Ricerca e sperimentalismo trent’anni e passa addietro

Nella circostanza del centenario della nascita di Francesco Leonetti mi sono messo a scartabellare la sua quinta rivista, “Campo”, uscita dopo “Alfabeta” negli anni Novanta del Novecento. Così, nel numero-progetto datato 1990, ho ritrovato un mio intervento che avevo del tutto dimenticato, nel quale si parla di sperimentalismo e di ricerca letteraria. La cosa che più mi ha sorpreso è che – avendo rinunciato a fare concreti riferimenti agli autori di allora – l’analisi e le controproposte mi sono suonate straordinariamente attuali. Oggi avrei poco da aggiungere.

Sviluppi dello sperimentalismo letterario

Nella situazione attuale, la letteratura di ricerca si trova impegnata nel tentare percorsi di uscita dal blocco dominante dei prodotti di consumo. Anche ammettendo che una tradizione, cioè un sistema di retoriche vincolanti, non esista più (epperò processi di museificazione accompagnano pur sempre la mercificazione: basti vedere il frequente ricorso al valore del “classico” e del “grande stile”); resta il setaccio del mercato; il criterio della rapidità e comodità del consumo (facilità = vendibilità) omologa le scritture, potando i rami esuberanti ed eccentrici; e seleziona quelle ripetitive e riproduttive (con varianti solo combinatorie, non di struttura), in modo da trasmettere, immediatamente e senza equivoci i fantasmi ideologici.

