Ricevo da Nino Contiliano un intervento che parte dalla emergenza dell’oggi per ripensare e riattingere la teoria brechtiana delle “5 difficoltà” . Lo pubblico con molto piacere (per me Brecht è sempre il massimo).
Dalle 5 difficoltà di scrivere la verità di B. Brecht
Una funzione ψ anomala
Economie, società ed esistenze individuali e di gruppo nel mondo cibernetico-digitalizzato capitalistico sono in continuo trapasso da un ipse dixit a un altro, un flusso di news, di diagrammi e curve affatto neutrali. Un flusso di informazioni e comunicazioni che, mediato dall’interfaccia tra robotica e bionica, denota e connota una situazione d’emergenza permanente, un vero e nuovo stato d’eccezione come pratica di governo e gestione dispotica e distopica generalizzata. Nessuna progettualità e stabilità politica né a breve né a lungo termine è possibile, a meno che non sia quella di un’ininterrotta conflittualità politica (in genere) dell’arte, della letteratura e della poesia.
Se la politica – scrive Jacques Rancière – è disaccordo (Mésentente), l’arte è il malinteso (Malentendu) diverso e complementare. «Se la politica è tesa al riconoscimento dei “senza parte” e alla loro identificazione simbolica, l’arte esercita una critica costante e ulteriore sulle soggettività che così vengono a costituirsi, le reimmerge nella moltitudine di possibilità pre o sovraindividuali […]. Il malinteso letterario tende così a distinguersi dal servizio al disaccordo politico. Esso ha la sua politica, o piuttosto la metapolitica sua propria. Da un lato, la letteratura legge i segni scritti sui corpi, dall’altro, essa libera i corpi dai significati che si vogliono imporre ad essi» (Mario Pezzella, Il malinteso dell’arte. Politica ed estetica in Jacques Rancière, in Iride, XXIII, n. 59, aprile 2010). E liberare i corpi pensanti e le menti incorporate dalle tante maschere di classe del mercato dell’intrattenimento e delle museruole ad hoc messe a lavoro, proprie al sistema dei sistemi integrati del capitalismo 4.0, è presa non ulteriormente rimandabile o eludibile!
L’impone il paradigma globale e trasversale dei flussi immateriali del capitalismo post-fordista di rete della quarta rivoluzione industriale, quella della crisi continua, dell’uomo indebitato, incarcerato e controllato a piede libero. Nessuna critica a questo tipo di crisi capitalistica che, in continua rivoluzione e riorganizzazione, nella convinzione culturale e politica dell’autopromozione e autorealizzazione, coabita con una diffusa rete di volontà auto-assoggettate. Trafugata come naturale, necessaria e liberatoria è schiacciata però sul presente acentrico (ma sorvegliato) del diritto d’accesso alla rete (sede delle superstar delle piattaforme Internet transnazionali) e della proprietà intellettuale (la proprietà materiale dei mezzi produzione, oramai, è in totale declino…). Come dire che nessuna direzione di senso e di verità è permessa se non collima con le innovazioni e la valorizzazione in corsa, e i divieti dei sistemi di controllo totalizzante in atto e nella forma di prova generale con la cura e le maschere della sicurezza sanitaria della popolazione mondiale (è il caso, e non solo per inciso, delle museruole che i governi europei e non europei dominanti hanno messo al mondo in occasione della crisi “CoVid-19”).
Ma della società della/e “proprietà” cibernetico-digitale/i del/i controllo/i, che va sostituendo quella “disciplinare” del fordismo, già (nell’ultimo Novecento) siamo stati messi sull’avviso da Michel Foucault (la società pastorale, della cura e della biopolitica: sicurezza, territorio, popolazione…), Gilles Deleuze e Felix Guattari (la società dello schizo-capitalismo, della cattura e della privatizzazione della libera creatività individuale, del controllo dell’io ‘dividuale’…). Un meccanismo di controllo che in ogni momento con il marketing e il collare elettronico – come disse Felix Guattari – in ambiente aperto dia (a chi dispone e domina il diritto e il potere di accesso) le cordinate di posizione per vigilare su ciascuna cosa e ciascun soggetto ordinando condotte e obbedienza indiscusse. In poche parole l’odierna carta elettronica cifrata, la parola d’ordine o passaword (dividuale). Il pas per cui «ciascuno può lasciare il suo appartamento, la sua strada, il suo quartiere […] che faccia alzare questa o quella barriera, e allo stesso modo la carta può essere respinta quel giorno o entro la tal ora; ciò che conta non è la barriera ma il computer che ritrova la posizione di ciascuno, lecita o illecita, ed opera una modulazione universale. […]» (Clara Statello, https://www.marxists.org/italiano/sezione/filosofia/deleuze/societa-controllo.htm).
