Ormai venendo a finire l’anno con il 3, mi resta un ultimo posto da utilizzare per intervenire su autori dell’area sperimentale che finora avevo trascurati. Lo dedico a Sebastiano Vassalli, anche se può sembrare strano, in quanto è stato uno dei più netti transfughi dell’avanguardia, con durissime dichiarazioni nella sua fase di normalizzazione. Eppure vale la pena di esaminare il suo primo romanzo, Narcisso, pubblicato nel 1968 nella collanina rossa dell’Einaudi, La ricerca letteraria. Nella nota di chiusura Giorgio Manganelli spiega che il libro si rivolge al lettore «irretendolo, catturandolo nelle ambagi di una ampia, discontinua, disorientante scenografica “oratio”» (che è la modalità propria dello sperimentalismo); e conclude: «Il risultato è una euforica bisboccia verbale, sconnessa e avvampante, una sorta di furibonda, drammatica, enigmatica festa».
Narcisso di Sebastiano Vassalli
Un romanzo? Per modo di dire. Non c’è trama che sia pur lontanamente riassumibile. Lo scritto procede per frammenti che però non usuali connessioni.
Il linguaggio narrativo (che poi Vassalli assumerà secondo le buone regole fino al punto di diventare quasi-manzoniano) è qui contaminato dalla riflessione tanto che nell’ultima parte del libro si assiste (a mo’ di metaromanzo) alla discussione sulle possibilità di formazione del personaggio secondo una sorta di algebra (A1, A2, A3, ecc.). La stessa costruzione tipografica è strana, essendo interpolate frasi e brani interi in lettere tutte maiuscole. Il testo è fitto di citazioni, i cui riferimenti sono dati esplicitamente all’inizio e vengono confermati alla fine addirittura con un indice dei nomi, inusuale in opere di questo genere.
Certo, c’è un protagonista e si chiama per l’appunto Protago. Però è un anti-eroe, che si regge malamente e proprio periclita fisicamente come si vede già in sede di presentazione:
(…) poi muovendosi, adagio, trascinandosi come incurvato, verso chissà dove, valutando gli spazi, e i tempi del suo passaggio, e calcolandone la connessione coi spazi e tempi d’esterno: sostando ai bordi delle finestre, sugli angoli dei canterani, barcollando fino all’ingresso, cadendo, traversandolo con decisione tenace, trascinandosi fin nel soggiorno: qui sovrastando sopra al divano, sedette, prestando lunga attenzione ai rumori, rilassandosi infine, quasi sdraiandosi, le mani dietro alla nuca, ansimante: (…)
Già da questo breve tassello riscontriamo una cosa non comune. Ma sì, il racconto è al gerundio! Da qualche parte ci sarà pure un verbo reggente, ma spesso accade che venga visto come secondario e sottinteso se non spudoratamente omesso. Ecco un modo per rendere l’azione molto poco puntuale e indicata piuttosto da quello che le sta attorno.
Frequenti sono, infatti, le modalità della descrizione e in particolare la mancanza di selezione che sta nello stile elencativo (che mi è capitato di notare anche ne L’oblò di Spatola). Vediamo un esempio tra i tanti possibili, una lista di presenze naturali che formano una specie di eden perduto:
dove la quercia e il ros marino e l’alloro e il mirto sacro e il papavero e il melagrana e il corniolo gettando l’ombre reciproche: dove la rana, la serpe, il rospo d’ogni grandezza e maniera, ed il tritone saettante, la salamandra già pubere: e ancora il ratto, le culici che fittamente ronzando, i trampolieri che consacrati all’angoscia, le scolopendre disperse;
Sarà qui un po’ la parodia della lirica. Ma infatti: buona parte del testo vassalliano presenta un ritmo spiccato. E abbiamo un’altra sorpresa. La narrativa e il racconto nascondono una impostazione metrica. Non regolarissima, però affiorante molto spesso a determinare la sequenza. A chiarimento ecco un altro brano significativo:
e in mucillagini e spermi vedi agitarsi i corpuscoli che si raccolgono in nucleo, e ribollire, muovendosi, già scompigliati nell’alito dei protagonici rantoli donde il pianeta rimbomba, e minuscole parvenze di nati implumi lí germogliare in un attimo moltiplicandosi in vista, perfezionandosi a tratto, fuori emettendo pelurie: e brulicare sugli orizzonti in verminaio mirabile dentro a miliardi di membra e di minuscoli crani di microscopici sessi che si soffregano ed urtano, di voci che già squittiscono, di umori e feci che ne fuoriescono, di spostamenti e sommosse e assestamenti di massa mentre dal mucchio già affiorano i piú robusti in aspetto, sotto i mezzani, poi i servi, indi i premorti in putredine:
Si può suddividere metricamente: «e in mucillagini e spermi / vedi agitarsi i corpuscoli / che si raccolgono in nucleo, / e ribollire, muovendosi, / già scompigliati nell’alito / dei protagonici rantoli / donde il pianeta rimbomba», ecc. Nel brano citato otterremmo 27 criptoversi, i quali, tranne 4, sono perfetti ottonari. Ecco dunque una ulteriore contaminazione stilistica che tra l’altro Vassalli manterrà successivamente, ad esempio in Tempo di màssacro, insieme alla predilezione per lo sdrucciolo.
Quindi: da un lato l’uso dello stile che propende al grottesco (l’ottonario stesso è, per tradizione, un verso comico); dall’altro la difficoltà del procedere narrativo e proprio del procedimento dello specchiarsi nel personaggio come Narcisso vorrebbe. Insomma, commenta il testo stesso che «fallito è ancora il romanzo». Se qualcosa poi si può trovare nei suoi sparsi lacerti è l’individuazione di atti e sociali “disfasi” (per usare un altro termine caro all’autore a quei tempi). Si torni al brano sopra citato che è un sunto della formazione caotica della vita, allegorico del caos sociale, fatto di vitalità divergenti che non guardano in faccia a nessuno. Poco più avanti, nel 1970, il ritmo percussivo batterà nel Tempo di màssacro, bizzarra trattazione in commi e sottocommi di come l’essere umano sia incline alla violenza, non emendabile se non con l’estinzione del genere (un testo polemico attuale quanto mai). Parodia, ironia e sarcasmo sono gli indici di un generale nichilismo: e si può dire che proprio il nichilismo avrà il suo ruolo nel rovesciamento che porterà l’autore alla abiura dell’avanguardia e dell’utopia, viste come cattive consigliere che provocano guai peggiori. Se nessun progresso è possibile e anzi dà esca a ulteriori carneficine, allora tanto vale far predica di moderazione con il romanzo tradizionale. Vassalli non è l’unico ad aver compiuto questo salto di posizione. Il ritorno all’ordine fa le sue vittime.