Percorrendo in tutta la sua estensione l’opera in versi e in prosa di Nanni Balestrini, Cecilia Bello Minciacchi ci offre con il suo voluminoso studio Come agisce Nanni Balestrini (editore Carocci) un ritratto davvero completo di un autore di punta nel novero della neoavanguardia. Poco propenso a esporsi in sede teorica – tanto che di suo si può annoverare solo quel contributo originario, Linguaggio e opposizione, compreso nella antologia dei Novissimi – Balestrini è stato invece presentissimo nel lavoro organizzativo, fino al punto che si potrebbe affermare che senza di lui forse il Gruppo 63 non sarebbe esistito… Va da sé che questa reticenza non significa affatto mancanza di consapevolezza autoriale; al contrario l’opera balestriniana dimostra una eccezionale qualità di autocontrollo, una notevole dose di competenza letteraria nella svariata messe delle citazioni e degli imprestiti, con in più l’accortezza di rilasciare sornionamente all’interno del testo tracce e indicazioni del suo fare, vere e proprie istruzioni preliminari (che poi è, paradossalmente, il titolo di uno dei suoi ultimi testi).
Questo è il libro giusto per conoscere a fondo Balestrini in tutti i suoi risvolti.
Nell’affrontare questo autore così restio a rendersi palese, Cecilia Bello Minciacchi affina al massimo le sue doti critiche con una indagine capillare (quasi verso a verso), con una singolare attenzione ai rapporti interni ai testi e con una particolare capacità di ricerca di tutte le provenienze dei materiali.
Così si mostra con dovizia di prove come Balestrini ottemperi perfettamente alla “riduzione dell’io” indicata da Giuliani nell’introduzione ai Novissimi e sia forse in questo senso il “novissimo” più dotato di una scrittura rigorosamente impersonale. Mentre tutti – chi più chi meno – scrivono oggi per apparire, Balestrini invece scrive per scomparire dietro il suo testo, cui conferisce perciò una peculiare fattura di oggetto. Anche quando compie la svolta verso il romanzo “politico”, la prima persona che racconta non corrisponde all’autore. Ciò è confermato – aggiunge Cecilia Bello – anche dal modo di lettura orale praticato in modalità impassibile (come del resto faceva anche Sanguineti). Il che non significa affatto che l’autore perda di ruolo, al contrario: l’autore mantiene e anzi amplifica il ruolo di “soggetto operativo” che lavora sul linguaggio dietro le quinte del testo, a scegliere, comporre e rielaborare le scritture altrui. Come a sottolineare che, in ogni caso, il linguaggio è sempre una produzione sociale.
Il montaggio è il proprio del modo con cui Balestrini “agisce” (Come si agisce è il suo primo libro, ripreso qui nel titolo della monografia). E montaggio significa mettere insieme cose disparate di assai diversa origine e collocarle una accanto all’altra per produrre le scintille della sorpresa: in altre parole, eterogeneità e frizione. Giustamente Cecilia Bello Minciacchi parla di straniamento (ricorre spesso nelle sue pagine il rimando a Brecht, in particolare per alcuni titoli balestriniani), l’ironia e anche l’allegoria, in quanto il senso del testo deriva dalle movenze della messa-in-forma. Ma leggiamo, verso l’inizio del libro, che sono
testi letterari e opere visive che sollecitano il lettore straniandolo, procurandogli esperienze di choc, smascherano stilemi triti e oppressioni politiche, producendo al contempo «emozioni mentali» – come diceva, in opposizione al sentimento “puro” – e portando alla letteratura un’immensa quantità di materiali nuovi, sia deperibili come la stampa periodica, sia di ascendenza letteraria, resecati e utilizzati in contesti stranianti, non di rado capovolti e ironizzati, che finiscono per gettare molteplici e multidirezionali raggi di luce nuova sulle cose.
E verso la fine:
Le contiguità istituite da Balestrini non si fondano su legami analogici, sono piuttosto delle false vicinanze, delle incompiute o false metafore. Nel collegare cose distanti, Balestrini scopre invece gli attriti, il guizzo linguistico creativo e spiazzante, le impossibili conciliazioni, i conti storici e sociali che continuano a non tornare.
Indubbiamente la tecnica la fa da padrona. Ma l’impressione che il ritaglio operi nell’indifferenza dei lacerti che vengono mescolati ad libitum viene smorzata dall’analisi di questo libro che mostra come l’operazione sia attentamente calibrata per ottenere dal differenziale il massimo di scossa. Ecco allora l’importanza di individuare le fonti dei singoli elementi, anche a costo di andare contro le resistenze dell’autore medesimo (evidenziate al momento delle note di Giuliani all’antologia dei Novissimi) a rivelare i contesti del suo trovarobato. Il recupero delle derivazioni è legittimo, secondo Cecilia Bello Minciacchi, non però in quanto pratica filologica accademicamente conveniente, ma proprio per capire e cogliere a fondo le mésalliances cercate dall’autore: «A giustificare l’individuazione delle fonti, concorre il fatto che gli attriti diventano tanto più aspri quanto più il lettore riesce a coglierne il retroterra e l’inconciliabilità».
