Riscoprire Silvano Martini

La casa editrice [dia•foria, proseguendo nel suo benemerito recupero di testi sperimentali dimenticati, ripubblica ora Sotto il leone di Silvano Martini, autore – da non confondere con il pur ottimo Stelio Maria – legato al gruppo della rivista “Anterem”. Il romanzo (ammesso che di romanzo si possa parlare) ha avuto una storia travagliata: scritto verso la fine degli anni Sessanta del Novecento, almeno stando alla data della nota dell’autore che rimanda al 1969, doveva venir pubblicato nel 1976, ma vide la luce postumo soltanto nel 1993. Martini rimase relativamente sconosciuto – però ho ritrovato tra i miei libri il suo Spartito per Clizia – e sempre più mentre andava a consolidarsi il romanzo postmoderno e di consumo. Sotto il leone dunque va compreso nella stagione dell’antiromanzo, di cui porta alcune premesse alle estreme conseguenze, come vedremo tra poco.
La nuova edizione di [dia•foria è corredata da una introduzione di Chiara Serani, che ne segue la storia e ne illustra le principali caratteristiche. Inoltre, in appendice, è riportata la dichiarazione dell’autore (come detto, del 1969) e lo scritto di Gilberto Finzi preparato per l’edizione del 1976 e aggiornato per quella del 1993.

Il centro nevralgico di Sotto il leone è il tentativo di Martini di fare un passo oltre i risultati di sabotaggio della narrativa già compiuti dal Nouveau Roman francese (segnatamente da Robbe-Grillet) e dal romanzo sperimentale del Gruppo 63. Questo passo ulteriore è nientemeno che l’abolizione del verbo. Si può raccontare senza uso di verbi? Questo testo ne è una prova positiva, ammettendo al massimo forme participiali. La cosa, audacissima e inusitata, merita di essere illustrata, per prima cosa, da un brano campione:

con l’occhio fra le alette, e il mirino a sinistra e subito a destra di Nada, e tutto su lei, con la pistola senza più canna, e le mie dita su quell’acciaio viola, con nuova luce negli spostamenti, e sempre lì contro lei, e fuori dal suo corpo, con quell’acciaio lungoduronero e mollerosacaldo, contro un occhio pieno di ciglia, e lei tutta giù dai cuscini, sulle piccole W delle calze, con i capelli e la bocca per terra, su quella barca lì davanti, e la pistola ancora sul tavolo, nel latte della lampada
con due bicchieri, lì fra noi due, e Nada sul pennone della barca, lungo le quattro cuciture della vela di prua e le sei dell’altra vela, per quella lunghezza f.t. mt. 5,05, con un bicchiere sui mt. 0,30/0,90 del pescaggio, e l’altro sulla superficie velica peso zavorra e deriva, con quegli indici neri, la linea del mare e i cerchi nelle vele, con mezzo corpo fuori dal divano, le gambe in alto e un piede in un cuscino
quelle quattro fasce colorate sullo scafo con getti larghi sulla prua e paglie d’acqua, dentro un cobalto d’aria e di mare, con due teste lassù, sotto una lampada ingabbiata e una bandierina, in quella corsa con le montagne dietro, in un mare calmo
e lui in una casacca limone con una gobba di vento, dietro gli occhiali neri, con le loro teste sui paesi là sotto e Nada su quella pagina gualcita, con le pieghe della carta impresse in un fianco, e io con la mano su quelle impronte rosse, e con le dita intorno al cerchio giallo nel bicchiere, ondeggiante sulla sua bocca
in quell’estate con il solco del motoscafo, lungo nel mare, e più volte là in mezzo, con i capelli di Nada nel vento, e quello seduto dietro, e lei in piedi con le mani sul parabrezza, e a poppa una scacchiera vuota nel sole, con le sue mani intorno a Nada e sul parabrezza, e i capelli di lei su quegli occhiali neri

