Il ritorno delle “Anatre”

Tornano in libreria, grazie all’editore Argolibri, Le anatre di ghiaccio di Mariano Baino, debitamente aggiornate e rimpolpate. Si tratta di un libro decisamente eccentrico e di difficile classificazione – forse Frye lo metterebbe nel quarto tipo di prosa, l’anatomia. Data la brevità della maggior parte dei brani, sembrerebbe una raccolta di aforismi, però però c’è di molto altro, giochi di parole, parodie, aneddoti, citazioni, riflessioni, allegorie, testi in versi. L’autore, che ci ha abituati sia in poesia che in prosa a comportamenti inusuali e ricchi di “spirito”, va qui al massimo, regalando sorprese e vero divertimento (proprio nel senso del “divertere”, la deviazione dal senso comune).

Un continuo fuoco d’artificio, di cui mi provo a dare qualche prova.
Cominciamo con una raffica di calembour, gustosissimi: «Ma ci sei o ci hi-fi?», «Cina totale: Tao Tse Tung», «Ho il coltello dalla parte del panico», «Come disse il cavallo, tutti a darmi coraggio mentre chiedo foraggio», «Il Finnegans giustifica i mezzi». Basta il cambio di una lettera per avviare lo straniamento della frase comune di partenza.
L’operazione sulle citazioni letterarie, poi, prende il sapore della parodia: così si trova riformulata la metafora che Manzoni dedicava a Don Abbondio; «Europa, vasino da notte tra vasi di ferro» (molto pertinente nella situazione attuale, mentre scrivo questa nota). O ancora questo rifacimento di una famosa “ricetta” di Sanguineti: «Per scrivere una poesia: prendi un piccolo fattoide similvero». Altre allusioni e abbassamenti di versi celebri si trovano nella sezione degli haiku ironici, intitolata, in questa edizione, Haikuldesac; si veda, a sistemar Quasimodo: «oggi hanno tolto / -ed è subito sera- / l’ora legale»; e a sistemar Pavese: «verrà la morte / e certo avrà i tuoi occhi / -o non è certo?».
Un genere a parte, praticato con finezza, è quello – derivato da Pontiggia – degli “antidetti”, nella sezione Antidetti e antidoti (code a un gioco di Pontiggia). Si prende una frase fatta e la si mette al contrario, per poi prolungarla in coda con una specie di commento, anch’esso verbogiocoso. Prendiamo come esempio i primi tre: «Nuotare nella povertà. Lo stile rospo», «L’assente ha sempre ragione. Specialmente con assenza irreversibile», «Pesce piccolo mangia pesce grosso. Ma solo nel Mar Xismo, nel Mar Tini e in Mar Ijuana»..
Una buona quantità di pezzi è dedicata alla polemica letteraria e la modalità ludica non impedisce interventi di una certa cattiveria. Come la sottolineatura della sudditanza di certi artisti: «Se hanno un po’ di successo, pensano di essere artisti a 360°. Mai che pensino di essere artisti a 90°». Se è facile prendersela con la poesia “innamorata” («Circola molta poesia d’amore. Di menestrelli riscaldati»), non vanno esenti le tendenze vecchie e nuove, dall’avanguardia («Gli avanguardieri») al recente dibattito sulla ricerca («Poesia di ricerca dopo il Gruppo 93: la quête dopo la tempesta»), con una rivendicazione:

Non mancano perentori inviti a una poesia «non assertiva», depurata dell’ingombro dell’autorialità, e da eventuali tentazioni ritmiche. Sia, magari sia! Epperò il ritmo è mio e lo gestisco io.

Insomma, non c’è soltanto il puro piacere di manipolare indisturbati il linguaggio costituito, ma spesso dall’umorismo nero si arriva a un gioco “serio”. Non a caso Massimiliano Manganelli nella introduzione alla nuova edizione delle Anatre, ci spiega che ci sono due Baini:

Al primo possiamo ascrivere il gusto per il nonsense e in generale per il gioco verbale, la predilezione per l’arte combinatoria e certe scelte in direzione del comico vero e proprio, l’altro è invece apparentemente più pacato, più incline a guardare verso la letteratura del passato, addirittura ai grandi moralisti.

Proprio il Baino moralista si rende conto che ormai il nonsense ha occupato il posto della realtà e dunque la tecnica del ribaltamento non è soltanto atta a spiazzare le sicurezze, per così dire, borghesi, ma vale da base al corretto ragionare. Che dire di queste indicazioni sulla scomparsa della democrazia?

Fra i miei conoscenti, l’arte di scomparire nessuno la sta praticando meglio della democrazia occidentale. Con il discernimento di chi ha colto l’invito di Baltasar Gracián (El oráculo manual) a saper tramontare quando il momento arriva, va declinando nell’orizzonte della postdemocrazia, nell’autocrazia, nella criptoligarchia, nella democratura. Ma senza levar via dal candido gilet il distintivo delle libere elezioni; senza sfilarsi il vecchio frac dei diritti civili e politici; sempre ripalpando il cilindro vuoto di conigli ma ancora pieno di pluralità dei partiti. Adieu, adieu, buonanotte…

Come pure un’affermazione di etica (e di poetica) è in questo elogio dell’ornitorinco (non a caso uno dei brani più lunghi del libro) che è anche un elogio dell’ibridazione e della mescolanza:

Questo animale, nel corso della vicenda scientifica che lo riguarda è stato persino denominato, quasi a volerne classificare l’inclassificabilità, ornythorhynchus paradoxus. (…) Innanzitutto, l’ornitorinco è un superstite. Certo, tutti gli animali lo sono, tutti parimenti salvati dal diluvio universale grazie a Noè e alla sua arca. Tutti. Meno lui. L’ornitorinco è un self made animal. Arrivò tardi all’imbarcadero noetico, si beccò la pioggia, dovette nuotare, sommozzare, scavare, immaginare. (…) In fondo, non hanno tutti i torti coloro che considerano l’ornitorinco la dimostrazione migliore dell’esistenza di Dio. Solo il biblico indispettirsi di Dio poteva punire una creatura con un processo evolutivo così drammatico e sbilenco, che però è anche manifestazione di un’eccessiva e perciò colpevole volontà di vivere. (…) Di fronte a tutto questo, un’anatra sempliciotta, una miope talpa, una lineare biscia, un’insipida trota, non ce l’avrebbero fatta. 

Come anche l’intera sezione sull’apnea, Suspiria, che è l’ultima, si accende di significati allegorici: vuol dire essere «con il fiato sospeso» di fronte all’orrore del presente? Vuol essere una celebrazione, tramite performance sportiva, della resistenza? Vuol ricordarci che, in definitiva, la poesia non è altro che una forma di respiro e quindi per scriverla come si deve occorre controllare sia l’ispirazione che l’espirazione? Queste e altre cose insieme.
Nella nuova edizione della raccolta è ricompreso il brano sulle anatre ghiacciate, per forza, dato che spiega il titolo della raccolta. Un aneddoto del 1935: queste anatre di ghiaccio che cadono dal cielo («una violenta tromba d’aria dovette spingere uno stormo a grandi altezze. Causandone il congelamento. Poi un forte vento potrebbe averse trasportate sopra Worcester») è un’ottima rappresentazione del caso inusitato, della sorpresa e della realizzazione dell’impossibile. Un’immagine “fredda” che ben s’addice alla causticità dell’aforisma nei tempi bui che corrono.

28/05/2025

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