Il fischio è un elisir

Qualche tempo fa ho incontrato Giorgio Mascitelli che non vedevo dai tempi del Gruppo 93. Ed eccomi qui a leggere il suo romanzo recente, intitolato Fischi per fiaschi, pubblicato da DeriveApprodi nel gennaio di quest’anno.
Il romanzo, con la sua ambientazione aziendale, si colloca nel solco della letteratura industriale, rinnovata dai suoi fasti ormai trascorsi dei Volponi, degli Ottieri e dei Parise e svolta sul pedale umoristico. Infatti il protagonista Gian detto John è un bravo informatico che però ha un difetto (nobody’s perfect!) o, per meglio dire, un punto debole: non riesce a trattenersi dal fischiettare durante il lavoro con conseguente disturbo dell’altrui concentrazione.
E subito due risvolti. Il primo: abbiamo un romanzo con una continua colonna sonora che spazia tra vari generi musicali (sempre però senza le parole). Il secondo: si crea una ambivalenza irrisolvibile tra culto e parodia perché da un lato i motivi arrivano all’improvviso fuori del controllo del soggetto in base alla forza della “orecchiabilità”; dall’altro lato, l’arte di fischiettare li abbassa al livello delle inezie e inerzie quotidiane. L’ambivalenza è forte soprattutto quando il personaggio intona l’inno sociale della ditta: dedizione o scherno?

Il romanzo aziendale è per sua natura un romanzo dell’alienazione. E qui l’allegoria è pregnante: le canzoni infatti vengono alle labbra (labbra semichiuse, ma pur sempre labbra) inopinatamente con una sorta di coazione a fischiare alla quale è impossibile resistere. Li possiamo ben dire “motivetti immotivati”. Il soggetto si presenta dunque da subito sminuito nella sua volontà e incapace di trattenersi.
Si dà il caso che appunto a causa della sua attitudine disturbatrice il nostro personaggio venga selezionato per una cosiddetta “sperimentazione”, un braccialetto che probabilmente dovrebbe consentire la totale sorveglianza delle azioni dei subordinati. Ma in realtà, tutti sono già ampiamente tenuti d’occhio. Il sodale di Gian-John, il tabagista denominato ripetutamente “quello che fuma come una ciminiera”, lo dice chiaramente nei termini della “occupazione del tempo”:

E, aggiunge guardandomi allusivamente, io in quanto informatico dovrei essermi ben accorto che ogni mia opera tesa a risparmiare tempo finisce con il produrre sempre qualche mansione in più a cui ottemperare, in maniera che il tempo resti sempre occupato, al lavoro o fuori. Sì, è un problema di tempi che accelerano sempre di più: oggi la tecnica ci consente di liberare tempi un tempo impensabili in quanto occupati dalle incombenze lavorati¬ve e logistiche, questi tempi liberati però non restano vuoti né in ufficio né fuori, ma riempiti di nuove e superiori incombenze che ci lasciano meno tempo ancora di prima, in particolare è per via di questo fatto che i tempi produttivi non sono più solo quelli dedicati alla produzione. È insomma ogni singolo frammento di tempo che è diventato denaro. Allora fischiettare, attività senza lucro e senza scopo, disturba in ogni circostanza perché in ogni circostanza ci vuole la giusta concentrazione.

È vero: da questo punto di vista la fischiomania da sintomo di alienazione diventa una protesta, neanche tanto larvata. Allora, di fronte all’avanzata della tecnologia che sottrae sempre più spazio al lavoro umano – con il paradosso, evidenziato nel libro, che gli addetti alle Risorse Umane che gestiscono i licenziamenti si troveranno presto senza materia e perciò licenziabili – non c’è altra via d’uscita che il sabotaggio. La distruzione di ogni macchinario, il “luddismo”, cui arriva verso la fine il nostro protagonista (del resto, era già così in un precursore come Player Piano di Vonnegut). Infine, nell’ultimo capitolo, l’umorismo si tinge assai di nero, quando il protagonista, ormai espulso dal consorzio produttivo, trova impiego in un parco dedicato alla caccia all’uomo, nella parte della vittima designata. Dove, per estremo paradosso, incontra gli ultimi residui di “simpatia solidale”.
Il libro di Mascitelli ci presenta un anti-eroe dei nostri tempi. Ma il suo punto di forza è l’assetto narrativo, piuttosto diverso dagli standard abituali di oggi. Oltre alle invenzioni linguistiche del bizzarro personaggio, le citazioni più o meno larvate e alcuni materiali interpolati (gustoso il draft informativo in neolingua aziendale), è decisiva e incisiva la struttura della narrazione. L’alternanza dei capitoli in prima e in terza persona serve egregiamente a un cambio di focalizzazione e una conseguente presa di distanza dal personaggio. Ma non basta: tra narratore e personaggio si svolge una strana partita metatestuale che non è più di casa nella piattezza del romanzo odierno. E si arriva persino alla rivendicazione sociale, quando il personaggio si lamenta:

Frequentemente mi capita di pensare che io non sono adeguato a ciò che la situazione richiede da me. È del resto quello che pensa di me l’autore, preso com’è nel suo ineffabile complesso di superiorità nei miei confronti, come se la macchina sociale distinguesse tra autori e personaggi, quando tutti sanno che, sotto il livello di patrimonio che permette di non lavorare per vivere, i meccanismi che ci governano sono gli stessi (mentre l’autore è convinto, avendo in banca qualcosina più di me, di essere decisamente più saggio di me).

I livelli sorprendentemente s’intrecciano. Da una parte il personaggio rivela di aver ricevuto dei suggerimenti dall’autore e ciò produce disidentificazione e inverosimiglianza; dall’altra parte il narratore prende la parola per separare la sua figura dal quella dell’autore – e lo troviamo, infatti, a fare dichiarazioni di conformismo “postideologico” non attribuibili a Mascitelli – e per arrogarsi la posizione dell’osservatore imparziale, «la sua visione non dogmatica, libera da pregiudizi e idealmente vicina allo spirito scientifico disinteressato e onesto», ma intanto non può evitare di costituire una crepa nel “cielo di carta” della messinscena narrativa.
Insomma, qui si fischietta musica prevalentemente leggera, ma la struttura del romanzo è di tipo sperimentale. Le operazioni che vengono chiamate ironicamente “dinamiche pseudopirandelliane” in un testo che rappresenta l’alienazione fungono da pietra d’inciampo di quella specifica forma di alienazione che è l’alienazione letteraria del lettore invitato di solito a immergersi nel mondo di finzione. Qui è invitato a riemergere. E non è poco.

29/10/2024

1 commento su “Il fischio è un elisir”

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