25 del 2005!

In occasione di un 25 aprile particolarmente sensibile come quello odierno, pubblico un mio testo scritto in occasione di un altro 25 aprile altrettanto sensibile, quello del 2005, durante il secondo governo  Berlusconi e della “Casa delle libertà”. Lo lessi allora con la collaborazione vocale e strumentale di Antonio Amendola al Teatro Agorà ed è rimasto poi inedito.

25 aprile

Libertà va cercando: era sì cara
a basso prezzo adesso è rivenduta.
A sciacquarsela in bocca fanno a gara
e quando più non serve la si sputa:
può voler dire quello oppure questo
a seconda che dà o non dà vantaggio
a uno che comanda ed immodesto
vuole adornare il suo costante oltraggio
di simbolico lume: e la parola
di qua di là di su di giù si mette
a perdita di senso e si fa fola
materiale adatto a barzellette.Là dove vorrà dir che solo un ceto
– principale – sarà privo di lacci
e tutti gli altri con il viso lieto
si acconcino a restare poveracci;
e dove significherà il disbrigo
dalla Legge (quel mostro fiero e serio)
ad evitarne il greve suo castigo
con un motto salace e un improperio.
A libertà le han fatto anche la casa:
e vi han ricetto gli eredi di quelli
che per lungo un ventennio l’hanno abrasa
a forza di pugnali e manganelli.
Ma tutto si cancella: non fu vera
la storia: non fu che villeggiatura
il confino: e sbianca la camicia nera.
A rifare il passato si dà stura.
Contrordine: non è successo niente.
Nati ieri, di critica ormai senza,
sbocciano dalla libertà esente
i revisionismi della resistenza.

via i sfrutatori via i disonesti – sentiremo per i campi e per le strade dei bei cori – dormiamo in quattro nel bosco – ci alterniamo di guardia fino a sera – un ferito non grave per fortuna – è già buio – siamo stanchissimi – la zona pullula di tedeschi – l’ombrellone capovolto sbattuto nel vento ondeggia sul sentiero – lo han trascinato sulla piazza – li hanno abbattuti così davanti alla gente costretta ad assistere come bestie – una festa immensa la liberazione – aveva freddo ai piedi – per lunghi minuti tutta la scena era illuminata a giorno e allora noi eravamo costretti a buttarci pancia a terra nei solchi – troppo tardi la luce si era spenta e l’oscurità aveva avvolto i due fuggiaschi – fu una questione di pochi secondi ma mi sembrò lunghissima – il filo rosso si congiunse finalmente all’ombra nera e ne fermò la corsa – il lancio dei chiodi è facilissimo giunti sul posto assegnatoci dal comando io e i miei due compagni gli stessi dell’azione precedente abbiamo gettato i chiodi per tutta la lunghezza della strada lungo un tratto di un centinaio di metri

diritto d’asilo diritto di pace
diritto di amare chi più ti piace

diritto al lavoro produttivo
adatto, congruo e non nocivo

diritto alla giustizia indipendente
uguale per tutti e non a pro del potente

diritto ad avere l’opinione contraria
diritto all’acqua diritto all’aria

diritto all’istruzione diritto alla cultura
diritto alla salute diritto alla cura

diritto d’accesso all’informazione
ed al controllo della televisione

diritto al riserbo e alla trasparenza
diritto di scegliere la rappresentanza

diritto di viaggio e di trasferimento
diritto al sonno e al ritmo lento

diritto a non essere soltanto uno
un giorno biondo e l’altro bruno

diritto alla gioia e alla felicità
diritto alla lotta per la libertà

non era stato il sole a far questo ma il lanciafiamme – non possiamo dimenticare quell’estate bianca del ’44 – gli uomini che spenzolavano col collo allungato – ricordate ragazzi? – una raffica lo scosse tutto come uno scoppio di riso convulso – tacquero i cani – e le scarpe ai nostri piedi si consumarono fino a sfondarsi – ancora mezzo minuto – sulla strada si arrampicavano come una lunga colonna di formiche gli uomini neri – tentò ancora una volta di mettersi in piedi – agitò il braccio nella luce – rotolò fino al ciuffo di un cespuglio – ecco la strada la prende di corsa la notte risuona del rumore dei suoi passi – c’era una sensazione di qualcosa che va e viene come le onde del mare – la spiaggia era deserta e il vento la spazzava sollevando la rena – fece per rialzarsi ma due colpi lacerarono l’aria si piegò tutto – che giorno questo! – dormì tante ore si svegliò verso mattina – vanno a prelevare qualcuno – tutti avevano sempre sete – staffette inviate con un ordine nascosto nelle scarpe – la forza della resistenza era questa essere dappertutto – più ne muore e più ne viene – dalla cantonata di Porta Romana giungevano le voci della pattuglia – io scossi il capo – la grande città di macerie affondava come in una fossa grigia – tra le zampe del coprifuoco camminarono d’albero in albero

“Libero” è una parola che non amo
perché mentre lo dico non lo sono
sarà anche positiva e molto glamour
ma lo dico, mi volto e vedo prono.

