Jonida Prifti, la poesia del confine

Seguo la poesia di Jonida Prifti fin dai suoi inizi e, anche alla luce delle performance vocali, l’ho sempre interpretata non solo in chiave di contaminazione linguistica per l’intersezione tra la nativa lingua albanese e l’italiano acquisito, ma anche attraverso una considerevole ripresa dell’espressionismo. Una forte carica vitale che altera i linguaggi, si imprime in essi, li stravolge, li intensifica, li distorce.
Arriva ora in libreria una nuova raccolta: il titolo è Sorelle di confine, l’editore il milanese Marco Saya, la collana “Sottotraccia” curata da Antonio Bux, gli scritti di accompagnamento sono di Andrea Cortellessa la prefazione e di Pasquale Panella il congedo versificato in coda.
Il nuovo libro dimostra un’evoluzione, sia nella costruzione complessiva che per quanto riguarda le scelte di scrittura. Vediamo per ordine.

Nella prima parte, La portatrice carnica, fa da supporto un soggetto storico risalente alla prima Guerra Mondiale: le donne che portavano (portatrici, appunto) cibo e munizioni ai soldati sul fronte della Carnia. Un personaggio femminile con cui il testo esercita l’adesione della sorellanza, con l’empatia di prestargli la prima persona – mentre, al contrario, non concede alcuna rilassatezza aneddotica e il tema della guerra e del pericolo viene trasposto in schegge percettive. Si veda, come esempio, questo breve brano intitolato Corpo da tale alcova abbonda:

Sovrastante persona al vertice
vengo astratta dalla vita in giù
in vortice l’urto
del bulbo oculare
ghirlanda colossale
orli crespi d’altura figurano
in quale verso il tiro penetra? 

Come si vede, comincia qui subito dalle prime battute il tema del corpo che impregna l’intera raccolta e viene evidenziato da Panella nel suo commento finale in versi che interviene proprio Sul corpo poetico. L’autrice stessa, in sede di nota, suggerisce l’associazione tra “carnico” e “carnoso” (Poesia carnosa è la formula del minifestival che Jonida porta avanti da diversi anni). Si tratta di una tematica che si può rintracciare indistintamente in tutte le sezioni; menzioni di parti corporee sono ovunque e ogni elenco risulterebbe lacunoso, bastino alcuni excerpta prelevati a caso tra tanti: «discendere dal centro dell’addome / deglutire l’intero raggio d’ombra»; «dal centro della testa / discende per il collo / affilando il girovita»; «tra due corpi in moto / lingua a mezzo / tra palato, denti sospesi / freni di baci a cerchio»; «Nell’incavo della curva sosta il pieno / rimbombo d’aria nei denti divenuti fluoro / il corpo – bambola senza pressione». La tematica “somatica” si ritrova anche connessa alla tecnologia, qui in Transponder, uno dei testi più recenti:

Spurgo al mattino fluidi orali
valvola di non ritorno
fluttuazione di pressione
intermittenza irrigante

È come se la dinamica sottilmente drammatica della poesia venisse affidata a un insieme contraddittorio e sempre incompleto, che produce assunzioni, emissioni, contraccolpi. Allo stesso modo, si può dire, funziona il corpo della parola, teso nella ricerca di espressione e scisso nell’impossibile traduzione tra lingua madre e lingua acquisita, e ancora tra parola privata e retorica della comunicazione. Così troviamo testi bilingui (Flutura) oppure caratterizzati dall’insistenza sulla pronuncia (Il Ratto e la Passera), in un testo che in generale sembra sempre da immaginarsi nell’esecuzione dell’oralità.
A questo proposito, si può notare un cambio di passo tra la prima metà e la seconda. All’inizio il verso è breve e in qualche punto si nota addirittura una misura reiterata, un ottonario diviso dalla cesura quindi propriamente un quadrisillabo doppio. Emerge in Annia:

Gran disturbo di memoria
bianchi rami fissa l’ira
incavi sui fianchi
dallo scorcio del cortile
travestirsi in dimora.

E ancora, poco dopo: «Vela il sole, sotto tutto / svela tuono, sogno sordo»; e poi: «Ventre in fosse, sparse gocce».
Questo ritmo, per così dire, “ribattuto” si allarga nella seconda parte del libro in un verso lungo, in alcuni casi assimilato alla prosa (Totale), in genere costituito da una sequenza cadenzata, parente della “metrica di cola” inaugurata dalla neoavanguardia. Necessita un esempio (qui il testo è giustificato a destra):

Ocre acquoline nel campo storto di statue sotterranee.
Lampeggia antica rampa dalle carrellate mostruose.

Diffuso il corpo nel tentacolo straripa sregolatezza
transiti di lame blu smalto, ansima
rospi dagli angoli tesi sciolgono piedi murati:

canaglia del mento attiri le pelli al dente
su, spari al centro della coscia
a pallini tardivi, in colpi rapaci
colla formosa, crosta allentata.

Botte, botte nell’orecchio discorrendo
alla signora senza denti che offre pompe.

Guardi dalla cima della tempia
la nuca sul dorso, raspi logorii assordanti.

Guarda laghi di passati snaturati
salgono memorie del cemento a macchie verdi:
la ricerca profonda dei suoni rimbomba
come una grande pioggia estiva.

Notare gli accostamenti dell’incongruo in un componimento sostanzialmente onirico. Qui, più che l’espressionismo, l’eredità è quella del surrealismo.
Il testo finale, Sorella di confine, riprende il titolo dell’intera raccolta. Vi compare il verso, «Dov’è il campo? Dov’è il grano? Dov’è lo strano?», citato da Cortellessa in sede d’introduzione, giustamente indicando le figure della “straniera” e della “stranezza”. La sorella, il confine: lo specchio dell’identità, il confine con l’alterità; ma anche, ovviamente, i passaggi del confine; e anche il confine tra l’essere e la parola.
Insomma una poesia che si muove sulle linee portanti della pulsione orale, della carica oppositiva, del lavoro nella complessità linguistica. Un libro importante per chi voglia cercare vie d’uscita alle melense prove di tanta insulsa versificazione odierna.

13/02/2025

1 commento su “Jonida Prifti, la poesia del confine”

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.