Archivi categoria: Special Guests

Un nuovo intervento di Contiliano sulla poesia

Continua la collaborazione di Antonino Contiliano con “Critica integrale”, sempre sul tema della poesia e della intelligenza artificiale.

Nella poesia fotopolaroid della poetry machine
c’è posto per √2 e √-1?

Nel mondo immerso nel capitalismo globale e nella rivoluzione tecno-scientifica algoritmica messa a servizio, la comparsa della “poetry machine” solleva interrogativi radicali. Capace di genera pagine di prossimità poetica da immagini catturate dal suo occhio elettronico, quelle pagine non possono non essere che foto-polaroid rappresentative di uno stato di cose immobilizzato al suo presente (il presente senza un passato e un futuro che lo ibridi). Nessun taglio del tempo poetico con le sue durate eterogenee e storiche. Incapace di seguire le velocità temporali delle potenzialità dell’occhio della mente e dei suoi concatenamenti semiotici esponenziali non può che servire che attese già previste e confezionate come per i prodotti degli stereotipi pubblicitari (le macchine della produzione di massa e di produzione delle masse individualizzate). La sua indifferenza alle biforcazioni della poesia dei soggetti umani (gli animali viventi che nell’immanenza di una vita si staccano dallo stesso ambiente che, impersonale, li comprende e li muove) non può darci che parole-immagini prive del tempus, il kairós dei suoni e delle sfumature di senso del testo di un autore (il soggetto e la soggettività che sa che artificio e realtà ancora non sono l’identità del prezzo unico che gli appiccica la logica del valore capitalistico). Continua a leggere Un nuovo intervento di Contiliano sulla poesia

Contiliano scrive sul ruolo della poesia nel mondo del capitalismo immateriale

Da Antonino Contiliano, gradito collaboratore di “Critica integrale”, ricevo questo nuovo articolo.

Antonino Contiliano

Il dio di Leibniz si è aggiornato
programma ferormoni bit con gli ingegneri-AI

Nella società della cibernetica e della cooperazione dei cervelli automatizzati a distanza, il poeta riveste un ruolo cruciale: non solo un semplice creatore di versi, ma un agente attivo di rottura e resistenza nel contesto di una realtà dominata da poteri diffusi e spesso invisibili che capitalizzano le creatività individuali e collettive, confezionate come software espressivo-produttivo, prendendone possesso tra copy-left e copy-right. La poesia, lungi dall’essere una forma d’arte astratta e disconnessa dalla quotidianità di queste procedure neocapitalistiche, è un’espressione di lotta contro: si scontra con le semiotiche dominanti che, come il dio leibniziano onnipotente e onnisciente, programmano mondi e soggetti conformi alle logiche di questa nuova programmata rivoluzione tecno-produttiva di possibilità. Il controllo, tra previsioni e incertezze, della vita non solo biologica ma, complessivamente, nel suo insieme sociale e contestuale storico. La scrittura poetica agisce così come un “textum” materiale, frammentario, contestuale e capace di interagire con la storia, i conflitti e le contraddizioni del presente. Non si tratta di una Poesia con la “P” maiuscola, trascendente o idealizzata, bensì di un linguaggio che si sviluppa nell’instabilità, nell’indeterminazione (azioni di soggettività che contro-reagiscono alle identità individuate). La poesia diventa così uno strumento per sfuggire al controllo dei linguaggi dominanti codificati attivando corporeità semiotiche plurali (gestualità, posizioni di traverso, ritmi inusuali …) non simulabili dalle macchine asemantiche dei cervelli elettronici.