Ha in sé più di qualcosa di infantile
di faciloneria di pappa fatta
un che di grossolano e non sottile
che, “liberamente”, inciucia e imbratta.

Libero di cambiar cento canali
ma cosa cambi se son tutti uguali?

Piuttosto fare fronte ad un conflitto
un attrito un ostacolo una scorza
che più fatichi quanto più è confitto
e ci devi investire ogni tua forza.

Anche nel creativo e letterario
al libero preferisco il necessario.

Ci ha da essere una nuova resistenza
senz’armi – ma forse non senza violenza –
tra le immagini nel berluccichio
una guerra civile dentro l’io.

a un tratto lo sparo parte così improvviso – un ometto calvo con un vestito nero tutto stropicciato – non c’era che continuare a correre – ma allora c’è la storia – l’erba era corta e dura come una barba umana mal rasata – la resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone – e sotto le mine – decise di non pensare di lasciare muovere le gambe come un automa di mettere i passi a caso sulle pietre – non una mano ma cento mani che lo afferravano ognuna per un capello e lo strappavano fino ai piedi come si strappa un foglio di carta in centinaia di piccoli pezzi – a ogni bomba che cadeva lui s’approfondiva in questa fessura di roccia finché arrivò in un punto in cui non vedeva più nessuna luce – quel vuoto nella canna del fucile – capiva che quegli uomini là in basso erano i militi che l’avevano arrestato – un passo è fatto un altro un altro ancora – un nome che vuol dire libertà – i sogni dei partigiani sono rari e corti – ha già fatto fucilare quattro dei nostri che erano nelle prigioni – la lotta è una macchina esatta – e così tutta la scena passò sotto i suoi occhi – due mesi dopo la guerra era finita

RESISTENZA
applicazione di energie in senso contrario
critica della falsa innovazione
non caderci
accettare di essere diversi dagli altri
tentativo di ridurre la confusione

COSTITUZIONE
traliccio, ossatura, complesso
base di confronto
pegno per tutti
è la cosa più avanzata che abbiamo

scosse la testa passato e presente erano totalmente parimenti incredibili – poi la casa precipitò – sulla punta dell’arma dell’ufficiale infallibilmente puntata su di lui vide spuntare dei colori così ripugnanti che il vomito gli invase la bocca – prese l’avvio e rotolò – allora decisi di mettermi a morire e scivolai con la schiena lungo le pareti e mi allungai interamente sulla terra fissando per l’ultima volta i miei due piedi ritti e divaricati nell’alone del lume – tedeschi in perlustrazione ravvicinata stavano battendo i paraggi della strada – i partigiani si rimisero a sparare con tutte le armi un fuoco frenetico ma nullo contro le corazze – lo spettacolo così lo ipnotizzava che soltanto un peristaltico volgersi di un ragazzo lo fece gridare all’allarme e voltarsi tutto a destra – si rizzò nel gemito di tutte le sue particelle – allora pianse tutto il pianto che aveva dentro per mille tragedie sgorgava ora per questa inezia dello sviamento pianse sfrenatamente e amaramente coi piedi immoti – la vita vi è talmente impossibile e la morte troppo troppo possibile – guadò il torrente freddo da mozzare il fiato e dare al cuore e si diresse all’osteria sull’altra riva – erano ingessati di fango e pioggia dal fango simbiosizzati alle loro armi si trascinavano verso le falde della collina – le canne torcendoglisi sopra come a vendicarsi del danno loro provocato dall’uomo crivellato

allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa la demolizione di un uomo con intuizione quasi profetica la realtà ci si è rivelata siamo arrivati al fondo

parlare della libertà come un problema
è già porre in questione l’esistente
e volerlo fare insieme, ossia
significa ancora l’utopia
l’ipotesi di un altro sistema
di distribuzione del peso sofferente

ma niente è garantito e credo sia
un messaggio così rotto e così storto
per un anniversario insicuro
(né vorrei che valesse da conforto)
piuttosto una tesa distopia
un discorso muto contro un muro

25/04/2024

1 commento su “25 del 2005!”

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