MICHELE PERRIERA

LA TRILOGIA DISTOPICA

Per chiarire meglio le questioni della distopia tra modernità e postmodernità, possiamo ricorrere alla trilogia di Michele Perriera: A presto (1990), Delirium cordis (1995), Finirà questa malia? (2004). Postmoderno è decisamente l’ambiente “mutante” che Perriera immagina per la sua Palermo: il cielo non cambia più colore ma resta fisso su «una luce costantemente flebile e rossa», il sole non fa che tramontare. È l’allegoria dell’eterno tramonto, vale a dire il blocco della storia e l’impossibilità del cambiamento. Dietro a questo fenomeno, osservato con curiosità ma accettato quasi fosse normale, si nasconde un potere invisibile. Perriera è scrittore siciliano e per lui il modello di “società segreta” è quello mafioso. Nel primo romanzo, a dire il vero, si immagina una mafia che è uscita allo scoperto ed è stata legittimata, è diventata democratica e ha scelto come sede planetaria Hollywood. Ma dietro la mafia si profila una rete clandestina ancora più feroce che verrà a galla soltanto nel secondo romanzo. In A presto il potere è “morbido” come in un Brave New World. Palermo appare modificata in chiave avveniristica (poi verrà chiamata «la Città di vetro») e l’oppressione consiste nella rimozione forzata del dolore e della sofferenza, compresa la minaccia del confino per i depressi. Cliniche di ringiovanimento combattono la degenerazione del corpo e addirittura la tecnica di clonazione, qui detta «gemellazione totale artificiale», rende superabile la morte e inefficace l’assassinio. In questa «nuova era», Perriera segue i destini intrecciati della famiglia Responsi, che continuano a rasentare la crisi e la contraddizione, con punti di vista divergenti (evidenziati dalla forma epistolare di molte parti), con tentati suicidi, viaggi, scomparse e, infine, la morte della madre, che resta misteriosa.
Ma è in Delirium cordis che prende corpo la “distopia di complotto”. Qui davvero il mondo è uscito dai gangheri e la storia arrivata alla «fibrillazione» (da cui il titolo “cardiologico”). L’ordine pubblico va a rotoli: sinistri boati, la città piantonata da truppe militari (nel testo successivo sono arrivati addirittura soldati americani), in uno scontro tra lo stato e la mafia, sul cui sfondo fa la sua apparizione il fantomatico Fronte X, gli uomini dal volto di “porcellana”, una nuova razza senza passato e senza scrupoli. L’unico modo per sconfiggerli è penetrare nelle loro fila; ma per infiltrarsi occorre far credere di essere d’accordo con loro. Nello stesso tempo, anche la contro-organizzazione (che è chiamata la “Barca”) ha nel suo seno delle spie. Di qui le drammatiche difficoltà di Mariù, la protagonista di Delirium, che, per smascherare l’organizzazione nascosta in una clinica-bordello è costretta a diventare prostituta d’alto bordo e a rendere credibile la sua finzione. Mentre gli agenti nemici si annidano vicinissimi, sono l’amico e addirittura la madre. Per giunta, la società attorno è indifferente, ormai permeata dallo scetticismo e dal debolismo postmoderno. Perché resistere? Il potere è dentro di noi, è l’aria che respiriamo («ci rode il cervello»). Perriera rileva così il salto di qualità del sistema, la presa del capitale culturale, la colonizzazione della mente. Il potere invisibile è infatti tutt’uno con il potere economico: il ritorno dei «predatori» è accompagnato da una abrasione delle coscienze che deve lasciare come unica “fede” il valore del denaro:

Il denaro come messia del narcisismo stesso, come occhio di un dio che fa del denaro il figlio e lo spirito santo. È questa la religione che ci sta all’orizzonte. Essa mette una cosa al posto dello spirito. E ciò la rende cieca e sorda come nessun’altra mai. E più di ogni altra, sanguinaria. (Perriera 1995, p. 88)

In Finirà questa malia?, ammaliante è appunto la legge economica, fondata sulla crescita e sul successo («Ora sappiamo che l’essere c’è , è una cosa conosciuta e si chiama Affare», così la signora Taylor, nome significativo, come già in Zamjatin), portata a legittimare una congiura mondiale, un «progetto finale» dove il «potere occulto» e il «potere esplicito costituzionale» si assommino nella stessa persona. Si torna così, compiuto il cerchio, verso l’ipotesi del totalitarismo? I dialoghi esplicativi tra “buoni” e “cattivi” non mancano e rappresentano proprio l’affrontamento tra la condiscendenza postmoderna e la resistenza moderna; tra la durezza del dato di fatto di “questo è il mondo”, “il mondo è quello che è” e lo scandalo non arreso di “è il mondo questo?”. Coloro che non cedono si riconoscono isolati e superati, destinati alla sconfitta; e tuttavia sentono di avere con loro la forza del passato. Vengono uccisi, ma essendo morti ingiustamente non muoiono del tutto: in Delirium cordis diventano «romboidi» (era il titolo di un romanzo giovanile dell’autore all’epoca delle neoavanguardie), capaci addirittura di continuare a parlare e a raccontare (il romanzo si immagina appunto narrato da Mariù, dopo il suo assassinio); in Finirà questa malia? sono le «ombre» che guidano la protagonista Ersilia (l’amica di Mariù) e il comandante Jan nella rischiosissima indagine. Da notare, per effetto dei tempi e anche della “condizione siciliana”, il cambiamento di segno della polizia che, rispetto alle distopie totalitarie, adesso sta dalla parte giusta. Certo, Perriera mette in campo una opposizione umanistica (lo spirito, l’anima, nel terzo testo compare addirittura Cristo), però astenendosi dalla astrazione morale. Nelle parole di Jan, («Mi piace pensare che qualche coscienza morale fa bene alla salute. Male che vada giova al mio personale narcisismo. Sì ho questa malattia: la vanità di abbellire il mondo»; Perriera 2004, p. 95) l’ottica material-piscoanalitica toglie all’etica qualsiasi “assolutezza” e, ne mostra l’intrinseca contraddittorietà – serve alla «salute» e però è una «malattia» – che è però una contraddizione produttiva. Il narratore stesso non manca di crudeltà verso i suoi eroi e ne fa morire la maggior parte (quello che potrebbe lamentarsi di più è Vladimiro, che defunge fin dalla prima riga del Delirium), non risparmiando neppure le sue splendide e intrepide figure femminili. Con circolarità, il terzo romanzo ritorna sui rampolli della famiglia Responsi e si chiude con la lotta fratricida di Antigone contro Ugolino (nomi indicativi: in Ugolino il riferimento dantesco è rovesciato, è un figlio che divora i padri), che si scopre essere il capo della congiura mondiale. Il Grande Fratello è qui un cattivo fratello. Viene ucciso, ma la distopia non ha termine (anche qui: «non è finita»). Vince l’etica (e quindi la modernità)? Non completamente, il fatto è che qualunque esito è provvisorio: la lotta tra le due file parallele dei «serpenti» e delle «ombre» rimane aperta alla “scelta” di ciascuno. In questo, Perriera coglie il vero stato del “peggio”, che consiste nel fatto di non potere mai essere individuato definitivamente e una volta per tutte.

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