Il poeta come figura antagonista

Nel panorama contemporaneo, il poeta è visto come un militante etico-politico, un individuo in conflitto con il sistema, capace di creare linee di fuga dal controllo neocapitalistico. Il poeta sfida l’omologazione imposta dalle nuove tecnologie e dal regime dei segni sociali unificati, che veicolano un messaggio di libertà, creatività e responsabilità ma che, in realtà, disciplinano le soggettività individuali. Il poeta, infatti, deve confrontarsi con il neocapitalismo che, attraverso le scienze informatiche, controlla e uniforma la comunicazione e l’informazione, imponendo logiche di assoggettamento travestite da promesse di autonomia.
In risposta, la poesia diventa un linguaggio di sovversione, capace di scardinare le logiche semiotiche e semantiche imposte dal sistema. Il poeta utilizza la lingua come un’arma di rottura, un mezzo per creare nuove possibilità espressive e virtualità enunciative capaci di sfuggire alle logiche di controllo dei segni impressi (analogia del tipo della macchina della “colonia penale” di Kafka nel corpo e nel cervello dei suppliziati). Queste virtualità espressive divergenti rendono l’azione linguistico-semiotica del poeta una produzione sociale di resistenza e di crisi dell’ordine stabilito, sebbene in movimento, dall’ingegneria leibniziana neocapitalistica. La poesia diventa allora un mezzo per resistere a questo controllo pianificato creando-costruendo nuove forme di espressione. La scrittura poetica non si limita a descrivere il mondo, lo trasforma in testi di azioni di azioni, espressioni di espressioni ripetute come ritornelli di differenziazioni. Una de-cristallizzazione dell’omologazione imposta dalle logiche del mercato e della produzione di nuovo tipo rispetto a quella della proprietà dei materiali e della forza-lavoro contratta con i salari. Qui il denaro è la parola libera dei prosumer (e la lingua come il denaro è la pura possibilità delle iniziative e degli esiti … attesi quanto incerti).
Nel contesto del capitalismo immateriale, il controllo non si esercita più, infatti, solo sul piano economico, ma anche su quello affettivo, emotivo e soggettivo imprevedibile. Il sistema capitalista moderno si nutre delle soggettivazioni, utilizzando linguaggi pubblicitari e massmediatici per disciplinare e controllare i desideri e le coscienze degli individui. In questo scenario, il poeta – così – deve confrontarsi con un regime di segni asservito al capitale e alla sua politica di neutralizzazione le potenzialità espressive e creative delle soggettività (virtualità deliranti).

Sovvertire le logiche linguistiche e sociali addomesticanti

Il ruolo del poeta oggi è quello di un sovvertitore delle logiche linguistiche e sociali dominanti. Attraverso la sperimentazione linguistica, il poeta può rompere le catene dell’omologazione e creare nuove possibilità di senso. In un mondo in cui il linguaggio è sempre più standardizzato e asservito al potere, il poeta deve sottrarsi a queste logiche e creare nuovi spazi di espressione.
La poesia, quindi, diventa un linguaggio critico e politico (inventiva e adeguata virtù brechtiana di nuova generazione semiotica), capace di mettere in discussione le logiche dominanti, aprendo nuove possibilità di senso e significato. Il poeta è colui che, attraverso il linguaggio, può scardinare così i meccanismi di controllo e creare nuove possibilità di esistenza, sfuggendo alla logica binaria e delle coppie fatte di pubblici fidelizzati. Il magnete del sistema che, grazie alle seduzioni estetizzanti mediante le pubblicità che iconizzano suoni, parole e immagini, cattura e amministra la memoria e l’attenzione delle soggettività qualunque. Un patrimonio privatizzato come una piazza di compra-vendita da proteggere dalla concorrenza di pari genia. Non è un caso se, nell’oggi di “droni” in guerre di pianificazioni, il mercato delle borse mette in palio i pacchetti-network di clienti “individuati” (plasmati e identificati nei desideri, attese, credenze, abitudini, consumi …).
Il testo per ciò si interroga sulla capacità della poesia dirompente di coinvolgere e scuotere il “general intellect” dei giovani, sottraendoli all’influenza pervasiva dei microchip del controllo della governance tirannicida esercitata sulle singolarità individuali e di gruppo. La “tirannide” contemporanea agisce infatti attraverso la comunicazione informatizzata del capitalismo neoliberista, una rete postfordista di “neuroni elettromagnetici” che, sotto la maschera dell’impersonalità, uniforma e addomestica i cervelli sociali. La linearizzazione delle semiologie e dei linguaggi di programmazione, insieme a interfacce verbo-visive e tattili, infatti uniforma le relazioni di rete rettificandole e asservendo le informazioni pragmatiche monadizzate ai microchip dell’isomorfia biunivoca; quella dominante della legge del valore di scambio comunicativo o degli orientamenti che mercificano e sfruttano e la vita e la soggettività qualunque, appiattendole su codici astratti della senso-motricità automatizzati in bit né veri né falsi che surclassano la significanza degli eventi eterogenei espressivi possibili.
Tuttavia l’autore (non più autore!), in questa circolazione di segni, inventa una possibilità di rivoluzione contro-sistemica attraverso la poesia rivoluzionaria e militante; e ciò confrontandosi con la rete complessa del neo-capitalismo platonizzato (il modello capitalistico di classe gerarchizzate come immobile idea eterna), mentre ne mina la cogenza lavorando sui desideri e le credenze e le possibilità del vivere-insieme contro le logiche asimmetriche del potere.
La poesia civile del XXI secolo deve misurarsi sia con il proprio fare-dire sperimentale evenemenziale (come sperimentale d’altronde sperimentale è diventata la politica come res dell’evento) che con la rete di allegorie semiotiche-politiche della democrazia neo-capitalistica, ovvero con la sua iocrazia proprietaria che perpetua i sui rapporti di forza di classe per impossessarsi del sapere comune inalienabile. Contro questa economia politica, si erige così una poesia critica che, attraverso la sperimentazione semiotica espressiva in movimento, agisce sul piano del linguaggio con la forza delle passioni, delle affezioni e dell’effettuazioni produttive di conflitti in itinere.

