Juan Carlos Rodríguez (1942-2016) è stato un brillante teorico e critico letterario, legato al marxismo, ma con prodigiose messe a punto, mentre tutti erano impegnati in rapide retromarce… La sua base fondamentale consiste nell’individuare, per ciascuna epoca storica, la “matrice ideologica”: in questo modo l’ideologia non è più considerata come una mera efflorescenza del modo di produzione, bensì come una radice profonda che tiene insieme quelle che una volta si chiamavano struttura e sovrastruttura, nella consapevolezza che nessuna organizzazione del lavoro potrebbe funzionare senza l’addestramento di un soggetto ad essa adeguato: di qui l’importanza fondante dell’identità, di quello che Rodríguez chiama l’“io sono”, determinante per qualsiasi vita sociale.
In particolare l’opera di Rodríguez ha puntato a precisare i termini delle questioni approfondendo, precisando e articolando il vocabolario teorico, troppo spesso generico e confuso. Alcuni suoi libri importanti sono usciti proprio con il titolo “di cosa parliamo?”: De qué hablamos cuando hablamos de literatura (2002) e De qué hablamos cuando hablamos de marxismo (2013). Una interrogazione interminabile, che ha tenuto insieme Marx e Freud, Brecht e Borges, toccando i classici della letteratura (il massimo: Don Chisciotte) e i fenomeni quotidiani come la moda o il tango.
Poco noto oltre i confini della Spagna (dove però si contano agguerriti “juancarlisti”), Rodríguez ha lasciato rilevanti studi inediti, che stanno uscendo postumi, ad opera dell’editore madrileno Akal, in una collana dal titolo meraviglioso: “Cuestiones de antagonismo”. Dopo il libro riassuntivo su Freud: la escritura, la literatura, è ora la volta del libro sul Barocco, intitolato La literatura en la sociedad (de)sacralizada, che si pone sulla scia del primo libro pubblicato da Rodríguez, proprio a ridosso della caduta del franchismo, Teoría e historia de la producción ideológica .
Dunque, il Barocco; ma ecco subito il rovesciamento paradossale: il Barocco in Spagna – sostiene Rodríguez – non è mai esistito. Viene così erroneamente etichettato un periodo di transizione tra il feudalesimo e la società borghese in cui, essendo appunto un passaggio contrastato, si sono affrontate due distinte ideologie, l’una tesa a conservare l’assetto ordinato del mondo (garantito dalla gerarchia religiosa) e l’altra invece votata a sviluppare l’individualismo della persona. La prima intenta a “risacralizzare” ciò che nel frattempo l’altra “desacralizzava”. Rodríguez le definisce rispettivamente “organicismo” e “animismo”.
Ma, attenzione (come dice spesso Juan Carlos: “mucho ojo”): perché non si tratta solo di due poetiche distinte – come vedremo, facenti capo rispettivamente a Quevedo e Gongora – ma proprio di due prospettive che coinvolgono l’intero assetto sociale. Il nascente capitalismo ha bisogno – questo Rodríguez lo ripete continuamente – di “soggetti liberi” per avere la libertà di sfruttarli e dunque l’esigenza del libero mercato si rispecchia
en el nivel político con el Estado, la Hacienda o la Burocracia y el Ejército profesional; y en el nivel ideológico con el aludido inconsciente de la libertad y de las almas bellas y no-siervas de nadie ni podridas por estar encarnadas. Así fue forjándose la nueva imagen de la subjetividad libre, la aparición del amor entre almas libres y bellas (también la nueva versión de la amistad), la división privado/público, etcétera.
Sull’altro fronte, la resistenza del feudalesimo agisce ancora con la sovranità monarchica e l’ordine garantito dalla differenza di “sangue” e dalla dottrina religiosa:
Y por supuesto la Escritura Sagrada desdoblándose en el libro de la Naturaleza, donde los signos no son signos en sí, sino que son signaturas que llevan dentro la sustancia divina. Lo que se ha llamado la gran cadena de todos los seres. A esa imagen de la sustancia divina impresa en todas las cosas la Ilamé sustancialismo (también siguiendo a Bachelard), pero también la llamé organicismo porque ahí todo se basa en el cuerpo orgánico, es decir, el cuerpo de la Iglesia, el cuerpo de la Naturaleza, el cuerpo Social o el cuerpo Humano corrupto desde la caída original.
L’apporto di questo studio, che si espande per quasi 700 pagine, è dunque di mostrare come dietro la sigla troppo unificante del Barocco si trovino opzioni diverse e anzi opposte e che ci sia bisogno di maggiori articolazioni (“hay que matizar”, altra formula tipica del nostro); non solo, ma Rodríguez ci dimostra che le sue formule generali sull’“io sono” si espandono capillarmente nei testi che vengono letti nella loro logica interna con attenzione soprattutto alla lettera (evitando opinabili interpretazioni) e attenzione altrettanto forte alle loro contraddizioni, in quanto l’epoca di transizione vede il contrasto delle identità all’interno degli stessi testi, manifestandosi, magari, in modi inversi nei due capofila Gongora e Quevedo:
a) La poética gongorina se segrega desde la contradicción entre la lógica animista (infraestructural) y la lógica organicista (superestructural). Esto quiere decir una relación con la escritura (lenguaje y signos) basada en el signo como «espiritual» (animista) y en el lenguaje (organicista) como algo del que hay que desprenderse pero que sustenta: corporalismo del alma.
b) La poética quevedesca, por el contrario, se segrega desde la contradicción entre la lógica organicista (infraestructural) y la lógica animista (superestructural). Esto quiere decir: una relación con la escritura (lenguaje y signos) basada en el signo como lo corporal (organicista) y en el lenguaje como espiritual (ani¬mista). Esta contradicción llega al máximo en el Heraclito Cristiano porque ahí trata de desprenderse del cuerpo, pero no puede porque está impregnado por el alma: animismo del cuerpo.
Un analogo schema a chiasma viene trovato nel teatro, nel confronto tra Lope e Calderón:
Es por eso por lo que al hablar del modelo de la Comedia de Lope hablamos de la nobilización del desorden, y es por eso por lo que al hablar del Auto calderoniano hablamos de la sacralización del orden.
Nella parte sul teatro, per altro, l’orizzonte si allarga all’Europa, a Shakespeare, Corneille, Racine.
Ma non è possibile ridurre nello spazio di una recensione la ricchezza storica e metodologica di questo libro. È importante, tuttavia, notare un ultimo aspetto: la polemica dell’autore con i tentativi di esportare la formula del Barocco in epoca più avanzata (soprattutto nel postmoderno). Rodríguez dissente da queste attualizzazioni, ancorché alla moda, e per una ragione di fondo: la sua critica è basata sulla “storicità radicale” dei testi, per cui un procedimento apparentemente simile assume in un’epoca diversa un diverso significato che perciò “non ha niente a che vedere” con il precedente. Di qui l’interrogativo: di che parliamo quando parliamo di Barocco? Che poi contiene, sotto – ma neanche tanto sotto – all’esigenza di chiarire fino in fondo le nozioni-etichetta della cultura corrente, l’altra domanda basica: “come concepire il mondo e il discorso in un altro modo?”
15/11/2025