Sono stato particolarmente legato alla rivista “Malacoda”, organizzata e prodotta dalla direzione di Mario Quattrucci, negli anni Dieci del nuovo Millennio. Quattrucci assumeva in sé e nelle sue attività, la spinta politica e quella letteraria e così la sua rivista è vissuta su questa duplicità di impegno, in entrambi i campi con acume analitico e disposizione polemica.
Scomparso purtroppo il suo fondatore, “Malacoda” – questo diavolo fondamentalmente buono e tuttavia non privo di malizia critica – è riapparso con una nuova redazione riprendendo le pubblicazioni online. Tuttavia, a un certo punto, ha tenuto fede all’idea di “stare nella rete per uscirne fuori”. Ed ecco che, grazie alla collaborazione con l’editore Castelvecchi, il terzo numero della nuova rivista, dedicato al tema del Lavoro, si è trasformato in un libro, secondo il progetto di diventare una pubblicazione annuale: l’Annuario Malacoda. Dando vita – chi vivrà vedrà – a una serie di volumi, di volta in volta, su argomenti decisivi del nostro dibattito culturale, a formare una sorta di piccolo dizionario di questioni-base, secondo una ragione enciclopedica ramificata e plurale, per ripartire con l’alternativa.
Cito dalla mia introduzione al libro:
Tema il “Lavoro”. Una grossa questione, indubbiamente, dato che le nostre sorti si misurano di continuo in Prodotto Interno Lordo… Eppure, il lavoro sembra sparito dai radar, le merci occhieggiano per ogni dove con i loro richiami ammiccanti quasi che non ci sia nessuno dietro che le fabbrica materialmente – anche la cultura segue ormai la medesima modalità di presentazione, la pubblicità. Il lavoro è diventato un vero “enigma”, che non si può affrontare se non percorrendo la sua superficie sfaccettata e dappertutto problematica. Per un verso il lavoro scompare per via della finanziarizzazione del capitale, in cui la concretezza della “cosa” sparisce nel “gioco”, nelle imperscrutabili fluttuazioni del mercato globale, riottose ad ogni progettazione razionale; per un altro verso, il lavoro scarseggia per via dell’automazione che offre forza lavoro inesauribile a patto di avere risorse energetiche (e diventerà sempre più pervadente con i nuovi utilizzi dell’intelligenza artificiale), mentre si aggiunge la delocalizzazione e mentre il just in time segmenta le funzioni e isola i lavoratori impedendo il formarsi di quella solidale coscienza di classe che nasceva dai contatti all’interno della fabbrica. Il classico esercito di riserva s’ingrossa e perde le possibilità di rientro: per usare una metafora ferroviaria, il treno della produzione per camminare spedito, sgancia i vagoni di coda, divenuti inutili pesi morti. Lo sfruttamento c’è ancora, ma paradossalmente gli è altrettanto necessario il non-sfruttamento. Ci sono ancora i corpi dei lavoratori, eccome: ce ne accorgiamo quanto perdono la vita o qualche arto negli infortuni causati da incuria e mancanza di manutenzione (ancora per bassi calcoli economici). E c’è quel dark side del lavoro che, oltre il precariato, è il lavoro sottopagato, le discriminazioni di genere, il lavoro in nero e il nuovo schiavismo clandestino, fenomeni occulti ma che si vedrebbero benissimo se li si volesse vedere. E poi naturalmente c’è quella attività che tutti esercitiamo in quanto consumatori nella mercificazione generale, avvolti nelle seduzioni e fantasmagorie della cultura di massa, nella quale vengono a confondersi tutte le differenze in una caricatura dell’uguaglianza.
Il volume e il progetto connesso verranno presentati il 12 marzo 2025 al Teatro di Porta Portese, via Portuense 102, ore 17,30.
07/03/2025