Ritorno a Gramsci

Raul Mordenti è uno dei rari ‒ e perciò tanto più meritevoli, dal mio punto di vista ‒ critici alternativi che si ispirano alla tradizione del marxismo, aggiornandola come si deve per tenere il passo del dibattito internazionale (vedere L’altra critica, uscito nel 2007 e poi ripubblicato nel 2013), ma senza abbandonarne i presupposti metodologici e l’etica che vi è sottesa. E proprio di questo metodo ora Mordenti torna ad esplorare le radici, insistendo su Gramsci e andando anche più indietro a ritroso fino a De Sanctis, in cui Gramsci stesso indicava il proprio antecedente. Il libro, che esce per i tipi di Bordeaux, s’intitola De Sanctis, Gramsci e i pro-nipotini di padre Bresciani. Studi sulla tradizione culturale italiana.

Il libro di Mordenti ha il respiro del saggio accademico, confortato da una puntigliosa conoscenza storica, ma nello stesso tempo è uno pamphlet apertamente militante (le due cose non sono affatto in contrasto nell’epoca della faciloneria pressapochista). E il filo (stavo per aggiungere: rosso) che lega le due parti desanctisiana e gramsciana è una acuta rilettura del “brescianesimo”. Che cos’è il “brescianesimo”? Il termine appare ormai completamente desueto, ma Mordenti lo ridisegna a nuovo, partendo dall’inizio.
Dunque il padre Bresciani, gesuita, è l’autore del romanzo L’ebreo di Verona (1850) che dà dei moti risorgimentali un ritratto tutto di parte clericale; nella sua recensione, di qualche anno più tardi, Francesco De Sanctis lo sistema a dovere, con uno stile critico vivacissimo, non esitando neppure dal rivolgersi direttamente all’autore, dal fargli elogi palesemente ironici e terminando con la preterizione di non voler nemmeno definire cosa sia diventato a causa del coriaceo dogmatismo («è riuscito direi che cosa, se la parola non mi paresse un po’ dura»). Un atteggiamento che Mordenti definisce «intelligente e non privo di successo».
Gramsci, ai suoi tempi, eleva il modello-Bresciani alla categoria del “brescianesimo” con cui cataloga (nei Quaderni del carcere) tutta una serie di narratori con spolveratura religiosa, ma in realtà moderati in modo da tale da potersi intruppare nel fascismo: sono i nipotini di padre Bresciani. La categoria può tornare buona, mutatis mutandis, nei nostri climi attuali; ed avremo allora, secondo Mordenti, a che fare con i “pro-nipotini di padre Bresciani”. Vi è dunque una continuità nella cultura nostrana, che poi non è altro che l’arretratezza e l’opportunismo costanti nel variare delle diverse situazioni. Chiosa Mordenti nel finale del libro, dopo aver compreso nel brescianesimo anche la critica gramsciana che tende a distorcere il suo autore con forme di “complottismo” e “rovescismo”:

È una possibile antropologia etico-politica dell’intellet­tuale italiano di tutti i tempi: servile di fronte al potere (a qualsiasi potere), essenzialmente privo di coscienza e di di­gnità, troppo disposto al compromesso (a qualsiasi com­promesso), e dunque alla menzogna e all’ipocrisia, pronto a vendersi al miglior offerente, forse più per viltà che per avi­dità, per ambizione e superbia più ancora che per bisogno e paura.
Così l’intellettuale brescianesco è, letteralmente, capace di tutto; può affermare una cosa e il suo esatto contrario, può disdirsi e ridirsi, può sostenere entusiasticamente una determinata posizione (religiosa, politica, ideologica, cultu­rale, etc.) e poi oltraggiarla e perseguitarla, conosce e pra­tica, spesso contemporaneamente, il “servo encomio” e il “codardo oltraggio”, non trova ostacoli né nella coerenza personale (che apertamente disconosce) né nella vergogna (che totalmente ignora) (…).

Di contro, il modello-Gramsci emerge in queste pagine come un esempio straordinario di “resistenza mentale e morale” nelle peggiori condizioni possibili e come un lucido progetto di battaglia nei confronti del senso comune, in tutti i suoi addentellati settoriali ‒ per questo Gramsci, dirigente politico, si occupa anche di politica culturale e addirittura di critica letteraria, fino al punto di mettersi a discutere con finissime note sulla valutazione estetica del Canto X dell’Inferno. Il problema centrale, come ricorda Mordenti, è quello dell’egemonia e quindi del valore politico della cultura e dell’immaginario collettivo (sebbene non usasse questa formula, Gramsci se ne occupa per tempo in termini di folklore e di livello “popolare”). A ciò necessita, di conseguenza, una critica che non si adegui a false tolleranze e a sospette condiscendenze, ma scelga la strada, pienamente militante, dell’asprezza, della “vis polemica” e del “sarcasmo appassionato”.
Il libro di Mordenti, come dicevo, deve la sua “voluminosità” alla attenzione storica con cui segue i suoi due autori collegandosi in continuazione alla biografia e al contesto in cui giocano le loro carte polemiche. Questo atteggiamento contestualizzante ha già, a sua volta, un risvolto polemico. Il libro, fin dalle prime pagine, rivendica i suoi passi successivi sotto il segno della deroga alla ‒ attualmente dominante ‒ “proibizione del passato”:

Facile e quasi banale passare in rassegna la fenomenolo­gia della proibizione del passato: dalla generalizzazione pro­grammata e perseguita dell’ignoranza delle masse, di cui l’al­ternanza scuola-lavoro e la recente eliminazione dei temi di storia nell’esame di maturità rappresentano solo le più inde­gne ed evidenti manifestazioni (grossolane come si convie­ne agli ignoranti parvenus che ne sono responsabili), fino al trattamento distruttivo riservato ai beni culturali (per le due vie, convergenti, dell’abbandono o della commercializzazio­ne), per giungere alla irresponsabile rinuncia alla lingua na­zionale italiana, finanche all’università.
La proibizione del passato non è tuttavia innocua né in­nocente: è infatti evidente il nesso casuale che lega tale proi­bizione al capitalismo realizzato, e in modo particolare al­le modalità informatiche della produzione, che determinano per intero l’assetto sociale contemporaneo e che segnano an­che ‒ come è inevitabile che sia ‒ le forme della sensibilità e dell’immaginario.
C’è un rapporto evidente fra il divieto del passato dei mass media informatici (a cominciare dagli smartphone) in cui i nostri giovani, e non solo loro, sono totalmente immer­si, in pratica 24 ore al giorno e ogni giorno della loro vita. La percezione del mondo caratteristica di questa modalità è in­fatti la simultaneità, cioè l’a-cronia, l’assenza del tempo. Se ancora il giornale quotidiano fondava sé stesso sulla pro­pria data (ben evidente sotto la testata e presente non a caso in ogni pagina) ora invece la notizia proveniente da Google o da Facebook o da WhatsApp o da Twitter etc., compare e scompare senza alcuna indicazione di tempo, e spesso senza il nome di chi la produce o la propone: essa può appartene­re a oggi, a ieri, forse a domani.

L’invito che proviene dalla rilettura dell’asse De Sanctis-Gramsci è dunque a pensare storicamente. Se questo sia possibile all’interno della rete è la scommessa che questo stesso sito persegue.

 

(Il libro di Mordenti sarà presentato a Roma, alla libreria Altracittà, il 25-2-2020, come si può vedere nella colonna degli Appuntamenti)

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