L’inseguimento del successo del triviale viene compiuto nel nome dei “piaceri” del lettore, che non dovrebbero essere disturbati da lambiccamenti cerebrali, né da vocaboli desueti o franti; senonché, il piacere che un lettore può ricavare dall’identificazione rassicurante col già noto e ovvio è di ben scarsa intensità e si rivolge a una dimensione assai limitata ed epidermica, senza stimolare alcuna partecipazione attiva. Proprio questa ristrettezza (e automortificazione) delle pratiche dominanti lascia alla letteratura di ricerca ampi spazi da esplorare. E neppure l’applicazione della “macchina” alle scritture di consumo (uno dei possibili “scenari” verso cui ci stiamo avviando) sarebbe in grado di esaurire l’orizzonte dello scrivibile; perché resterebbero disponibili alla sperimentazione i territori affascinanti dell’ambiguità linguistica, nei quali la “macchina” è incapace di orientarsi.
Una letteratura di ricerca o sperimentale comincia innanzitutto col mettere in dubbio e rendere problematico il suo stesso statuto e ruolo sociale. La complicazione, quindi, non deriva da un gusto perverso per la difficoltà, ma piuttosto da una esigenza di ripensamento radicale di ogni elemento del testo. Niente deve essere lasciato all’assopimento dell’abitudine. Gli aspetti e i livelli testuali entrano tutti in attività, e la riflessione progettante ne elabora i rapporti in base ad idee strettamente connesse al fare. Lo stesso termine sperimentalismo indica la presenza di un controllo razionale (quasi scientifico); e ciò esclude il puro e semplice ricorso ad “illuminazioni” estatiche o mistiche; le quali, se si distaccano dal linguaggio usuale e corrente, tuttavia riciclano, nell’abbandono, alcuni scontati luoghi comuni: e anzitutto l’esibizione dell’enunciatore (il ruolo sacerdotale della superiorità poetica sui profani non-poeti). A questa figura divulgata, lo sperimentalismo sostituisce quella dell’operatore, che interviene sui linguaggi della comunità a partire da una intenzione culturale (e politica): e produce un’operazione verificabile da tutti, non solo dal punto di vista emotivo ¬che resta iniziale, ma confuso – quanto soprattutto con il giudizio sulla posizione e sul rigore (o sulla “tendenza” e sulla “qualità”, per usare i termini cari a Benjamin).
Proprio per la sua problematicità diffusa, il testo sperimentale si presenta, all’apparenza del primo sguardo, ostico e faticoso; l’obiezione più ricorrente è quella di un arroccamento di élite, che esclude la grande massa dei lettori. Il fatto è che la ricerca letteraria comporta anche la ricerca di un pubblico, il cui “gusto” non viene dato per scontato, ma viene invitato a ri-formarsi a contatto con i testi stessi; in altre parole, la ricerca esige un destinatario a sua volta in ricerca, disposto a mettere in discussione i propri modelli, e disponibile soprattutto ad applicarsi allo sforzo intellettuale di una lettura che sconfina nell’interpretazione e (perché no?) nello studio.
Negli anni recenti, la tendenza sperimentale ha dimostrato una notevole vitalità, malgrado i tentativi di restaurazione e le correnti di riflusso. Indubbiamente un contributo fondamentale lo hanno dato gli stessi fondatori dello sperimentalismo degli anni Cinquanta e Sessanta, che, dopo lo scioglimento del Gruppo 63, hanno proseguito le ricerche individualmente, ma con non minore tensione: rispetto al periodo neoavanguardistico, qualcosa si è perso in provocazione clamorosa, non però nello scavo in profondità.
Gli appelli del “ritorno all’ordine” sono rimasti delusi. Il fatto che le storie letterarie abbiano ormai riconosciuto ai “novissimi” il loro bravo pezzettino di Parnaso non autorizza ad un loro inserimento nel panorama poetico, senza le indispensabili specificazioni. Non è corretto confondere questi autori nella “grande ammucchiata” corporativa dei poeti: nei loro testi, infatti, permangono ingenti dosi corrosive di contestazione e di critica; e se essi tornano a fare i conti con gli stilemi della tradizione, ciò avviene sempre nel solco di una precisa linea alternativa.
Certo, gli sperimentalisti “storici” sono tecnicamente espertissimi nel tessere scritture dense e ricche di rapporti ai diversi livelli (dagli accostamenti allitterativi, alla dinamica del ritmo); all’interno di queste “reti”, nella complessiva organizzazione semantica, sono coinvolti i “nodi” dell’immaginario contemporaneo, tesi verso soluzioni estreme. L’elaborazione del senso avviene con la costante avvertenza di non cancellare il percorso materiale e di considerare il testo anche dall’esterno, dalla prospettiva del non-letterario, quando non dell’anti-letterario.
A queste direzioni consolidate vanno aggiunte le nuove proposte ed ipotesi più recenti, che rendono la “mappa” dello sperimentalismo assai folta e diramata. Vorrei segnalare, pur nell’approssimazione di ogni schema, questi tre filoni di ricerca:
1) La lotta contro l’io lirico. Tende ad incrinare l’identità centrale dell’io, che rappresenta il marchio della proprietà privata del tessuto poetico: l’io lirico, infatti, nasconde le conflittualità del linguaggio, ricucendone gli strappi ad uniformità ed omogeneità, e riconducendoli al piano del privato, dell’intimistico, e del patetico (al posto del mosaico dei linguaggi, è fatta apparire la vicenda esistenziale di un’anima). Con lo sperimentalismo anche la poesia vive la sua crisi del soggetto. Ma ciò non significa necessariamente che l’io debba essere impronunciabile — e la prima persona abbandonata in favore del modo plurale o impersonale. L’operazione può svilupparsi anche “dall’interno”, conservando il soggetto per stravolgerlo mediante pratiche di svuotamento e di deformazione grottesca. Da un lato, l’io è fatto fluttuare con un altalenante susseguirsi di innalzamenti e abbassamenti, movimento alterno che concede credito e subito dopo lo toglie, ribaltando l’euforia in disforia, ed impedendo così qualsiasi identificazione sicura e rassicurante. Dall’altro lato, l’io è eroso da un rovello continuo, da una analisi che ne discute le proprietà, e ne sfata gli infingimenti, non concedendo alcun nascondiglio od alibi alla autocontemplazione narcisistica.