Ciò non esclude, naturalmente, fatti i giusti adattamenti, l’uso dei mezzi di controllo delle società di antica sovranità. Così per controllare la piccola delinquenza, al posto delle prigioni, si possono utilizzare i collari elettronici come pena sostitutiva (rimanere a casa in certe ore). Per adeguare condotte e comportamenti alle nuove forme (private e pubbliche) di attività di prosumer (a tutti i livelli di scolarità) si ricorre alla formazione scolastica permanente (regime dell’istruzione), e si abbandona ogni ricerca autonoma. Il nuovo regime ospedaliero si presenta come una medicina “senza medico né malato”: la nuova medicina tratta i malati potenziali e i soggetti a rischio – come cifra “dividuale” sotto controllo – secondo le nuove malattie categorizzate dai diversi manuali dell’OMS e i farmaci commercializzati dalle multinazionali farmaceutiche. Nessuna differenza c’è più tra beni e servizi. Tutto è prodotto e offerto come servizio a pagamento, e secondo il dettato finanziario del denaro messo in circolazione e prestito nell’ordine della logica valoriale dei crediti, dei debiti, del rischio e dei fallimenti, mentre va crescendo a dismisura il nuovo regime di dominazione dei cervelli in vasca, le menti digitalizzate e in simbiosi con le macchine pensanti (la robotica, la biotica, il controllo totalizzante del tempo di vita e socio-politico di ognuno).
Ma cosa dire e fare in questa rete di reti di nodi gordiani, se non a provare di dire (almeno) la verità, nonostante le difficoltà? In questo frangente, tenendo presente le differenze temporali e storiche, abbiamo accolto i suggerimenti provenienti dalle riflessioni di Bertolt Brecht, e maturati in tempi in cui il capitalismo si era sposato con il nazifascismo europeo e altre dittature. Sono i suggerimenti delle Cinque difficoltà per chi scrive la verità (B. Brecht, Scritti sulla letteratura e sull’arte, Einaudi, 1973). Scritti nel 1935 (il tempo triste dei totalitarismi), sono ancora utili in ordine alle riflessioni e alle azioni per combattere le menzogne delle verità dei nuovi sistemi di dominio, sfruttamento, oppressione e controllo. Perché certo è che (oggi) il capitalismo postfordista non è lontano dal fascismo socializzato di ieri, se si parla di “democrazia fascista” – svuotamento delle vecchie istituzioni e dei sistemi giuridici liberal-democratici e repubblicani di casa (per non dilatare troppo l’intreccio dei fili) –; se si vive e convive sotto il controllo di classe (velocizzato e immediato) della proprietà smaterializzata del lavoro, dei rapporti di lavoro, delle relazioni individuali e collettive (globalizzate) assoggettate e asservite alla logica privatistica dei profitti e delle rendite de-regolarizzati, e ad hoc riorganizzati.