Grazie a questo lavoro, i materiali riacquistano la loro pregnanza di contenuti e ciò in particolare si realizza nella riemersione dell’istanza politica in sede di narrativa. Ma per tutta l’opera di Balestrini le analisi accurate di Cecilia Bello Minciacchi tendono a sfatare l’apparenza di “freddezza” (o meccanicità: vedi l’uso antesignano del calcolatore elettronico) delle sue operazioni, e a registrarne invece la tensione epica e il pathos, forte anzi proprio laddove viene caricato dalla stessa impassibilità “oggettiva” del raccoglitore di frantumi. Sicché non c’è poetica senza etica. Perfino nei primi esperimenti nei quali la “riduzione” arriva all’ “azzeramento” dell’io, vi è tuttavia sottesa una «istanza morale»:
Il tratto nuovo era, in Balestrini, la natura di tale istanza: non dichiarata, semmai teoricamente minimizzata (quando addirittura non negata), e tutta implicita, contenuta nelle disarticolazioni e nelle strette maglie delle commessure nuove. Che Balestrini proceda nel segno della contestazione verbale, in quello di una provocazione claunesca o di una radicalizzazione dello svuotamento di significato – tutte pratiche variamente usate e rinnovate nel tempo – intende comunque la poesia come un’attività pratica e il testo come una macchina sollecitante, a volte urticante, che per programma punta alla sorpresa intesa come risveglio.
Inversamente, nella fase di maggior prossimità (e compromissione) all’azione politica, il lavoro della critica non evita di far funzionare un doppio pedale che corrisponde sempre alla doppia tendenziosità del testo. Ne risulta che Balestrini non abbandona mai la costruzione di una struttura forte e attentamente interconnessa (i rapporti formali interni), quindi anche in prosa con un procedere sostanzialmente poetico. Musicalità, sì, ma di genere dissonante: «i testi di Balestrini suonano, e lo fanno per loro propria natura. Suonano di attriti e accordi disarmonici, di sincopi e silenzi inattesi, di allitterazioni che mimano le commessure o discrepanze semantiche». Grande rilievo viene dato giustamente alla tecnica combinatoria, sempre pronta a misurarsi con qualche contrainte; e alla gran copia di riprese e ricorsi, che possono anche riecheggiare antiche forme classiche, ad esempio le coblas capcaudadas o soprattutto la sestina, recuperata con personali varianti. Un testacoda tra inizio e fine della tradizione letteraria, come del resto esemplarmente indicava il titolo Tristano apposto al romanzo della atomizzazione totale del narrato, a riprendere e chiudere la storia avviata dal fondativo Roman de Tristan. Quindi un omaggio relativo, che contiene «rinnovamento e distruzione», svuotamento e dissipazione («è un anti-monumento alla poesia costruita sugli schemi ereditati, dei quali mostra proprio lo svuotamento il degrado e la dissipazione, negando dunque ogni innocente praticabilità», si dice qui di Tape Mark I).
Seguendola passo passo, testo per testo, Cecilia Bello Minciacchi ci fa toccare con mano la coerente continuità dell’opera balestriniana, non interrotta nemmeno dai disagi dall’esilio, ben oltre quindi il periodo eroico dalla neoavanguardia costituita in movimento. Non a caso un titolo emblematico è Non smettere. Un percorso insoumis che arriva fino agli ultimi anni, con quel testo “finale” – anche se non cronologicamente – che è rappresentato dalle splendide Istruzioni preliminari della Caosmogonia (concordo con Cecilia Bello Minciacchi nel tributar i massimi elogi) con il loro carattere di resistenza e perfino di riapertura. Si potrebbe tranquillamente rubricare come un fenomeno di pervicace fedeltà alla propria vocazione e di testardaggine fuori tempo; a me però sembra un’ottima risposta ai decreti di impossibilità dell’avanguardia nel nostro presente…
Ma conviene lasciare l’ultima parola al libro che così risponde alla domanda “cosa ci insegna Balestrini”:
A più di cinquant’anni di distanza, l’opera di Balestrini conferma quell’ammaestramento dei moderni (…) ciò che la poesia di Balestrini insegna, se davvero insegna senza moralismi, concerne la forma e il suo funzionamento (mediante fonti e tecnica), la sua azione di continuo rinnovantesi. Il suo Non smettere era, intanto, «un imperativo formale». Presto rivelatosi, però, un imperativo etico alto (politico) e insieme anticonformista, un agire pratico e ininterrotto, vitalissimo fino alla fine, sul terreno del linguaggio e dell’arte.
11/01/2025