Il contrattacco attivo della poesia si manifesta così nell’uso sovversivo di testi “asemici” e/o di altra inventiva obliquità che sgrammaticano i regimi d’ordine per lo sciame plastico-polifonico che vortica sulle scritture sperimentali. Questo processo di deterritorializzazione o di attivazione di divenire possibili è l’agire delle differenze e delle ripetizioni infinitesimali esplosive proprie a una sensibilità po(i)etica non catturabile; quella mai internabile e visibile elle fabbriche disciplinari o ai feromoni bit (come i segnali chimici nel mondo delle formiche; i segnali che, in ogni momento, descrivono il luogo e l’azione in corso) dei cellulari smart o dei caschi della realtà virtuale realizzata. Le relazioni molteplici di un testo poetico non sono gli automi delle macchine dei cervelli elettronici in cooperazione motrice deterministica. Le loro effettuazioni sono indipendenti in quanto imprevedibile contingenza.
La sperimentazione poetica si pone come alternativa all’omogeneizzazione dell’imperialismo coloniale automatizzato; nella sua natura evenemenziale propone rotture simboliche in termini di “macchine da guerra” linguistiche che bucano le standardizzazioni del neo-liberismo semiotico-cibernetico. La poesia, in questo contesto, si fa interprete di un “risveglio” delle avanguardie e delle contestazioni, attingendo alle “eresie” del sapere e delle pragmatiche di ricerca diversificata nelle nuove piazze del mondo delle ingegnerie dei programmatori leibniziani; i pianificatori che avversano i mondi incompossibili con le realizzazioni del neocapitalismo elettronificato mediate dalla vendita dei “big data” e dai social network che ritualizzano i giochi competitivi, di guerra e supremazia. Questo processo di deterritorializzazione o desoggettivazione confliggente con i blocchi delle nuove modalità digitali e dell’Intelligenza Artificiale (che operano per soggettivazioni “dividuali: gli individui ridotti a pezzi, di cui parte pezzi hardware-software delle macchine dei cervelli cooperativi controllati) è proprio alle azioni della poesia e alle sue espressioni molteplici affatto riducibili alla cattura della produttività del neocapitalismo cognitivo.

La poesia, pur confrontandosi con la crudeltà del mondo e le persecuzioni subite da poeti e pensatori, continua a offrire voce al dissenso e azioni kairós (opportune) contro l’informazione-comunicazione del neo-capitalismo delle recinzioni e delle recensioni a pagamento per benedire, senza critiche e bilanci truccati, l’evoluzione dell’AI.
Gli esperti che programmano la prevedibilità dell’imprevedibile necessità delle contingenze storico-materiali (le contingenze o le possibilità contro di chi fugge dalle nuove gabbie elettrotelematiche a distanza e dal “semplice” di Bill Gates e Google) con i loro algoritmi – certamente ricchi di provvidenze e utilità indiscutibili – vorrebbero gestire le parole solamente come oro, profitti ultramiliardari e diseguaglianze non più accettabili come dialettica tra maggioranze e minoranze. La multisensorialità e temporalità esponenziale della poesia è una “lingua minore” irriducibile alla “maggioritaria” (quella che non è di nessuno), per cui le nuove possibilità politiche anti-dogmatiche non mancano per frantumare le chiusure asettiche e lavorare per incrementare identità politiche divergenti.
In conclusione, il poeta contemporaneo è un agente di resistenza che combatte contro le logiche del capitalismo immateriale e contro le forme di controllo esercitate sul piano linguistico, affettivo e soggettivo. La poesia diventa così un’arma di lotta occupando le strade dell’elettronica creando possibilità di espressione e di senso cooperative e alternative: il mondo degli oggetti e delle soggettività capaci di adeguati comportamenti e azioni innovative non è l’esclusivo copyright della forma del diritto del comando. L’antagonismo politico o di un “general intellect” contro-agente è in uso di rivolta e rivoluzione; la sua azione non ubbidisce ai comandi della comunicazione informatizzata dei padroni dei regimi dei segni ingegnerizzati che creano i ferormoni bit di tracciamento e controllo subordinate.
Marsala 3-2-2025

Su “Critica integrale”, 04/04/2025

Domenico Cara su Antonino Contiliano

Ricevo da Antonino Contiliano questa recensione al suo testo Tempo spaginato. Chi-asmo scritta da Domenico Cara nel gennaio 2008 e rimasta inedita. La pubblico qui anche per ricordare Domenico Cara, con cui ho avuto in passato vari contatti, e che è scomparso da poco.