In epoche simili, contrassegnate da squilibri di potere, da oppressioni e crisi d’ogni genere, da politiche terroristiche e securitarie, dai neo-colonialismi, o da chiamate a corresponsabilità patriottarde, buoni sentimenti e spirito di sacrificio, ci vuole – scriveva Bertolt Brecht – coraggio per parlare di conflitti e opposizioni, di cose basse e meschine come il vitto, l’alloggio dei lavoratori, la sanità, i diritti universali, il saccheggio dei beni comuni, la qualità di vita delle persone e dell’ambiente. Ci vuole coraggio per «dire che i buoni sono stati vinti non perché erano buoni, ma perché erano deboli», così come ci vuole coraggio per denunciare i forti (che fanno i deboli, e uscirne vincitori e liberi). Ci vuole coraggio a non sentire il loro discorre soffocante di “cose alte” quando destinano invece i più alla fame, alla sete e a morti senza resurrezioni. Perché sotto i governi che servono gli sfruttatori, «il ragionare è considerato cosa bassa e volgare, […] volgare ciò che è utile, […] volgare la continua ansia di riuscire a saziarsi, […] il disprezzo per gli onori, […] di colui che dovrebbe difendere il paese, […] i dubbi nei riguardi di un condottiero che conduce alla rovina, […] l’avversione per il lavoro che non nutre chi lo compie, […] il ribellarsi quando viene imposta una condotta insensata […]. Quelli che hanno fame vengono insultati per la loro ingordigia, quelli che non hanno niente da difendere per la loro codardia, quelli che dubitano del loro oppressore per i loro dubbi sulla propria forza, quelli che vogliono farsi pagare il lavoro che fanno per la loro pigrizia, ecc. […]. Non si insegna più a pensare e il pensiero viene perseguitato ovunque si manifesti». Ma il coraggio di scrivere la verità (qualunque sia il regime oppressivo e violento) deve stare accorto nel riconoscerla, renderla maneggevole come un’arma e saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa arte efficace e astuzia divulgativa fra questi ultimi. «Perché non basta denunciare la barbarie delle condizioni, se poi non risultasse chiara la ragione per cui veniamo a trovarci in queste condizioni. Dobbiamo dire che degli uomini vengono torturati perché i rapporti di proprietà rimangano immutati. Certo, se lo diciamo, perderemo molti amici che sono contrari alla tortura perché credono che i rapporti di proprietà si possano mantenere anche senza di essa (il che non è vero). […] Dobbiamo dirla inoltre a coloro che di questi rapporti di proprietà soffrono più di tutti, che hanno il maggiore interesse a cambiarli, ai lavoratori e a coloro che possiamo trasformare in loro alleati perché in realtà non partecipano nemmeno loro alla proprietà dei mezzi di produzione, anche se partecipano ai guadagni».
E questa è un’astuzia che non deve interessare meno scrittori e poeti, se c’è una politica della cultura che può essere mobilitata per eludere la vigilanza e proporre trasformazioni radicali. B. Brecht, allo scopo, fra gli altri casi, ci indica l’esempio di Lucrezio e Voltaire. «Voltaire combatté la fede clericale nei miracoli scrivendo un poema galante sulla Pulzella d’Orléans. Egli descrisse i miracoli che senza dubbio erano stati necessari perché, in mezzo a un esercito, a una corte e fra dei monaci Giovanna restasse vergine. Coll’eleganza del suo stile e descrivendo avventure erotiche, ispirate alla lussuriosa vita dei potenti, egli induceva costoro ad abbandonare una religione che procurava loro i mezzi per tale vita dissoluta. Anzi, ciò gli permise di far giungere per via illegale i suoi lavori a coloro cui erano destinati. I suoi lettori appartenenti alle classi dominanti ne favorivano o tolleravano la diffusione, tradendo così quella polizia che proteggeva i loro piaceri. E il grande Lucrezio dice esplicitamente di fare grande affidamento sulla bellezza dei suoi versi per la diffusione dell’ateismo epicureo».
Passando alla conclusione, e sinteticamente, non si può non riconoscere l’attualità e l’utilità di questa lezione brechtiana. Che il multiverso del basso creativo (lavoratori di vecchia e nuova generazione, esclusi, emarginati, declassati, marchiati, disoccupati, ordinari animali ancora umani…), aggirato, raggirato e rinchiuso tra populisti e sovranisti, minacce e promesse, delazioni e dilazioni, connessioni ricorsive e muri, braccialetti elettronici e anatemi da quarantena permanente, allora ri-cominci l’alto creativo della lotta di classe, e con poesia. Impiegare la poesia come un’arma di lotta eversiva, è come cavalcare una funzione d’onda (ψ) anomala. Un fulmine e una disequazione scagliati contro i buoni sentimenti e gli svenimenti emozionali truccati del sistema-mondo capitalistico in corso d’opera; quelli cioè che, dittatura pastorale e seduzioni d’est-etica impoverita (come l’uranio impoverito ad uso bellico), predicano neutralità, amministrano acquiescenza ed equazioni finanziarie per paradisi fiscali, mentre vendono museruole persino nei giorni pasquali della primavera!