Grazie, Walter

Un po’ alla volta, inevitabilmente, il mio mondo si spopola. Ora se ne è andato anche Walter Pedullà e il vuoto aumenta.
In attesa di rileggere, come sarà doveroso fare, i numerosi volumi della sua opera “esagerata” e tornare a riflettere sulle sue posizioni e sul suo metodo critico o forse, meglio, sul suo “passo” critico e le sue intuitive “chiavi di lettura”, preferisco dare a questo ricordo la forma di un ringraziamento.
Perché ognuna delle nostre vite ha una svolta determinata da un incontro; e l’incontro nasce da circostanze casuali che potevano esserci o non esserci e che altrimenti avrebbero portato, forse, da tutt’altra parte. Ecco: io sono in debito con Walter dell’indirizzo iniziale che, forse al di là delle sue stesse intenzioni, mi ha fatto essere quello che sono stato e sono.

Dunque, sono entrato all’Università di Roma (che all’epoca non aveva l’1, essendo l’unica) l’anno precedente alle occupazioni – c’erano ancora in giro goliardate e papiri, per dare gli esami occorreva un completo con cravatta. Avevo voglia di mettermi al corrente sulle novità letterarie di cui il liceo mi aveva lasciato all’oscuro e quindi cercai l’aula della Letteratura moderna e contemporanea: ci rimasi poco, perché davano un corso su Benedetto Croce. Poco dopo però – ecco la circostanza fortuita, il colpo di mano del caso – imbucai invece il seminario di Walter e trovai come argomento l’avanguardia. Fu l’apertura creativa che andò a consuonare con ciò che sobbolliva all’epoca. Era ancora un programma con bibliografia sommaria (c’erano Poggioli, De Maria e poco altro), ma c’era lui, l’allora assistente Pedullà, con il suo modo accattivante, e fu sufficiente a mettermi sulla strada che non ho più abbandonata, via via con la tesi di laurea sulla Poesia sperimentale (Walter correlatore), fino ad oggi. Ma c’è di più. Walter riunì non molto tempo dopo un gruppo di neolaureati con il progetto di varare una rivista (una in più, rispetto alle tante della sua infaticabile attività di critico militante). La cosa non funzionò e il gruppo, inizialmente assai ampio, si diradò, si rese autonomo e alla fine si raccolse nel collettivo dei “Quaderni di critica” che è stata la mia palestra decisiva e il nutrimento di discussione e di dibattito della prima parte della mia storia. Ancora Walter e sempre Walter come spinta iniziale. A quei tempi, lo ricordo anche nella Scuola di specializzazione, agitando un libretto rosso, che però non era Mao, bensì le Comiche di Celati, un altro contenitore di stimoli per me determinanti.
Rimasi sempre in contatto, sebbene, accademicamente parlando, non fossi uno dei “suoi”. E poi, con L’illuminista, mi chiamò a collaborare e a un certo punto a esserne vicedirettore con Silvana Cirillo. Ogni tanto mi telefonava per farmi i complimenti per quello che avevo scritto. E non sapevo mai se dicesse sul serio o per celia… Infatti, la sua massima virtù, ancor più del fiuto critico e della spigliatezza di scrittura, era l’ironia. Una dote che probabilmente aveva affinato nei lunghi doveri di mediazione negli importanti incarichi ufficiali che aveva ricoperto, proprio come antidoto alle retoriche del potere. Ecco, i ricordi a me più cari sono le sue battute straordinarie, come quando più volte si scusava dicendo d’essere un tipo “taciturno”…
Grazie di tutto.

29/12/2024

1 commento su “Grazie, Walter”

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