Questi interventi mandano in pezzi la possibilità di riconoscersi nell’io (ed i connessi esiti commoventi e consolatori). I ritmi e le articolazioni del meccanismo poetico non lasciano appigli al sentimentalismo. Il testo si apre all’inserimento di “voci” diverse; e anche all’intersecarsi e mescolarsi dei “generi” (per cui il lirico è solcato dal narrativo, dal drammatico): si potrebbe definire col termine interferenza questa pluralità eterogenea di codici espressivi che invade la sede monodica.
2) Il lavoro sul corpo della parola. Nasce dall’esigenza di rimodellare il linguaggio sfruttando possibilità non utilizzate, o giocando, in modo particolare, sulle ambiguità dell’omofonia. Agli accostamenti metaforici (per somiglianza di significati) si sostituiscono gli imparentamenti per somiglianza di significanti: allitterazioni, paronomasie, giochi di parole. Questa linea di ricerca, fortemente inventiva, viene da una lontana tradizione di “artificiosità” ed avrebbe, in prospettiva, una larga libertà d’azione, nel rompere, slogare, masticare, i termini della comunicazione d’uso comune. Deve però avere la cautela di evitare le soluzioni troppo facili (o semplicemente goliardiche), in quanto improduttive di risultati conoscitivi.
Al momento, gli esiti più rigorosi che è possibile intravedere, sono: a) la costruzione di un tessuto linguistico con fitti rimandi omofonici, ma concentrato su suoni irti e contrastanti, a prestabilire “disarmonie”, al limite della pronunciabilità. La scommessa sta nel conservare
un preciso riferimento ai significati, magiari mediante il ricorso a termini obsoleti (arricchimento del vocabolario, quindi, contro l’impoverimento dei media); b) un gioco non autogratificante né evasivo, ma teso a indicare, more dadaistico, la futilità e inessenzialità dell’arte, e lo scomparire dell’opera in una pratica quotidiana continuamente oltrepassata; c) la formazione neoplastica di un nuovo lessico, unita alla istituzione di folgoranti legami tra nuclei distanti, con la scoperta di allacciamenti inediti, secondo la tattica dello spiazza-mento e della sorpresa.
Ma c’è ancora un terzo raggruppamento di ricerche:
3) Le pratiche di irriverenza. Per disperdere l'”aura” sacrale dell’arte, e spezzare il cerchio magico del rito, lo sperimentalismo adotta le armi dell’irrisione. Il riso, nelle sue diverse strumentazioni, consente l’avvicinamento degli idoli e ne svela la costruzione umana e la composizione materiale. L’irriverenza vale, dunque, in chiave educativa e mistagogica. Il riso, inoltre, mette in stato di attività, e addirittura scuote il suo destinatario.
Ovviamente, c’è una “facilità” del comico che è commerciabile e si consuma rapidamente (ed è qualunquista o conservatrice). La ricerca tenta altre strade, provando le forme più sottili ed interne (perciò più inquietanti), in particolare l’ironia – e meglio ancora se autoironia – per non lasciare esente dall’irriverenza nemmeno l’abitacolo del soggetto derisore. In questa direzione si accentua il carattere tecnico imitativo (nella parodia, nel pastiche) per cui il linguaggio letterario viene riprodotto in modo sfalsato, e demistifcato nello stridore con il prosastico reale.
Ma, parlando di ironia, è necessario precisare la differenza verso l’uso del postmoderno: qui, infatti, le strutture stereotipe vengono riciclate senza scarti, blandendo da un lato le abitudini del pubblico, ma dall’altro ammiccando che il recupero è ironico e disincantato: sistema molto comodo per far passare qualsiasi compromesso. Al contrario, l’ironia sperimentale intacca le basi stesse del testo, e si serve a questo scopo delle forme di interruzione, per indicare le sfasature dei codici in opera, ed aprire spazi alla riflessione, sospendendo gli effetti suggestivi.
Né l’interruzione consiste nell’evocare i fantasmi dell’immaginario per poi ridurli, con sadico spezzettamento, in frantumi incomposti. Nella nostra epoca, è ormai chiaro che lo squilibrio e la contraddizione stanno già in partenza, all’origine della produzione del testo; e la stessa esigenza della ricerca non si potrebbe spiegare senza uno stato di “dissonanza” nella lingua e nella società, che spinge a cercare nuove strade. Ora, la letteratura che abbiamo ipotizzato qui agisce proprio disoccultando e facendo conflagrare le dissonanze, al punto di andarle a scovare, ancora in nuce ed implicite, all’interno addirittura delle scritture “classiche”. Lo sperimentalismo non costruisce il testo come un feticcio le cui proporzioni armoniose valgano a sostituire (compensare, sublimare) gli orrori della realtà; piuttosto lo costruisce come un modello artificiale di prova, sul quale esplorare e saggiare “altri” rapporti tra linguaggio e corpo.
Nelle forme specifiche del microcosmo letterario, l’atteggiamento problematico della ricerca – implicando l’agilità mentale, il ribaltamento dei ruoli, la variazione dei punti di vista – sonda la possibilità di nuovi e diversi comportamenti collettivi. Per questa via, l’attività sperimentale si collega necessariamente, sul versante culturale e politico, alle istanze di liberazione e di trasformazione dell’esistente.

05/06/2024

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