ma ‒ come accennavo ‒ comporta la messa in evidenza esibita della corporeità (l’«azione del corpo», dice Peterlini), e la centralità della voce, articolata in tutte le possibili sfumature, anche disarmoniche. Sostiene Fontana:

La voce: che sostiene il testo, ma che può anche temporaneamente abbandonarlo, per dissolverlo nello spazio, per scomporlo in grumi di fonemi, in frammenti di corpo, in particulae volanti, in germi temporali, in pure vibrazioni capaci di ricoagularsi intorno a un concetto, a un’idea, a un ulteriore gesto poetico, a una sorta di corpo glorioso, che si fa corpo di poesia.

La voce può essere ulteriormente rielaborata, attraverso i più sofisticati strumenti tecnologici, al servizio della delicata evidenziazione delle sfumature “soprasegmentali”. L’intervento di Gilles Suzanne indica dettagliatamente gli aspetti che vengono amplificati; sono

il corpo, le sue risonanze, le sue vibrazioni, respiri, rantoli, borborigmi. Perciò quest’ultimo interviene in molteplici modi sul suo apparato respiratorio e fonatorio convertendo il respiro in suoni, giocando sulla laringe, sulla trachea, sulle corde vocali, modulando il flusso d’aria, controllando i muscoli laringei e le cavità risonanti, il cranio, gli orifizi nasali, la faringe e il cavo orale, senza dimenticare la lingua, il velo del palato e le labbra.

Ora, gli apparati microfonici, i video e quant’altre apparecchiature richiedono l’allargamento delle competenze. Interdisciplinarietà, ma tendenziosa, è quella del poliartista:

Il poeta si trasforma, allora, in poliartista: egli si appropria delle pratiche elettroniche, videografiche, del cinema, della fotografia, dell’universo sonoro (oltre la musica), della dimensione teatrale (oltre il teatro), dell’universo ritmico. Agisce poieticamente utilizzando tutte le tecniche, tutti i supporti, tutti gli spazi, senza rinunciare a ricondurre all’àmbito creativo il suo stesso corpo, quindi il suo gesto e la sua voce: elementi che, collegati alle nuove tecnologie, alimentati dal sostrato energetico dell’elettronica, costituiscono il fondamento di un nuovo atteggiamento poetico.

Questa moltiplicazione della significazione (o ipercodifica che vogliamo chiamarla) si concentra nell’evento performativo. In esso, il testo perde la sua fissità e il suo ruolo cogente per esporsi alle possibili “mutazioni”, anche contestuali o casuali, compreso il livello «delle correlazioni ambientali e dei contatti con l’audience».
Il dibattito che si intravede già dagli interventi del libro, influenzato dalle aporie tra voce e scrittura di marca decostruzionista, oscilla tra la disseminazione e il progetto. È chiaro che l’espansione del testo porta a un incontrollabile sollecitazione di diversi capillari sensibili, tuttavia questo impatto intuitivo resta prodotto da un’intenzione di fondo. Giustamente, nel suo intervento Michaël Batalla parla di una dialettica, un punto di equilibrio tra «la voce che si affranca dall’autorità del testo e la ricerca di forme testuali generanti libertà vocale». Vale la pena di ascoltare in proposito lo stesso Fontana:

l’azione del poeta-performer deve oggi tendere a sviluppare le indicazioni del pretesto poetico, a dilatarle secondo chiavi diverse, già tutte sottese al verso, tutte avviluppate nei congegni strutturali, nei dati metrici, nei presupposti sonori. Sarà essenziale intervenire sul piano dei linguaggi del corpo. Primo fra tutti quello che fa capo alla vocalità, ma badando all’imposizione figurale, alla gestualità, alla proposta dinamica.

Si tratterebbe, allora, di una operazione, per così dire, di estrazione che non sarebbe possibile se non esistessero i dovuti “presupposti”.
Il libro è dedicato soprattutto agli aspetti vocali-performativi ed è corredato dalle opere visive di Fontana, tra le quali spicca la presenza dei pentagrammi ondulati, perfetta rappresentazione del concetto di “partitura fluida”. Ma anche chi volesse restare ai testi cosiddetti “lineari”, dovrebbe constatare che, già come scrittura, il testo di Fontana è dotato di tutta una serie di sollecitazioni ritmiche e grafiche di ineludibile spessore, cioè è già instradato in quella tendenza esorbitante senza la quale non potrebbe poi investire gli ulteriori livelli mediali.
Concludendo il suo manifesto, Fontana torna a sottolineare la natura processuale della “poesia epigenetica”:

Il poliartista ne è, dunque, l’artefice e l’attante. Grazie al suo gesto, alla sua energia, alla sua continua pressione, l’organismo poetico subisce processi successivi di riorganizzazione secondo itinerari pluridirezionali ed è sottoposto a una progressiva modellazione plastica, tanto che, rispetto alla struttura “genotipica” della partitura, si può parlare, per le fasi evolutive spazio-temporali, di poesia epigenetica.

04-01-2021

1 commento su “Sulla “poesia epigenetica” di Giovanni Fontana”

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