CORRADO COSTA

I DUE PASSANTI

 

Corrado Costa ha partecipato alla neoavanguardia facendo parte del gruppo emiliano raccolto attorno alla rivista “Malebolge”, i cosiddetti parasurrealisti. In lui c’è il richiamo al potenziale immaginativo delle culture extraoccidentali, ma anche a quello che si può ottenere attraverso il gioco. Il testo che qui si presenta, I due passanti, fa parte di questo versante (più dadaista, che surrealista, forse), e si può mettere in parallelo con quella esilarante performance sonora, in cui Costa registra il retro di un nastro, ripetendo continuamente «retro, retro, siete nel retro…». Il testo de I due passanti, apparve nella raccolta Pseudobaudelaire (1964),  ma il suo rapporto con la passante di Baudelaire, se c’è, è soltanto uno spunto. Infatti:

I due passanti: quello distinto con il vestito grigio
e quello distinto con il vestito grigio, quello con un certo
portamento elegante e l’altro con un certo portamento
elegante, uno che rideva con uno che rideva
uno però più taciturno e l’altro
però più taciturno, quello con le sue idee
sulla situazione e quello con le sue idee
sulla situazione: i due passanti: uno improvvisamente
con gli attrezzi e l’altro improvvisamente nudo
uno che tortura e l’altro senza speranza
una imprecisabile bestia una imprecisabile preda:
i due passanti: quello alto uguale e quello
alto uguale, uno affettuoso signorile l’altro
affettuoso signorile, quello che si raccomanda e
quello che si raccomanda

Il testo sembra molto semplice e quasi più umoristico che sperimentale. Ma, attenzione: dietro al riso, Costa costringe a una riflessione non poi tanto scontata. I due passanti, infatti, non hanno la regalità della passante di Baudelaire, sembrano piuttosto degli omini di Magritte; essi comunque consentono a Costa di esplorare la folla moderna, il gioco che in essa si instaura di uguaglianza e di differenza. Nella folla che passa, tutti sono uguali e anonimi (non ci sono i nomi, infatti), eppure tutti sono diversi, tanto che la folla si muove con movimenti caotici e imprevedibili. Il livellamento dell’uomo comune è indicato con forza attraverso l’espediente della ripetizione: mentre la struttura logica (i passanti sono due: quello… e quello…) è tipica della diversificazione, le frasi che dovrebbero contenere i particolari diversi sono esattamente identiche. È interessante anche l’uso del termine «distinto» (lo sono entrambi), che indica la peculiarità del singolo, poi negata dal testo, ma indica anche una qualità sociale: sono signori “distinti”, insomma vestiti come si deve e appartenenti a un ceto di riguardo, entrambi “raccomandabili”. Il gioco potrebbe fermarsi qui: mostrando l’uniformazione del tessuto di classe nella massa, il passaggio verso una società “senza classe”, oppure verso la “piccola borghesia universale”, dove i rapporti di produzione si cancellano nella genericità falsamente affratellante (il popolo, la gente, ecc.). Una regressione nel “qualunque”, accompagnata da ironia e iperbole. C’è però, a metà del testo, una svolta, che fa perno sui due punti: un passaggio discordante in cui si dilatano vere e profonde differenze. I due, adesso, sono gerarchicamente posizionati nei ruoli del potente e del subalterno: «uno improvvisamente / con gli attrezzi e l’altro improvvisamente nudo / uno che tortura e l’altro senza speranza / una imprecisabile bestia una imprecisabile preda». Dopo aver aperto questa finestra sulla perversità del reale, il testo la richiude, riprendendo a litaniare la sua tautologica riflessione speculare del 2=1.
Si potrebbe analizzare questo brano proprio come indice della contraddizione capitalistico-borghese, magari seguendo la matrice ideologica di Juan Carlos Rodríguez; dice dunque Rodríguez che il capitalismo sostituisce il rapporto gerarchico Signore/servo, con la creazione del “soggetto libero”, anche se la sua libertà consiste solo nella libertà di vendere la vita, in forma di forza-lavoro. Il soggetto che si vende è altrettanto libero del soggetto che lo compra, entrambi sono “individui”; la matrice ideologica, allora, diventa soggetto/soggetto; senonché, la loro identità contiene la disparità delle posizioni e la matrice deve dunque essere modificata in «Soggetto (con la maiuscola)/soggetto (con la minuscola)».  Costa non ha bisogno di poderosi impianti sociologici. Gli basta il paradosso di una filastrocca, ecolalica ma non del tutto, per mettere il dito, con ironia e sarcasmo, sulla scena segreta della cerimonialità sociale: l’identità che descrive è talmente identica, da mostrare, in filigrana, la sottile schizofrenia del mimetismo psicologico.

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