CARLO EMILIO GADDA
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
Rotoli di trippe lesse l’un sull’altro come tappeti arrotolati, gentili anatomie di capretti spellati, rosso bian¬che, il codonzolo appuntito, m a terminato nel ciuffetto, a significarne in modo veridico la nobiltà: «pe quattro lire v’oo do tutto,» diceva l’abbacchiaro presentandolo a mezz’aria, tutto cioè mezzo: e i bianchi cespi de la lattuga romana, o insalatine ricciolute tutte riccioli verdi, polli vivi coi loro occhi che smicciano da un lato solo e vedono, ognuno, un quarto del mondo, galline vive chiotte chiotte stipate nelle loro gabbie, o nere o belghe o padovane avorio-paglia, peperoni secchi gialloverdi, rossoverdi, che al mirarli solo ti pizzicavano la lingua, ti mettevano in salive la bocca: e poi noci, noci di Sorrento, nocciuole di Vignanello, e castagne a mucchi.
Addio, addio. Le donne, le polpute massaie: lo scialle scuro, o verde erba, una spilla da balia co la punta aperta, ahi! da pinzar la poppa alla vicina d’un attimo: così fan tutte. Polponi semoventi, esse ambulavano a fatica da uno spaccio e da un ombrellaccio al successivo, dai sèlleri ai fichi secchi: si rivolvevano, si strofinavano i rispettivi gregori l’uno all’altro, annaspavano ad aprirsi il passo, con borse ricolme, soffocavano, boccheggiavano, grasse carpie in una piscina-trappola dove l’acqua a poco a poco decèda, stipate, strizzate, intrappolate a vite con tutta la lor ciccia nei vortici della gran fiera magnara.
26/08/2025