Ho riportato qui un intero passo che si trova nella seconda parte. Un brano a se stante, come tutti gli altri che compongono Sotto il leone, fatto di questi frammenti di varie dimensioni, che vanno da una pagina abbondante a poche righe. Quelle che, nel gergo critico del Gruppo 63, si chiamavano “lasse”.
Ho scelto questa lassa perché ha un carattere non sempre sfruttato da Martini costituito dagli a capo interni. È un procedimento utilizzato in quel periodo, perfino in maggior dose, anche dalla prosa di Alice Ceresa (vedi La figlia prodiga). È un procedimento affine alla poesia: quindi non ci si sorprende quando nel corso di Sotto il leone, si troveranno dei brani in versi veri e propri, segno che il testo si situa al confine dei generi costituiti e ne trasgredisce con scioltezza le regole previste e le relative distinzioni.
Ma il nodo centrale, come già accennavo, è la scrittura senza verbo. Martini ne è perfettamente consapevole e infatti scrive, nella nota al testo:

L’eliminazione del verbo, sperimentazione che non ha precedenti in letteratura, viene così a riprodurre con immediatezza, e in maniera esaustiva, quella staticità dell’essere nella quale siamo immersi. La frase, che procede per accumulazione, è composta di sostantivi, spesso accompagnati da forme participiali con funzione aggettivale, uniti da congiunzioni o preposizioni.

Privata delle indicazioni di azione, la narrativa non avanza. Al massimo ci può essere la sporadica presenza di un “poi” a marcare un minimo scarto temporale, ma in generale la “storia” non può formarsi, semmai è una “atmosfera” (come scrive Finzi). La narrativa è “in stato di stallo” (im Stillstand, avrebbe detto Walter Benjamin). Dal nostro brano campione cogliamo l’essenza descrittiva e elencativa di questa scrittura: descrittiva fino ai dati meticolosi delle vele; elencativa nella sintassi di aggregazione, aggiuntiva nell’uso quasi costante del “con” e ritmata dalla punteggiatura tuttofare della virgola (procedimento che ha attuato di recente, in tutt’altro contesto, l’ungherese Krasznahorkai), mentre il punto e le relative maiuscole vengono a loro volta aboliti, portando a una sorta di flusso verbale. In questo insieme magmatico si trovano parole agglutinate (qui «lungoduronero e mollerosacaldo») e soprattutto si riscontra la fusione e l’innesto di situazioni non sai se simultanee oppure svolte in tempi diversi; una sorta di cubismo. Vedi, nel brano campione, verso la fine, il curioso sovrapporsi delle “teste sui paesi”, del personaggio femminile con una “pagina gualcita” (magari la stessa che si sta leggendo), “la mano su quelle impronte rosse” e via dicendo. Gli elementi messi in scena, le teste, la bocca, i capelli, tendono a ritornare variati, costituendo un ritmo compositivo.
Al centro di Sotto il leone si indovina facilmente un rapporto erotico, in luogo di mare durante vacanze estive, tant’è che l’unico personaggio è Nada e le parti del suo corpo in pose sempre diverse. Un eros soggetto alla frammentazione e, forse, data la presenza di un “lui” oltre all’“io”, alla gelosia e a qualche gesto violento (nel brano sopra citato la pistola, le “impronte rosse”). Silvano Martini con il suo Sotto il leone, si situa, a ben vedere, nello stesso passaggio esplorato già da L’oblò di Adriano Spatola (ristampato poco tempo fa dal medesimo editore); vale a dire la liberazione dell’eros subito però recuperato come merce nel mondo del consumismo. Non a caso in Martini il linguaggio gira continuamente in un non-sviluppo spiraliforme intorno a un centro vuoto: e il nome di Nada è ispirato non già alla cantante di moda all’epoca, bensì certamente alla parola spagnola: nulla.
Una scrittura molto complessa, ma nient’affatto gratuita, volta com’è a costituire (dice l’autore nella nota a margine) una «critica costruttiva» alla situazione dell’«uomo reificato». Al lettore di oggi, cui il Martini apparirà “marziano” data la cattiva abitudine invalsa con i premi Strega che corrono, dire se non si sia perso qualcosa (o tutto)…

16/07/2025

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