Domenico Cara

Sarcasmo terminale

In più apparenti derive, in uno stato progettuale già avanzato e colto, Antonino Contiliano ritrova (con noi lettori del suo manifesto di poesia) se stesso, impigliato in una duttile e felice intensità di ricerca a dir poco performatica. Le radici dei suoi versi in questa nuova silloge: Tempo spaginato, iniziano il loro itinerario verso il basso (e la continuità implicita) con una morbidità imposta a ostinazione liricistica, lieve, limpida di senso e di conflitto; poi la testualità verticale dilaga per flussi complicati, nel dominio di un dettato esperto ed acuto, e su briosi o tesi intrugli di verbum critico, forse a scompiglio infinito e senza dubitazioni civili o ritmi monocordi e friabili. Continua a leggere Domenico Cara su Antonino Contiliano

Due articoli di Antonio Amendola sull’improvvisazione

Ricevo da Antonio Amendola due articoli che pubblico qui insieme in quanto trattano lo stesso argomento, l’improvvisazione e ne sono le due facce, la teoria e la pratica .

VOCE E IMPROVVISAZIONE

Da sempre la voce è legata alla comunicazione, allo svelamento dei segnali dall’inizio dei tempi, per indicare pericolo o stupore oppure presenza nel territorio poi da segnale si è evoluta nel tempo come suono al servizio del linguaggio della musica, alternando nei secoli monodia e polifonia. Ma si sa, che la voce è sempre presente, durante la nostra giornata noi non abbiamo uno spartito scritto di ciò che diciamo e neanche un libro pronto, quindi si evince che ci saranno delle interferenze legate ad esprimersi secondo un tono solenne o spiritoso in relazione ai nostri incontri, oppure passare dalla lingua italiana ad altre lingue oppure utilizzando dialetti, dialettismi, idioletti, gerghi ed altro la lingua si muove nello spazio e la voce la segue, con o senza parole, sprigiona le sue possibilità la sua grana, poi però c’è la vera improvvisazione in musica che segue varie istanze, tecniche, strategie, intervalli scalari, arpeggi, ritmi consonantici, beat human box, scat, recitarcantando in un caleidoscopico variegato di forme, ma ovviamente questo riguarda anche i nostri aspetti gestuali, noi improvvisiamo di continuo e questo avviene soprattutto per la voce con o senza le parole, con o senza musica. Continua a leggere Due articoli di Antonio Amendola sull’improvvisazione

Giorgio Moio sulla poesia

Dopo quello di Antonino Contiliano, pubblico l’intervento sulla poesia che mi ha inviato Giorgio Moio. Che stia nascendo un dibattito?

GIORGIO MOIO
Poesia come normalità o azzardo?

Il compito della poesia è stato sempre quello di ricercare qualcosa che non c’è (o non ci è dato – forse – sapere), un linguaggio della contraddizione, palinodico e giocoso, tragicomico, che non affabuli ma aggrovigli, che non addomestichi ma interroghi. Sul piano prettamente stilistico, un accumulo delirante di parole deliranti apparentemente giocose e comiche da scorticare, scardinare, aprire squarci, ogni qualvolta il risultato si avvii verso l’ovvio, non senza il gioco delle combinazioni. Una poesia come avventura nel mare della conoscenza per una mobilità linguistica che non prometta consolazioni, che non raggiunga mai la centralità di un qualcosa fatto passare per verità; mai patetica, né intimistica, né romantica, ma irriverente, demistificatoria, dissacrante per una fisica visione dinamico-allegorica del mondo, per un itinerarium corporis in mundum. Continua a leggere Giorgio Moio sulla poesia

Scrive Antonio Amendola: Dagli Illogico alla poesia sonora

Come già in altre occasioni, esce su “Critica Integrale” il nuovo articolo firmato da Antonio Amendola.

DAGLI ILLOGICO ALLA POESIA-SONORA

Tra il 1981 e il 1985 ho fatto parte del progetto Illogico un gruppo rock con vicinanze ai Talking heads e alla no-wave americana (Contorsions DNA, Lidia Lunch e altri, è stato il livello più alto per sperimentazione energia e improvvisazione in dieci anni di gruppi, ero da poco uscito dai Videozona con i quali avevo condiviso un suono più new wave (tra le altre cose il nome era riferito ai video, erano gli anni dei primi videobar e… la zona…. invece, al film Stalker di Andrej Tarkovskj). Cominciai a collaborare con Illogical sound con un suono punk molto interessante e saturo poi in seguito siamo diventati Illogico. Continua a leggere Scrive Antonio Amendola: Dagli Illogico alla poesia sonora